N.10 2015 8 marzo 2015
Sommario 10 - 2015

Credere n. 10 - 08/03/2015

Insieme di don Antonio Rizzolo

Quaresima, digiuno e festa dell’incontro con Cristo

Cari amici lettori, il protagonista della storia di copertina di questa settimana è Paolo Armando, cuoco dilettante concorrente…

Storia di copertina | Paolo Armando

Pentole, fornelli e briciole di Vangelo

Il catechista di Cuneo, arrivato quarto a Masterchef, ha raccontato il suo impegno in parrocchia durante il reality culinario.…

Il personaggio | Mariella Enoc

Donna e manager al servizio dei malati

L’incarico, la responsabilità, la fede: Mariella Enoc racconta come ha colto la sfida di guidare l’ospedale Bambin Gesù di…

L'intervista | Padre Giovanni Vicidomini

Dio non si stanca di perdonare

«La misericordia divina è una grande luce di amore e di tenerezza, è la carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati»,…

I figli ci chiedono di Francesca Fabris

Che senso ha il digiuno?

PERCHÉ DEVO FARE IL DIGIUNO? Il digiuno è un mezzo per ritrovare noi stessi. Comunque, come ragazzo, ne sei dispensato.

Ite, missa est | Enzo Romeo

Dio nel cuore della città

I grattacieli di Manhattan si innalzano verso il cielo come colonne di un’immensa cattedrale gotica. C’è qualcosa di ascetico…

Per una lettura completa...

L'intervista | Padre Giovanni Vicidomini

Dio non si stanca di perdonare

>«La misericordia divina è una grande luce di amore e di tenerezza, è la carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati»,  dice papa francesco, che invita anche a non stancarsi «di chiedere a Dio la sua misericordia».

Nella foto: Mariella Enoc intervistata dalle televisioni

«La riconciliazione, con Dio e con il prossimo, particolarmente in Quaresima, è il cuore della nostra missione. Nei secoli i parroci incapaci di portare la pace si rivolgevano ai Redentoristi: era lo scopo della loro missione in luoghi dove avvenivano riappacificazioni tra fratelli o rivali storici, nella piazza del paese, sotto gli occhi di tutti». Padre Giovanni Vicidomini è un discepolo di sant’Alfonso de’ Liguori, il fondatore dei Redentoristi. Per il sacerdote, conoscitore del pensiero del santo e archivista della biblioteca Alfonsiana, non ci sono dubbi: il tema della misericordia e la missione ai poveri sono argomenti che legano il Papa argentino e il santo avvocato napoletano. Ripensa alle parole di Francesco che gli ricordano il santo campano: «La misericordia divina è una grande luce di amore e di tenerezza; è la carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati».

Siamo a Pagani, nel Salernitano, troppi palazzi uno sull’altro, in un’area segnata da soprusi. Un po’ periferia di quella capitale del Regno che era Napoli, sobborgo come ce ne sono a Buenos Aires, terra di dominazione – anche qui – spagnola, e nei secoli seconda patria di tanti italiani, come i Bergoglio, appunto.

Quali sono i temi comuni tra Francesco e sant’Alfonso?

«Il desiderio di salvezza e di misericordia di Alfonso mi riporta alle tematiche per il riscatto della persona care al Papa. Dalla visita a Lampedusa ai tanti gesti di amore agli ultimi, vedo il richiamo a ciò a cui il nostro fondatore ci indirizza: la riconciliazione, i poveri e il Vangelo. Nel Settecento la prima urgenza erano i poveri della città di Napoli: i lazzari, gli orfani e i senza lavoro, persone che si arrangiavano tra i vicoli e le piazze. Poi, scoperti i caprai di Scala, sulla costiera amalfitana, ancora più miseri, Alfonso capì che vi erano donne e uomini maggiormente bisognosi di Cristo».

La risposta al bisogno umano si intreccia a quello spirituale?

«Sì. Come il Papa, Alfonso porta la parola di Dio tra questi disgraziati, li istruisce alla correttezza di vita, al rispetto reciproco, alla sequela del Vangelo».

Francesco, come già faceva sant’Alfonso, ama la Chiesa che sa tendere la mano ai bisognosi.

«Certo, quella accidentata, ferita, sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che la Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Tornando ad Alfonso, anche per i dimenticati dalla stessa Chiesa c’è questa missione di andare incontro, di aiutare, e il santo lo dice e lo realizza non a parole, ma con i fatti: andando da chi non andava nessuno, nelle campagne, tra gli ignoranti».

Francesco invita spesso i fedeli al compito di rivolgersi alle periferie esistenziali.

«Sì, perché quando la Chiesa è chiusa si ammala, la Chiesa deve uscire verso le periferie. Per questo motivo in pieno Settecento, mentre al centro delle città proliferavano grandi cattedrali, le case dei Redentoristi erano fuori dai centri abitati per facilitare il contatto con chi viveva ai margini».

Esiste un legame tra Alfonso e la tematica bergogliana della riconciliazione?

«Per il Papa, Dio non si stanca mai di perdonare, mentre siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Dio torna a caricarci sulle sue spalle, ci permette di alzare la testa e di ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude. Sembra di sentire Alfonso, il patrono dei confessori, secondo cui la conversione è radicata nell’esperienza rinnovata della misericordia. Per noi Redentoristi questa urgenza coincide con il motto dell’ordine, copiosa redemptio (sovrabbondante è presso di lui la redenzione, nda). È la prova che Dio ci ama e ha misericordia di noi, perché ci perdona e ci ricolma di beni».

Dalla misericordia alla riconciliazione, quali sono il significato e l’importanza della Confessione?

«Nel confessionale Gesù è più buono dei preti! Ti riceve con tanto amore. La riconciliazione è sacramento di guarigione. Quando io vado a confessarmi è per guarire l’anima o il cuore. Ricordiamo la parabola del figlio che se n’era andato da casa sua con l’eredità e ha sprecato tutti i soldi, poi, quando non aveva più niente, si è deciso a tornare a casa come servo. Come Alfonso il successore di Pietro esorta: “Ogni volta che ci confessiamo, Dio ci abbraccia, e fa festa”».

Ci parli ancora un po’ di sant’Alfonso. Il vescovo di Pagani era stato un avvocato, ma dopo la drammatica perdita di una causa in tribunale, ingiustamente, capisce come è facile lasciarsi comprare dal potere. Eserciterà poi queste sue conoscenze nel ministero sacerdotale?

«Alfonso da pastore ritorna difensore degli ultimi; nasce così la missione di difensore del reo, di chi sbaglia. Così lui, forte di studi classici con maestri come Vico e Solimena, si avvicina a un mondo socialmente lontano: quello dei poveri».

Un cambiamento grande. Perché intraprese questa strada scomoda?

«Alfonso aveva capito che quando la gente è abbandonata dalle istituzioni civili e dalla Chiesa si avvia alla povertà materiale e spirituale. Provenendo da nobili origini si scontrò con le realtà ben diverse di chi vive nelle campagne, e questo lo portò a elaborare una proposta morale centrata nella benignità del Cristo, cioè che il perdono si attualizza nelle diverse situazioni e vicende della vita. Ricordava che prima di giudicare bisogna conoscere le condizioni di miseria materiale e spirituale in cui si vive».

In che modo si adoperò per i poveri?

«S’impegnò nella loro difesa, per amare ed evangelizzare il povero. Non a caso tra i suoi 111 scritti spicca la Teologia morale, edita nove volte in vita e testo di studio per i confessori, sicuramente nota a Francesco per il suo prodigarsi per il riscatto dell’uomo. Come il Papa, il patrono dei moralisti è accanto ai poveri, come il Cristo, per far capire che in fondo è il cuore dell’uomo il vero tesoro da far conoscere e comprendere nella vita».



Testo di Nicola Nicoletti

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