N. 11 - 2020 15 marzo 2019
Sommario

CREDERE n. 11 del 15 marzo 2020

I contenuti del numero

In dialogo con don Vincenzo

Come il Coronavirus invade e cambia le nostre vite

Il nostro quotidiano è cambiato da quando abbiamo scoperto la presenza di un “ospite” indesiderato. E' l’occasione per reimparare…

PARLIAMONE INSIEME di don Antonio Rizzolo

Un’occasione per pregare di più e per leggere un libro

L’emergenza Coronavirus impone a tanti, per senso di responsabilità, di restare a casa. Un tempo da vivere bene, invocando…

Don Claudio Burgio

«Il male non ha mai l'ultima parola»

«C’è sempre un punto da cui ripartire, perché il cuore di ognuno di noi è fatto per il bene», dice il fondatore della comunità…

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I "no" che fanno crescere

È così che possiamo aiutare i figli a riconoscere che non tutto può essere ottenuto sempre e subito

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In dialogo con don Vincenzo

Come il Coronavirus invade e cambia le nostre vite

Il nostro quotidiano è cambiato da quando abbiamo scoperto la presenza di un “ospite” indesiderato. E' l’occasione per reimparare la fede in Dio che ci sta sempre accanto. E riscoprire l'umanità nei gesti quotidiani. La testimonianza di una lettrice

Caro direttore,

da quando Vo’ Vecchio, frazione di Vo’ Euganeo, il tranquillo paesino in cui vivo, situato ai piedi dei colli Euganei e semisconosciuto al resto del mondo, è diventato l’epicentro veneto del contagio da Coronavirus, continuo a pormi alcune domande: per quanto tempo non potremo uscire da qui? Quando torneremo alla normalità? Vedo la nostra vita in isolamento raccontata dai telegiornali e mi chiedo se è davvero come la descrivono. Mi affaccio alla finestra, seguo con lo sguardo il corso del canale fino a dove un gruppo di militari e qualche transenna segnano il confine tra noi e il resto del mondo. Mi dico che è proprio vero: da qui non si può uscire.

Le strade sono deserte, le saracinesche abbassate. Il bar pizzeria di fronte a casa, in genere animato dal vociare dei clienti, è buio e silenzioso. La piccola piazza di fronte alla storica chiesa di San Lorenzo è vuota. È chiusa anche la seicentesca Villa Contarini Giovanelli Venier, oggi luogo di interesse artistico-culturale e durante la Seconda guerra mondiale tragico campo di concentramento. Mancano i visitatori e i turisti di passaggio che di solito si fermano per scattare qualche foto.

La mia quotidianità è scandita da occupazioni normali: il lavoro al computer, qualche passeggiata, qualche lettura. Nulla di straordinario, anche se quel che ci arriva “da fuori” è tutto meno che consueto. Seguo con un misto di apprensione e di distacco le notizie diffuse dai programmi televisivi, le notizie ufficiali e quelle ufficiose, quelle veritiere e quelle fasulle, le opinioni che si trasformano in certezze nella piazza virtuale di “Vo’ informa”, la chat Whatsapp dei cittadini del paese. A volte mi sembra che il panico e la sua rappresentazione diventino una forma di intrattenimento, un modo per sentirsi parte di un gruppo, protagonisti di un’esperienza unica. C’è chi si preoccupa per quello che sta accadendo, per le persone risultate positive al test; c’è chi sminuisce la serietà della questione, ripetendo che si tratta di una “banale influenza”; c’è chi non perde occasione per condannare le misure prese dalle autorità perché danneggerebbero l’economia locale. C’è, inoltre, un fitto scambio di informazioni di tipo pratico: dove poter andare a fare la spesa, quando poter andare a fare i tamponi, come contattare il medico di base… Ognuno, insomma, dice la sua, vuole proclamare la propria verità.

Nel mio isolato rifugio ascolto e leggo. Ogni tanto mi sporgo per parlare con i vicini di casa, cerco di farmi un’opinione ma resto incerta e perplessa. Penso che questa nuova situazione - nella quale i comportamenti sono spesso caratterizzati da suggestioni ed esternazioni a volte ingenue, a volte esagerate, spesso marcate da atteggiamenti esibizionistici di persone che vedono questa circostanza come un’opportunità per farsi conoscere - induce comunque al confronto e al dialogo, crea occasioni di scontro ma anche di confronto, genera un nuovo senso di solidarietà. Nasce, nel bene e nel male, una forma di cooperazione tra individui e di partecipazione a una “cosa comune”. Servirebbe però, questo sì, maggiore compostezza, prudenza, moderazione: tutti valori che conferirebbero una consistenza ancora più grande alle manifestazioni positive.

Sono quasi le undici di mattina, esco di casa, passeggio sull’argine del Bisatto, vedo il sindaco che rilascia un’intervista a una troupe televisiva. Nel pomeriggio andrò nel centro di Vo’, siamo stati contattati dall’autorità sanitaria: anche gli abitanti della frazione di Vo’ Vecchio potranno essere sottoposti all’analisi del tampone.

Mariachiara Peron

Risponde don Vincenzo Vitale:

Ci stiamo accorgendo come il Coronavirus cambia le nostre vite, le nostre abitudini. Ci rendiamo conto ora di cosa vuol dire avere dei limiti. Tocchiamo con mano la nostra (e anche altrui) fragilità, riscoprendo il senso del limite umano, della nostra creaturalità. Possiamo forse trarne una lezione e “rinsavire” da uno stile di vita in cui ci sentiamo onnipotenti, dominatori, padroni di tutto. Stiamo faticosamente imparando che non tutto è nelle nostre mani. La lettrice ci segnala le più diverse reazioni agli eventi di questi giorni: anche qui tocchiamo con mano come reagiamo alla paura, all’insicurezza e, diciamolo con onestà, di fronte alla paura della morte. E se “toccasse a me”? Tutti, in qualche modo, tacito o esplicito, ci siamo posti la domanda. Forse è un’occasione per riscoprire le domande di fondo della nostra esistenza e chiederci il senso del nostro vivere. Anche della fede. Tutto quello che era scontato non lo è più. Forte è la tentazione di appellarci a un Dio “tappabuchi”, che risolve i problemi al posto nostro. Forse possiamo reimparare, anche qui, qualcosa: a rivolgerci al Dio di Gesù nella nuda fiducia, in ogni circostanza, di non essere abbandonati: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Salmo 23). E riscoprire il senso di un’umanità che ci accomuna e ci fa essere più umili di fronte alla vita e più disponibili agli altri.

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