N.15 2015 12 aprile 2015
Insieme di don Antonio Rizzolo

Tempo di Pasqua, tempo di misericordia

Cari amici lettori, la seconda domenica di Pasqua è detta anche della Divina Misericordia. Così ha voluto Giovanni Paolo…

Il personaggio | Rolando Garrido

Verso la nuova Cuba senza lasciare indietro gli ultimi

Rolando Garrido guida la Comunità di Sant’Egidio impegnata a Cuba mentre l’isola vive un cambiamento epocale: la caduta dell’embargo.

La storia | La band dei seminaristi

La band dei seminaristi annuncia Dio con il rock

A Venegono, dove si formano i futuri sacerdoti della diocesi di Milano, il gruppo ParRock prepara concerti-testimonianza…

Il testimone | Don Pippo Insana

Matti sì, ma di Dio

Dal 31 marzo in Italia i “manicomi criminali” sono ufficialmente chiusi. A prendersi cura dei detenuti psichiatrici di Barcellona…

Per una lettura completa...

Il testimone | Don Pippo Insana

Matti sì, ma di Dio

Dal 31 marzo in Italia i “manicomi criminali” sono ufficialmente chiusi. A prendersi cura dei detenuti psichiatrici di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, è don Pippo Insana: «C’è chi ha ucciso e chi ha violentato, in loro rivedo Cristo e, proprio come avrebbe fatto lui, li prendo per mano: la pazzia fa parte dei  limiti dell’uomo, dobbiamo accettarla».

 


Fabio ha mille voci nella testa. Sono demoni scuri creati dalla sua mente malata. Gli dicono che deve andare alla stazione ad aggiustare un’antenna, e che per farlo deve prendere un martello. Mentre cammina, incrocia per strada due anziani che gli inceppano la strada e li uccide. Mario aveva un amico e insieme si drogavano. Un giorno che era stravolto di eroina e disperazione, l’ha fatto a pezzi. Ettore aveva una sorella disabile: prima l’ha aggredita sessualmente, poi l’ha ammazzata. Gesù, nel Vangelo di Matteo, ha detto : «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi».

E anche papa Francesco, in un messaggio rivolto a chi è recluso, aveva detto: «Anche Dio è un carcerato, non rimane fuori dalla cella». Eppure, dove lo si trova il coraggio di varcare per davvero quei portoni e stare accanto ai “mostri”? Quanta fiducia in Dio bisogna avere per amare anche loro come ogni altro essere umano? A Barcellona Pozzo di Gotto, popoloso Comune in provincia di Messina, c’è un prete che ha dedicato a questo la sua vita. Si chiama don Pippo Insana, ha 71 anni e da trentuno è il cappellano dell’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) della città. Attualmente, in Italia, gli istituti che accolgono «insani di mente che hanno commesso delitti» sono sette, ma da tempo il Parlamento ha deciso di chiuderli: sono diventate strutture vecchie, degradate, che non rispettano la dignità umana. Dopo tanti slittamenti, la legge 81 del 2014 ha stabilito che la data ultima per la loro definitiva chiusura fosse il 31 marzo 2015.

Ora, a seconda dei casi, gli internati torneranno nelle famiglie d’origine o saranno trasferiti in residenze di misura di sicurezza e comunità del dipartimento di salute mentale, con l’obiettivo di essere curati e, se possibile, reintegrati nella società. Al momento, però, c’è un forte ritardo nella creazione di tali centri: per questo don Pippo continua a lavorare con la sua associazione Casa di solidarietà e accoglienza. L’ha fondata nel 1986 e oggi è l’unica vera casa per molti detenuti psichiatrici. In sei vivono lì stabilmente, in dieci ne frequentano i laboratori, molti altri ci soggiornano per brevi periodi, quando sono in licenza, perché la loro famiglia li ha ripudiati e non sanno dove stare. In quella casa vive anche don Pippo: «Era il 1984 quando sono entrato per la prima volta nell’Opg», racconta, «e sono rimasto sconvolto. Perché Dio permette la sofferenza psichiatrica, mi sono chiesto? Li vedevo soffrire, urlare, ammattire dentro le celle. Mi sono risposto che la violenza, il dolore, la pazzia fanno parte del limite dell’uomo e che dobbiamo accettarli. Ho scelto questa strada per sentire la vera sofferenza, proprio come fa Dio.

E poi mi sono detto un’altra cosa: anche Dio è stato pazzo. Ha rischiato davvero molto a creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, lasciandolo libero di scegliere». Da trent’anni don Pippo dice Messa nell’istituto e ogni domenica vanno ad ascoltarlo ottanta internati. In molti si confessano, qualcuno bestemmia, qualcun altro entra in chiesa dichiarandosi il padreterno, altri si proclamano indemoniati. Lui non fa una piega: «Di’ a questo demonio di venire da me, che lo aggiusto io». Ma molti, poi, cambiano: compensati dagli psicofarmaci, accolti per la prima volta dopo anni, diventano utenti fedeli, che girano per il paese e di cui nessuno ha più paura. «Spesso penso a Mosè», dice don Pippo, « voleva liberare il suo popolo che viveva in condizioni disumane. Io mi ispiro a lui: nelle celle i malati urlano, esplodono di rabbia, si sentono perduti. Quando escono, aiutati dai farmaci e dall’umanità dei nostri volontari, ritrovano una dignità. Soffrono, perché si rendono conto delle atrocità che hanno commesso, si aggrappano alla fede, provano a ritrovare una via.

In loro mi sembra di rivedere Gesù Cristo e, proprio come avrebbe fatto lui, li prendo per mano, provo a portarli verso una nuova vita e a tutti, anche a quelli chiusi in cella che non sanno quando usciranno, dico: Dio non vi abbandonerà mai». Intanto, nella casa di don Pippo, Carmelina Fugazzotto, 58 anni, operatrice responsabile, fa entrare i nuovi arrivati in licenza sperimentale. Secondo le disposizioni della magistratura, qualcuno resterà per soli tre giorni, altri per cinque, disporranno di una libertà assoluta, avranno le porte aperte, l’accesso libero in ogni stanza, anche alla cucina e ai cassetti. «Qui ci sono ragazzi che hanno ucciso il padre, la madre, i fratelli. Alcuni bevevano, altri si drogavano, altri hanno avuto un raptus, tutti sono malati», racconta l’operatrice. «Qui arrivano solo quando stanno meglio, e noi apriamo le braccia per accoglierli. Impariamo a essere umili, ripartiamo insieme». Ci sono Ettore, Mario e Fabio, e adesso anche Alfio: «Ho 62 anni e ho commesso un brutto errore», dice. «Dio mi ha sempre aiutato. Quando stavo in cella, senza nulla da fare, pregavo e leggevo la Bibbia, e la sua Parola mi ha aiutato tanto. Lo cerco ancora, lo cerco sempre, confido in lui».

Testo di Stefania Culurgioni

Foto di Gianni Cipriano

Archivio

Vai