Credere n. 18 - 03/05/2015
Expo 2015, condivisione e solidarietà per vivere da figli di Dio
Cari amici lettori, dal 1° maggio al 31 ottobre l’Italia ospita, a Milano, l’Esposizione universale, Expo 2015. Sono attesi…
La mia vita consacrata alla danza
La grande ballerina, ex étoile della Scala, racconta l’incontro in gioventù con i Focolarini e la scelta di dedicare tutta…
Il birraio che confida in Dio
A Monteverde, nell’entroterra campano, un giovane ha avviato un’azienda contro il parere di tutti, contando sulla provvidenza.
Nobile semplicità
Qualche tempo fa, durante un sopralluogo in una chiesa, i componenti dell’Ufficio per i beni culturali della Cei furono accolti…
Ite, missa est | Enzo Romeo
Nobile semplicità
Illustrazione di Emanuele Fucecchi
Qualche tempo fa, durante un sopralluogo in una chiesa, i componenti dell’Ufficio per i beni culturali della Cei furono accolti da un parroco che, orgoglioso, mostrò come aveva “ammodernato” il presbiterio. Sulla parete di fondo, al posto del vecchio altare, c’era la statua di una figura umana a reggere il tabernacolo, e al di sopra un grande schermo piatto da sessanta pollici. «È per i testi dei canti!» esclamò il prete. È una delle storie circolate a Koinè, la rassegna vicentina di oggetti ed edilizia per il culto, che ha concluso da poco la sua sedicesima edizione. Un esempio di come, con facilità estrema, si possa trasformare un luogo di preghiera in una sala da karaoke, senza dar conto ad alcuno – vescovo, sovrintendenza o almeno consiglio pastorale.
Il concilio Vaticano II intese ridare piena e attiva partecipazione a tutto il popolo di Dio. Ma, certo, non volle favorire la trasandatezza degli edifici sacri e delle celebrazioni. La costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium (quella con cui si concesse l’uso delle lingue nazionali) usò l’espressione «nobile semplicità» per indicare lo stile ideale dei riti, che devono far risplendere l’essenza della fede.
Lo scorso marzo papa Francesco, nel celebrare i cinquant’anni della prima Messa in italiano, ha ricordato che la liturgia – con i suoi “accessori” – ha significato solo in quanto diventi vita: deve esserci sintonia tra ciò che si celebra nel tempio e ciò che si è fuori dal tempio. Nelle teche del lager di Dachau sono esposti calici, ostensori, croci da altare costruiti alla meglio dagli internati per le celebrazioni eucaristiche. Dal 1938 al 1945 finirono in quel campo 2.720 sacerdoti cattolici (tra loro anche dei vescovi), di cui 1.034 morirono di stenti o nei forni crematori.
La ricorrenza del settantesimo della Liberazione dal nazifascismo ci ha ricordato cosa ci siamo lasciati alle spalle. Grazie anche alla nobile semplicità di tanti presbiteri, per i quali la Messa non è stata un karaoke ma autentico pane spezzato e sangue versato.