N. 18 2015 3 maggio 2015
Sommario 18 - 2015

Credere n. 18 - 03/05/2015

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La mia vita consacrata alla danza

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La storia di copertina | Liliana Cosi

La mia vita consacrata alla danza

La grande ballerina, ex étoile della Scala, racconta l’incontro in gioventù con i Focolarini e la scelta di dedicare tutta se stessa all’arte, rinunciando al matrimonio e alla famiglia. Per testimoniare la bellezza dell’amore di Dio.

In foto:Liliana Cosi.In foto: Liliana Cosi.

 

Sotto lo sguardo dolce della Madonna del latte una serie di scarpette argentate si arrampica su una parete della Cappella delle ballerine. L’opera di Mimmo Paladino, artista contemporaneo, crea un’affascinante armonia, inusuale, nello spazio antico nel complesso della chiesa di San Fedele a Milano. è qui che un tempo venivano a pregare la giovani allieve del vicino teatro La Scala. Durante una pausa, prima delle lezioni o la sera del debutto, percorrevano i pochi metri e portavano dei fiori o cercavano riparo all’ombra dell’immagine della Vergine. «Mi trovavo bene quando ero in chiesa, dove c’era qualcuno che mi capiva. E poi quando ballavo, perché mi sentivo libera».

Liliana Cosi è uno dei monumenti della danza in Italia. Un successo “in punta di piedi”, che passa per innumerevoli riconoscimenti – dal David di Donatello alla Caravella d’oro, all’Italian Superstars award di New York, étoile della Scala e del Bolshoi di Mosca, prima ballerina di classici del balletto... –, in una carriera all’insegna del rigore e della determinazione, segnata da una convinzione di fondo: «Il balletto per me era la strada per la santità», dice oggi la signora Cosi, che qualche anno fa ha pubblicato l’autobiografia intitolata Étoile, la mia vita (Città Nuova).

Una certezza interiore che si è fatta strada tra i dubbi e la fatica, conquistata con la stessa perseveranza applicata allo studio della danza. Milanese doc, Liliana inizia a studiare a casa, tra la cucina e il soggiorno, con una maestra privata, a 8 anni e mezzo. Si prepara all’ammissione alla Scala e a settembre supera la prova, insieme ad altre 350 “spinacitt” come i milanesi chiamano le ragazze magroline che si presentano alle selezioni. La vita si divide tra la casa e la Scala, dove le giovani seguono anche la scuola dell’obbligo.

L’ambiente del teatro non brilla per fama «quanto alla moralità dei costumi. Mamma era preoccupata. Io le raccontavo tutto quello che succedeva, portavo buoni voti. E chiacchieravo spesso con il sacerdote che ci seguiva». Verso i 14 anni scopre il diario di santa Caterina. «Dio aveva parlato con una persona. Anche io, pensavo, volevo fare un’esperienza del genere». Divora il libro, si ferma a lungo in preghiera, procede da sola, un po’ a tentoni, si somministra anche delle penitenze, ma «sentivo che qualcosa non andava».

Un giorno viene “fulminata” dalle parole dell’apostolo Paolo – «la divisa del cristiano è la gioia» – e capisce che le manca una caratteristica fondamentale della vita nello Spirito: «Non ero gioiosa». D’altra parte vive con sempre maggiore disagio l’ambiente del teatro, competitivo e spesso animato da pettegolezzi e invidie. A un sacerdote amico chiede un aiuto per capire i segni della vocazione. «Stai tranquilla, quando Dio chiama si fa capire», è la risposta che le arriva. Intanto, siamo intorno ai 20 anni, se pensa al futuro si vede sposata, con dei figli, i corteggiatori non le mancano.

Quando arriva la proposta di partecipare allo scambio culturale con il Bolshoi di Mosca per Liliana si apre un orizzonte nuovo. La Russia, la grande madre della danza, le appare come «un paradiso. Tutto era bellissimo. Eravamo cinque italiane, siamo rimaste sei mesi. Ho imparato moltissimo».

Rientrata a Milano, con la prospettiva di ritornare a Mosca dopo poco, incontra per caso una comunità di giovani donne che si spendono per un ideale che subito affascina la ballerina. «Cercare di vedere Gesù nel prossimo». Sono “focolarine”, vivono il carisma “dell’unità” che, grazie a un’altra donna, Chiara Lubich, si sta diffondendo a macchia d’olio. «Dio con me ha usato una tempistica molto particolare».

I racconti di Chiara, che invita «ad amare per primi», le fanno tornare in mente le parole del sacerdote circa la vocazione. «Cominciai ad avere dei dubbi». Darsi tutta a Dio voleva dire non avere una famiglia, questo per Liliana diventa chiaro. Ma rinunciare alla danza sembrava un controsenso, eppure, si chiede: «A Dio può interessare una consacrata che balla?». Quando si tratta di tornare a Mosca Liliana non è sola. Valeria Ronchetti, una delle prime compagne di Chiara, «mi accompagnò per aiutarmi a vivere il Vangelo». Liliana ricorda quei mesi come «un periodo bellissimo»: diventa la prima ballerina al Bolshoi nel Lago dei Cigni e capisce che la sua vocazione è «dare la maggiore bellezza unita alla perfezione dell’armonia tra movimento e musica. Questo mi dava sicurezza, sentivo di essere nella volontà di Dio». L’incontro con un ballerino che poi diventa amico di una vita, Marinel Stefanescu, le fa approfondire questa prospettiva: «Se hai questo ideale sarai la più brava ballerina del mondo», le dice l’amico, «perché tu lo fai per Dio». Da questa convinzione interiore vengono i successi internazionali, coltivati con leggerezza ma «anche con un’immane fatica. La bellezza», dice Cosi, «viene sempre dal suo opposto. Se va tutto bene sei portato a insuperbirti e ad adagiarti, ma se ci sono difficoltà si tende a fare qualcosa per migliorarsi. D’altra parte io credo che chi non va avanti va indietro, bisogna scegliere ogni giorno di essere migliori di ieri». Le difficoltà non mancano: la fatica, i piedi che fanno male, le invidie dei colleghi, tutte sormontate grazie a un punto fermo: «Sapere che non facevo la ballerina per un’ambizione personale, ma per realizzare la volontà di Dio sulla mia vita. Questa convinzione mi ha dato la forza di superare tutto».

La danza per Liliana diventa una strada per vivere la sua vocazione cristiana a tutto tondo. Nel 1977 racconta che decide di «fermarsi per moltiplicarsi» e, con Marinel Stefanescu e la moglie, fonda l’associazione Balletto classico, a Reggio Emilia, con lo scopo di «saziare la sete di bellezza che il mondo sente». Cosi cita Stanislavskij, il grande maestro del teatro russo: «L’arte deve elevare lo spirito dell’uomo». Uno stile di fare danza che lei stessa insegna e che la porta a essere testimonial «della bellezza» nelle scuole, tra i brigatisti a Rebibbia, con i ragazzi del quartiere Sanità a Napoli, o in varie manifestazioni dove ha messo in scena alcune coreografie ispirate ai passi del Vangelo, come Vino nuovo in otri nuovi o Le nozze di Cana.

Cos’è oggi l’arte per Liliana Cosi? Per rispondere la ballerina prende a prestito una citazione di Chiara che sente profondamente: «L’arte è saper trasformare in un dipinto, in una scultura, in un’architettura, in una musica... quel qualcosa che nell’anima non muore». Per questo, aggiunge, «sempre più mi convinco che tutti gli artisti hanno l’anima molto vicina a Dio, sia che lo sappiano sia che non lo sappiano».

Testo di Vittoria Prisciandaro

Foto di Marta Sarlo/Contrasto

 

 

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