N. 21 2015 24 maggio 2015
Sommario 21 - 2015

Credere n. 21 - 24/05/2015

Cristiani perseguitati | Veglia di preghiera per il 23 maggio

SPIRITO SANTO, RENDICI TESTIMONI

Schema per la Veglia di preghiera in comunione con i martiri contemporanei. (scarica la versione .pdf)

Insieme di don Antonio Rizzolo

Lo Spirito Santo, Dio presente in noi

Cari amici lettori, la domenica di Pentecoste ci ricorda le origini della Chiesa con il dono dello Spirito Santo. Molti hanno…

La storia di copertina | Susanna Tamaro

«Perdonando i miei genitori ho trovato la serenità»

A tu per tu con la scrittrice, dalla solitudine dell’infanzia alla consapevolezza che il cristianesimo è «il massimo godimento»:…

Il personaggio | Marcello Cirillo

«Vi presento don Bosco, santo scaccia solitudine»

Marcello Cirillo interpreta il prete fondatore dei Salesiani nel musical a lui dedicato. «Oggi manca una figura come la sua,…

La testimonianza | Mario Macilau

Il fotografo “vaticano”, ex bambino di strada

Dal Mozambico alla Laguna, Mario Macilau è il più giovane dei tre artisti che rappresentano la Santa Sede alla Biennale di…

Ite, missa est | Emanuele Fant

Come si usa un Sacro Monte

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La testimonianza | Mario Macilau

Il fotografo “vaticano”, ex bambino di strada

Dal Mozambico alla Laguna, Mario Macilau è il più giovane dei tre artisti che rappresentano la Santa Sede alla Biennale di Venezia.

In foto:L'attrice di Centrovetrine, Emanuela Tittocchia.

I bambini di strada, raccontati da chi li conosce. Perché anche lui è stato un bambino di strada. Per aiutare la famiglia, costretta dalle condizioni economiche a trasferirsi in città, a dieci anni, nei vicoli sterrati dei mercati di Maputo, all’indomani della guerra civile che aveva colpito la capitale del Mozambico, lavava le macchine dei più ricchi e aiutava a portare le buste della spesa. A toglierlo dall’anonimato e dalla strada è stata la fotografia che, con la forza di una passione, è stata uno strumento per «illuminare ciò che è in ombra, dare voce a quel che è silente, e portare su un palco sotto i riflettori quello che solitamente sta ai margini, sociali, politici, culturali».

Stiamo parlando di Mario Macilau, il più giovane dei tre artisti che rappresentano la Santa Sede alla Biennale di Venezia, nel Padiglione che per la seconda volta è ospitato all’Arsenale. Classe 1984, africano, fotografo, oggi raccoglie i frutti di una passione coltivata fin dal 2003 che si è trasformata in lavoro con la prima macchina fotografica comprata nel 2007 grazie ai soldi guadagnati vendendo il cellulare della mamma. Le nove fotografie in bianco e nero, in mostra al Padiglione della Santa Sede, raccontano quel che Macilau ha vissuto negli ultimi anni con i bambini di strada. «Qualche anno fa ho cominciato a lavorare con i bambini di strada del Mozambico, passando del tempo con loro per cercare di capire a fondo come vivessero», racconta l’artista. «Contro il senso comune che separa questi gruppi dalle persone “normali”, io sono voluto entrare proprio dove tutti mi dicevano di non entrare. Volevo andare oltre lo sguardo terrorizzato di quelli che li incontrano e vivere nei loro luoghi privati: ponti abbandonati, strade, vicoli neri».

«Volevo stare con loro e guadagnare la loro fiducia», continua Macilau. «Per questo all’inizio non avevo la macchina fotografica e fotografavo con la mente. Così si è costruita una fiducia reciproca che poi mi ha permesso di “leggere” e fermare in scatti la loro umanità e la grandezza che nasceva dalla debolezza delle loro vite fragili. Da questa posizione ho cominciato a fotografare. Le immagini, ritratti, dettagli, luoghi, mostrano la loro resilienza e vorrebbero far riflettere su come queste esistenze siano conseguenze di cambiamenti sociali e di valori di cui forse anche noi siamo responsabili».

Il tema dell’esposizione alla Biennale quest’anno parte, come voluto dal cardinale Gianfranco Ravasi, responsabile del padiglione vaticano e presidente del Pontificio consiglio della cultura, da un passaggio-chiave del prologo del Vangelo di Giovanni: «In principio... la Parola si fece carne». Oltre a Macilau, in questa seconda partecipazione della Santa Sede alla Biennale, per la prima volta saranno presenti anche due artiste donne, Monika Bravo, colombiana, e Elpida Hadzi Vasileva, macedone. «La scelta degli artisti è nata seguendo alcuni precisi criteri come la consonanza del percorso col tema prescelto e il carattere ancora aperto e in evoluzione della loro ricerca», spiega Micol Forti, curatrice dell’esposizione.

Macilau, che viene da una famiglia cattolica e ha studiato teologia per molto tempo, pensava di fare il missionario ma ora la sua missione è la fotografia. «Ho iniziato a fotografare in bianco e nero con una macchina non digitale e mi entusiasmavo quando sentivo il rumore del clic, in quel momento iniziava un processo chimico, la luce si fissava sull’emulsione fotografica e si registrava come immagine. Poi oggi con il digitale è tutto diverso ma il fascino per quel processo è ancora vivo in me. Uso molto il bianco e nero perché mi sembra più efficace per veicolare la realtà. I ritratti hanno un impatto diverso e un senso drammatico che spesso si avvicina a quello che racconto. Quando non c’è il colore siamo quasi obbligati a guardare il soggetto per avere un’emozione e so che le immagini a colori si dimenticano più velocemente. Io vorrei invece che lo spettatore si fermasse e ricordasse, perché quello che chiedo alla fotografia è di illuminare gli ultimi e dare loro la possibilità di essere guardati, almeno per una volta, in modo diverso, forse più umano».

Oggi l’artista sta lavorando a un nuovo progetto sulla discarica di spazzatura elettronica di Hulene Dump, un grande spazio a cielo aperto a sette chilometri da Maputo dove, da trentacinque anni, finisce la spazzatura soprattutto di dispositivi elettronici della città e dove tante famiglie, più di un migliaio, lavorano tutto il giorno, selezionando materiali riciclabili che poi andranno a vendere e dividendo i rifiuti per lo smaltimento. Le prossime foto racconteranno di loro.

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