N. 22 - 2015 31 maggio 2015
Sommario 22 - 2015

Credere n. 22 - 31/05/2015

Insieme di don Antonio Rizzolo

Portiamo a tutti l’amore di Dio uno e Trino

Cari amici lettori, questa domenica celebriamo la Santissima Trinità. Il mistero di Dio uno e trino può dare l’idea di un…

La storia di copertina | don Gino Rigoldi

Amare il prossimo non è fare l’elemosina

«È accogliere in prima persona, perdonare e non giudicare», dice il sacerdote che si spende fra carcere e periferie.

Il personaggio | Giovanni Allevi

Suono perché c’è bisogno d’amore

«Quando scrivo le mie note su un pentagramma non penso mai all’immediato», racconta il pianista e compositore, «cerco sempre…

Il ritratto | Don Stefano Colombo

Il prete che predica con la chitarra

Don Stefano Colombo è un apprezzato autore di musica cristiana: «A volte bastano due parole e cinque note per comunicare…

Ite, missa est | Enzo Romeo

Un sacerdote in trincea

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Ite, missa est | Enzo Romeo

Un sacerdote in trincea

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Il 24 maggio di cento anni fa l’Italia entrò in guerra. Da don Primo Mazzolari all’ultimo pretino di campagna, tanti sacerdoti furono sbattuti in prima linea e assistettero alla carneficina bellica bollata da papa Benedetto XV come «l’inutile strage». Don Gaetano Mauro stava mettendo in piedi l’oratorio a Montalto Uffugo, paese agricolo vicino a Cosenza dov’era parroco, quando ricevette la cartolina di precetto.

Col convoglio militare risalì lentamente tutta la Penisola. Quattro giorni di viaggio, finché il rombo dei cannoni non segnalò la meta: Palmanova del Friuli. Da aiutante di sanità don Mauro (al pari di don Mazzolari è in corso anche per lui la causa di beatificazione) fu testimone della battaglia dell’Isonzo. Il generale Cadorna per sfondare le linee nemiche fece avanzare in massa i soldati italiani verso le trincee austro-ungariche. In tre settimane di scontri ci furono 91 mila morti. Don Mauro si aggirava tra i feriti, stava accanto ai soldati più gravi, impartiva estreme unzioni, accompagnava i defunti alla sepoltura, gettati nudi in fosse comuni, per recuperare ogni oggetto del loro abbigliamento.

Scrisse nel diario: «Quanti dolori e miserie per questa guerra… Come vorrei rendermi utile a questi infelici». E all’arcivescovo di Cosenza: «Non credo che l’eminenza vostra sia di quelli che considerano la guerra come la salvezza della religione; a me consta che in guerra ci si abbrutisce e ci vuole uno specialissimo aiuto di Dio». Dopo Caporetto don Mauro fu condotto prigioniero in treno piombato fino al lager di Sigmundsherberg, al confine con la Boemia, anticipatore degli internamenti nazisti. Con l’armistizio rientrò in Italia e si commosse nella Trieste “liberata”.

Ma tutt’intorno era miseria e desolazione. I sopravvissuti si sentivano svuotati e vecchi. Alla fine di aprile del 1919, con un bagaglio carico di esperienze terribili, il prete potè finalmente far ritorno a casa. Appuntò nelle sue memorie: «Avevo 31 anni ma ne mostravo 60».

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