Credere n. 22 - 31/05/2015
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Il personaggio | Giovanni Allevi
Suono perché c’è bisogno d’amore
«Quando scrivo le mie note su un pentagramma non penso mai all’immediato», racconta il pianista e compositore, «cerco sempre di spingermi oltre, più in alto possibile».
In foto: il pianista Giovanni Allevi.
Un volto quasi da bambino, tra il timido e il dispettoso: certo non da quarantacinquenne compositore, pianista, direttore d’orchestra, con laurea, due diplomi al Conservatorio e oltre 750.000 dischi venduti. Definito l’enfant terrible della musica, anticonvenzionale anche nel modo di presentarsi al pubblico, amato od odiato, Giovanni Allevi, super ospite all’ultimo Sanremo, è impegnato nel Piano solo tour, in giro per il mondo a collezionare standing ovation un po’ ovunque. Eppure Allevi ti sorprende con la sua risata infantile, con l’inafferrabilità che è un po’ quella dei bambini, che sono al di là di ogni etichetta. Essenziale, asciutto nelle risposte, l’ascolano Allevi ci racconta un po’ di se stesso, della sua musica, della sua fede.
Da Ascoli Piceno, la sua città amata, a Perugia, a Milano e alla conquista del mondo: com’è andata?
«Manca la tappa più importante, la conquista di se stessi».
È stato definito «musicista dell’anima»: si riconosce in questa definizione?
«La mia musica è sempre un viaggio nei meandri dell’anima, senza timore di incontrare il proprio lato oscuro, fino a perdersi in una luce sconfinata».
Il suo album Love, uscito da poco, è già ai vertici delle classifiche. Perché un album sull’amore? E ancora: l’amore, in tutte le sue forme, può aiutare ognuno di noi?
«Quando nella mia mente sono arrivate le prime note di questo lavoro, ho subito capito che sarebbe stato centrato sull’amore, la mia vera ragione di vita, elemento di cui credo esista un enorme bisogno collettivo. E ancora, quando scrivo le mie note su un pentagramma non penso mai all’immediato. Cerco sempre di spingermi oltre, più in alto possibile, più nel profondo, lì dove risiede la vera essenza della musica: l’amore».
L’amore è anche l’insegnamento di Gesù, che papa Francesco mette in pratica ogni giorno. Cosa pensa di papa Francesco?
«Ho dedicato l’album a papa Francesco, che ho avuto la fortuna di incontrare per pochi secondi, giusto per scambiare un sorriso. È disarmante la sua umiltà, il suo spogliarsi dei beni materiali, la sua capacità di dialogare con chiunque. Riscoprire il mistero insondabile che siamo è il primo passo per amare l’altro nella sua diversità».
Lei è credente: quanto aiuta la fede, o la sua ricerca, per confortarci nel nostro quotidiano? E la preghiera?
«Quando sono arrabbiato, impaurito, deluso di me e di come vanno le cose, sogno di essere nello spazio e contemplare la Terra da lontano, nel silenzio siderale. Tutto si ridimensiona e si relativizza. Dell’Universo infinito colgo la mano del suo artefice. Respiro. Poi ricordo che ho una missione, e allora sono pronto per tornare laggiù, con spirito nuovo. Questa è la mia forma di preghiera».
Si è dichiarato un’anima tormentata. Ci può dire di più?
«Se mi trovo su un palco, al cospetto della musica, sono il bambino più felice del mondo. Una volta uscito di lì la mia vita interiore torna a essere un disastro».
Ha detto, molto significativamente, che «è il buio dentro ognuno di noi che ci fa conoscere la nostra luce». Ce ne parla?
«Per molti anni ho pensato di dover fuggire il buio dell’anima, senza rendermi conto che è da lì che scaturisce la nostra luce. Oggi ho compreso che la mia musica nasce dal buio e cerca disperatamente una luce. Per questo sono molto affascinato dalle persone che vivono il mio stesso dissidio interiore, anime belle che a volte hanno gli occhi che brillano».
L’arte, per lei, è contatto con il trascendente, con un “oltre”?
«Da adolescente, e per il periodo dell’università, sono stato un ateo convinto, sostenitore che la scienza avrebbe spiegato tutto. Ci ha pensato la musica a scuotermi da questa vana certezza, prima portandomi sul baratro folle della mia anima e, da lì, a un passo dalla trascendenza».
Cosa rappresenta il pianoforte per Giovanni Allevi?
«Da bambino ero impettito, seduto composto davanti al pianoforte, con la camicetta stirata bene. Oggi sono un animale, curvo sui tasti. Il pianoforte è diventato uno strumento magico per condividere la mia anima col mondo».
Cosa consiglierebbe a un giovane d’oggi spesso demotivato e sfiduciato?
«Credo di essere fortunato: in questo periodo ho incontrato moltissimi giovani sognatori! Sono poeti, scrittori, scienziati, artisti, ma anche volontari e medici. Hanno fede, credono come me nella potenza della passione e del sogno, non tanto per raggiungere chissà quali risultati, ma per rendere la propria vita degna di essere vissuta. Consiglierei ai ragazzi di leggere, di vivere mille vite, di inebriarsi di conoscenza, di innamorarsi senza fuggire i graffi dell’esistenza, e raccontare il mondo dal proprio punto di vista».
Ha dedicato alla sua famiglia, a sua moglie e ai suoi due bambini, il brano My Family : cos’è per lei la famiglia?
«La mia “sconclusionata” famiglia continua a essere un sogno, un approdo sicuro al mio continuo girare il mondo per via della musica. È la mia Itaca!».
Dal 2013 è “ambasciatore” per Save the Children: ci dice qualcosa di più?
«È un grande onore, oltre che una responsabilità, essere investito di questo ruolo. Io considero il mondo dell’infanzia quanto di più puro e innocente esista: è lì il segreto della nostra felicità, è dallo stupore incantato dei bimbi che dobbiamo trarre ispirazione nell’affrontare la vita. Per questo, difendere i bimbi significa difendere noi stessi».
Ho letto che da ragazzo discuteva lungamente con un amico prete e teologo, don Mauro Bartolini, cui ha dedicato Ti scrivo. Che importanza ha avuto questa amicizia?
«Morì molto giovane in seguito a un incidente stradale. È stata la mia prima esperienza della morte, così da vicino; infatti in quel periodo non avevo amici se non lui. Ogni tanto mi invitava in parrocchia e guardavamo insieme, in silenzio, sempre lo stesso film: Paris, Texas di Wim Wenders, per vedere il cielo azzurro in alcune scene. “Guarda il cielo”, mi diceva. Un’altra volta, durante una discussione, alla domanda su che cosa avrebbe fatto se si fosse scoperto che Dio non esisteva, rispose che comunque aveva vissuto una vita piena. I giovani lo amavano per la sua delicatezza, la profondità delle sue parole, e la sbadataggine nella vita quotidiana. Credo sia la persona più controcorrente che abbia mai incontrato!».
Testo di Donatella Ferrario ?