Credere n. 23 - 08/06/2014
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Pino Farinotti
Come superare la morte di un figlio
Un libro commovente e realistico, che racconta il dolore di una famiglia davanti a un evento così drammatico. Con una “protagonista†misteriosa di nome Maria.
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Pino Farinotti. Foto di Leonardo Cendamo / Rosebud)
C’è un figlio che si ammala (e non conosce guarigione), una madre, Elena, che lotta. E c’è una famiglia che non regge, si divide: accade quando il dolore arriva e si chiama tumore al cervello per un bambino di sette anni. Con lui arrivano poi medici, speranze rubate alla stasi della malattia, amici in corsia, chiese di Milano dove rifugiarsi, e incontri misteriosi. Con Maria, per esempio: la madre di un figlio «che era impegnato, si può dire così, nel sociale. Aiutava la gente, si sacrificava, sapeva come si fa». La trama di E l’angelo partì da lei (Edizioni San Paolo) di Pino Farinotti ci trascina con delicatezza dentro eventi degni di un giallo (chi sarà questa Maria?), ci regala catarsi più dolci di un conforto. E ci riempie di domande. Lo scrittore, giornalista e critico cinematrografico, 63 anni, è noto agli appassionati del grande schermo come l’autore del Dizionario di tutti i film (Newton Compton), o più semplicemente “Il Farinottiâ€. Dal suo precedente romanzo 7 km da Gerusalemme (2000) è stato tratto il film omonimo con Luca Ward e Rosalinda Celentano, diretto da Claudio Malaponti nel 2007.
Perché ha scritto E l’angelo partì da lei?
«Un giorno, ho incontrato una coppia per caso, mi ringraziava perché con il mio libro precedente, 7 km da Gerusalemme, aveva superato la morte del figlio. Quella volta mi hanno chiesto: “Ma rivedremo nostro figlio?â€. Ecco, per rispondergli ho scritto questo libro».
Cos’è per lei un pellegrinaggio?
«Un’azione, un qualcosa che ti impegna in una ricerca. Tante volte ho pensato di fare il percorso di Santiago de Compostela. Purtroppo comporta un’organizzazione, del tempo, che difficilmente troverò. Mi “rifaccio†col film Il cammino per Santiago, di Emilio Estevez».
Scrive che si può sopravvivere al dolore immaginando che la “copia originale†sia lassù. È così?
«Quando scrivo, “vivo e non rappresento il personaggioâ€, mi rifaccio cioè al metodo Stanislavskij. In questo libro, ad esempio, sono una mamma che pensa appunto che il dolore che sta provando abbia “una copia originale†in cielo. Poi c’è la realtà e penso subito a mia moglie Daniela che dice: “Se ti muore un figlio in quel modo, non recuperi più, nessuna madre recupera. E la fede è più facile che tu la perda, non che ti venga donataâ€. Penso che ci sono molti modi di avere fede. Ci sono dubbi e sicurezze».
Chi è Maria?
«Maria è, volutamente, un personaggio non compiuto. Non riesci a decifrarlo. Come donna si affianca alla mamma, Elena: l’aiuta, soffre con lei. Ma nel momento centrale, l’abbandona. Forse per una buona causa, troppo grande per essere compresa fino in fondo. Certo, l’umana Elena la comprende, ma non proprio fino in fondo. È il mistero della fede: nessuno lo svela del tutto».
Cosa sono i miracoli?
«In 7 km da Gerusalemme ho scritto: “Non leggo gli oroscopi, le Madonne non piangono, non mi evolverò in una farfalla o in un santo. Tuttavia sono disposto a credere se qualcuno mi porta delle prove, anche indiziarieâ€. Poi quando Alessandro, il protagonista, chiede al (probabile) Gesù: “Scusami Gesù... un’ultima cosa: le Madonne che piangono, la fine del mondo, il sangue di san Gennaro, le stigmate... tutti vorranno sapere. Cosa dico?â€, Gesù ci pensa un momento e risponde: “Di’ che non me lo hai chiestoâ€Â».
Come non smarrire la fede?
+ «Nel romanzo parlo di “fiduciaâ€, in realtà . Per proteggerla, occorre difendersi dai media, soprattutto dalla tv che si approfitta delle tue debolezze. Serve mantenere la lucidità e la libertà ».
Ci parli della sua fiducia allora.
«Sono un credente che si porta dietro alcuni dubbi. Mi sembra legittimo. Siamo in molti. Magari nascono così alcuni libri che scrivo. È tutta l’applicazione e il dolore che mi comportano».
Il cancro appare spesso come una grande ingiustizia. Davvero si può superare il dolore di una perdita pensando che Gesù e i nostri cari siano morti per noi?
«Questo è il grande mistero. Si può cercare di scioglierlo in parte. È ciò che ho fatto nel romanzo. Dobbiamo sempre fare i conti con la nostra ragione».
In che senso?
«Quando Elena alla fine pensa a suo figlio accolto in un bel posto, non può fare a meno di far valere la propria natura completa: “E allora mi avventuro, ci provo, nel Paese sconosciuto: i nostri trionfi, le felicità quaggiù sono piccoli segnali, riproduzioni, prove d’artista, l’opera originale si trova altrove, dove c’è Massimo. La sua realtà è quella e lui ci sta bene. E se si rifarà vivo sarò stata io a farlo tornare, immaginando, da essere umano, con fantasia, libertà e una piccola parte di ragioneâ€. La “ragioneâ€, appunto».
La critica più fredda che ha ricevuto?
«Sembra incredibile, ne ho avute solo positive. È la prima volta. Quello che conta però sono i lettori. Il romanzo ha soccorso, ha tolto un po’ di dolore a molta gente. Vale più delle recensioni». Facciamo meditazione, yoga, cerchiamo pace, ma ci sfugge qualcosa.
Che cosa?
«La risposta è complessa, servirebbe un altro libro. Una buona parte però è anche nell’ultima pagina di questo: c’è chi la legge e la rilegge, mi scrivono».
Testo di  Rossana Campisi
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