Credere n. 23 - 07/06/2015
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La forza della preghiera
Il personaggio | Carlo Pastori
Racconto un don Bosco che vi farà ridere
L’ex cabarettista di Zelig Carlo Pastori gira l’Italia in compagnia della sua fisarmonica con uno spettacolo dedicato al fondatore dei Salesiani: «Lui per attirare i giovani sapeva fare anche il mago e il giocoliere».
In foto: Carlo Pastori.
Ci vuole una bella dose di coraggio per passare dal cabaret a don Bosco, dal successo in tv con Zelig a uno spettacolo dedicato al fondatore dei Salesiani. Ma la ricca e singolare parabola artistica di Carlo Pastori, attore e musicista, può essere sintetizzata proprio così. Dal 2000 al 2003 ha fatto parte del cast del noto programma comico nei “Martesana in corpore sano” al fianco di Claudio Bisio, Flavio Oreglio, Ale & Franz, e dei “Pelatters” con Bisio, Sergio Sgrilli e Paolo Cevoli. Da diversi anni, però, Pastori ha cambiato rotta; senza mai rinunciare al registro comico e alla compagna fedele (la fisarmonica), ha intrapreso un percorso artistico molto particolare e personale.
Da alcuni mesi porti in giro per l’Italia uno spettacolo dal titolo curioso Giovanni: un Bosco di 200 anni. Perché?
«Anni fa, lavorando con i “Barabba’s clown” ad Arese, ho conosciuto da vicino il carisma salesiano. Il mio desiderio era di raccontare questo particolare metodo educativo. Don Bosco è notissimo, quasi idolatrato, in casa salesiana, ma fuori è pressoché sconosciuto. Eppure si tratta di una figura straordinaria: basti dire che, mentre egli era ancora vivo, c’erano già 600 seminaristi sulla sua scia».
Che idea ti sei fatto di don Bosco?
«Mi ha incuriosito soprattutto il metodo che aveva per arrivare al cuore dei giovani, quel che faceva per rendere interessante sé e il suo messaggio. Pensiamo oggi, invece, alla fatica che fanno i nostri oratori – estate a parte – nel coinvolgere ragazzi e giovani... Senz’altro don Bosco aveva grandi doti di immediata simpatia umana. E poi faceva il giocoliere, i giochi di prestigio… Tutte cose che abbiamo ripreso nel nostro spettacolo e che, non a caso, colpiscono molto i bambini. Don Bosco amava ripetere che “il diavolo ha paura della gente allegra”. In effetti, oggi si ha un po’ paura di prendere la vita con ironia, con leggerezza (che non vuol dire “alla leggera”). Inoltre, don Bosco sapeva cogliere nel cuore di ogni giovane quel poco o tanto di bene che è nascosto dentro ciascuno...».
Hai scritto una canzone, Ivo, che è un po’ l’inno dei ragazzi monelli «ma che non sono mai cattivi». Anche don Bosco la pensava così…
«Ho vissuto un’intensa esperienza di amicizia con don Vittorio Chiari, noto educatore salesiano. I suoi preferiti erano i ragazzi che diremmo “un po’ difettosi”. Si struggeva per le pecorelle smarrite. Io ho quattro figli: Ivo l’ho scritta pensando a loro, con la tenerezza del padre che guarda ai figli con gratitudine, ma anche con la consapevolezza della compassione che i genitori hanno avuto per me, nonostante errori e cadute. Io, ad esempio, per un po’ da giovane mi ero allontanato dalla Chiesa e bazzicavo il centro sociale “Leoncavallo”…».
Come avete deciso di affrontare un gigante della storia della Chiesa tu e Walter Muto, un comico e un musicista?
«Ci siamo inventati due strani personaggi, più imbonitori da piazza che artisti, i quali arrivano nello stesso luogo, lo stesso giorno, alla stessa ora, col compito di raccontare tutto ciò che sanno su questo grande santo. Inizialmente danno vita a un curioso “duello” a suon di musica e rime, per poi decidere, loro malgrado, di raccontare insieme. Cosa? Venite a vederci e lo scoprirete».
Ai tempi di Zelig eri nel cast di uno degli show più noti d’Italia. Oggi giri il Paese con spettacoli al termine dei quali partecipi fisicamente allo smontaggio della scenografia. Rimpianti?
«I talent sono una ricchezza, permettono ai giovani di esprimersi, però ingenerano un senso forte, a volte esasperato, di competitività. Nel gruppo col quale lavoro il clima è diverso: siamo una compagnia in tutti i sensi, perché ci facciamo compagnia sul palco, in furgone sulle autostrade... Non è necessario essere amici per fare questo lavoro, ma, vedendo me e Walter insieme, tanti hanno capito che fra di noi non c’è solo intesa artistica, ma amicizia vera».
I cristiani sono troppo seri?
«Colui che ha fatto tutto aveva un grande senso dell’ironia, dovremmo ricordarcelo. La vita, diceva don Giussani (l’uomo che più di tutti ha contato nel mio cammino di fede), è drammatica ma non è tragica: si apre sempre su qualcosa di grande. Per questo conviene viverla con leggerezza. Il problema, allora, non è se il cristiano dev’essere più o meno serio o allegro, ma semplicemente più cristiano».
Ovvero?
«In questo periodo, in varie parti del mondo, i cristiani sperimentano la persecuzione. E noi? Portiamo i figli all’oratorio non per convinzione, ma solo perché così non paghiamo la baby-sitter».
Testo di Gerolamo Fazzini
Da pubblicitario a showman
Carlo Pastori vive di teatro e di musica da 30 anni. Per un periodo ha fatto il pubblicitario presso una prestigiosa agenzia. Nel 1986, il grande salto: lascia il lavoro “normale” e si butta a tempo pieno sulle scene. Il successo televisivo arriva con Zelig nel 2000. Poi, però, intraprende una strada tutta sua: nel 2011, con lo spettacolo Lazzaro, vieni dentro! vince il festival I teatri del sacro (a oggi un centinaio di repliche). Nel 2013 debutta a Milano il monologo A.U.F. – Costruire cattedrali (Uno spettacolo Duomo), in cui racconta le storie dei personaggi che hanno contribuito alla costruzione del Duomo di Milano, sempre “alla Pastori”, ossia nei panni di Agostino, un sacrestano della Veneranda fabbrica. Uno spettacolo che ha già totalizzato più di 50 repliche in tutta Italia e che verrà riproposto in forma nuova quest’estate sul tetto del Duomo nelle sere di luglio.