Credere n. 23 - 07/06/2015
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La forza della preghiera
La storia di copertina | Renato Kizito Sesana
«Il cibo non è buono se non è di tutti»
«Fra alimentazione e giustizia c’è un legame che non si può ignorare». In occasione dell’Expo dedicato alla nutrizione padre Renato Kizito Sesana, che in Africa si confronta tutti i giorni con la fame, mette in guardia: «Il cibo è fondamento della vita umana e deve essere trattato con rispetto. Ricordiamoci che è un dono da condividere».
«Quando i bambini di strada arrivano per la prima volta nei nostri centri, dopo ogni pasto tendono a prendere un po’ di cibo e a nasconderlo, magari sotto il letto, per il giorno dopo. Ci vuole del tempo prima che si convincano che avranno pasti regolari tutti i giorni». Padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano, la incontra quasi quotidianamente la fame, anche in una città moderna e sviluppata come Nairobi, dove tuttavia milioni di persone faticano a mangiare almeno una volta al giorno. E spesso i bambini di strada, a cui si dedica da oltre 25 anni, vivono nella precarietà e nell’incertezza più assoluta. Anche di poter mettere qualcosa sotto i denti. Per questo, spesso si stordiscono – la testa e lo stomaco – sniffando colla o kerosene.
Padre Kizito, lei è appena rientrato in Italia dal Kenya. Che impressione le fa Expo visto dalla periferia di Nairobi, dove da anni vive con i bambini di strada?
«Ci sono inevitabilmente aspetti che stupiscono, come la sponsorizzazione delle grandi multinazionali del cibo, i costi molto alti dei panini e dei pasti. Soprattutto l’impressione di abbondanza di cibo, che ci fa subito pensare a quanto sia ingiusto che troppa gente non abbia da mangiare. Forse da qualche parte ci starebbe bene una gigantografia del volto felice di un bambino di Kibera (la baraccopoli di Nairobi in cui opera, ndr) che affronta un piatto di polenta e fagioli, che ci ricordi che il cibo deve essere gioia semplice e genuina, condivisione. Spero che Expo serva a far crescere la consapevolezza del cibo come espressione di convivialità e solidarietà. Il cibo non è buono se non è per tutti».
L’Expo è appena cominciato ma si parla ancora molto poco del tema centrale di questo grande evento: Nutrire il pianeta. Pensa che da questo punto di vista Expo possa essere un’occasione persa?
«L’ingiustizia più grave del nostro mondo è che ci siano più di 800 milioni di persone, soprattutto donne e bambini, che sono permanentemente e gravemente sottonutriti. Tutti i dati ci dicono che il cibo che si produce nel mondo è già sufficiente per tutti. Perché non è distribuito giustamente? Sappiamo che ci sono tante distorsioni, ma c’è anche un tema fondamentale che non viene affrontato con chiarezza neppure nella Carta di Milano, ed è la responsabilità del mondo della finanza. I prodotti agricoli sono quotati in Borsa ed è possibile scommettere sul loro prezzo, c’è il fenomeno dell’accaparramento delle terre che toglie spazio all’agricoltura tradizionale. Fra cibo e giustizia c’è un legame che non si può ignorare».
Vede qualche possibilità perché si cambi rotta?
«Possiamo cambiare, certo, ma ci vuole la volontà politica di farlo. Si parla di gestione equa delle risorse del pianeta. Eppure le risorse alimentari dell’Africa continuano a essere sfruttate senza alcun rispetto per i diritti dell’uomo e dell’ambiente, a beneficio di pochi. Dobbiamo crescere in consapevolezza delle ingiustizie, dobbiamo eleggere governanti che si dedichino con competenza a costruire quel mondo più umano e fraterno che in tanti diciamo di volere. È un grande lavoro di educazione alla crescita vera».
Che cosa potrebbero fare di più o di meglio le Chiese per promuovere una coscienza più attenta alla salvaguardia del Creato e alla responsabilità nei confronti dell’altro, specialmente di chi, per povertà, guerre o ingiustizie, ancora oggi soffre la fame?
«Le Chiese, le religioni, hanno un ruolo fondamentale sul lungo periodo, sull’educazione. Forse la prima cosa da promuovere sarebbe l’attenzione e il rispetto per il cibo, da quando lo si coltiva fino al consumo. Il cibo è fondamento della vita umana e deve essere trattato con rispetto, sempre. I miei ex-ragazzi di strada, quando sono a tavola tutti insieme, dopo la preghiera di ringraziamento, si siedono e mangiano lentamente, in silenzio, condividendo la gioia del cibo solo con lo sguardo. C’è un atteggiamento quasi di religioso rispetto di fronte al cibo. Poi dobbiamo insegnare che il cibo è un dono di vita da condividere. Il cibo è buono quando lo si mangia insieme agli altri, quando costruisce fraternità».
Che aspettative ha rispetto all’enciclica “ambientalista” di papa Francesco? Che messaggio ci vorrebbe trovare?
«Il Papa saprà certamente dare delle indicazioni importanti per far crescere la Chiesa nella consapevolezza e nella responsabilità verso l’ambiente. Insieme ai grandi temi come il rispetto della natura, le risorse energetiche, la giustizia nella produzione e distribuzione del cibo, io penso che avrà anche il coraggio di affrontare quello che negli ambienti cattolici è diventato un tabù innominabile, perché legato al tema del controllo delle nascite: la sovrappopolazione».
In che senso?
«Quando si fa notare che le risorse del mondo non sono illimitate e invece la crescita della popolazione sembra non avere controllo e si prepara un futuro di catastrofe ecologica o di guerra per le risorse, noi cattolici di solito rispondiamo che c’è cibo per tutti e che si tratta di distribuirlo con giustizia. Oppure che, con lo sviluppo, la natalità diminuisce e la popolazione mondiale si attesterà verso la metà di questo secolo intorno ai nove miliardi. A me paiono risposte vere ma insufficienti. Non possiamo pensare di garantire una vita dignitosa a tutti senza gravare ulteriormente sull’equilibrio ecologico già così gravemente compromesso. Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2008, ricordava che dobbiamo pensare alle generazioni future e al dovere di consegnare loro la Terra in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla “dopo aver ponderato responsabilmente la strada da percorrere, con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio”. Come rafforzare questa alleanza? Forse dovremmo insistere di più su paternità e maternità responsabili, nel rispetto della vita umana, anche quella futura».
Lei ama anche cucinare ed è uno sperimentatore di ricette che mischiano la tradizione italiana con quella africana. Il cibo per lei ha anche un valore culturale e sociale?
«Mi piace cucinare cibo buono e nutriente. Quando sono a Nairobi o Lusaka, chiamo a turno cinque o sei bambini a cenare con me, e cucino io. Cucinare è un atteggiamento del cuore ed è anche una metafora della vita. Dopotutto, la nostra vita cristiana non è forse un “lasciarci cucinare” da Gesù? Lui ci nutre, ma ci fa anche diventare cibo per gli altri. È lui che, come ha fatto con il pane e i pesci, ci prende, ci benedice, ci spezza (purtroppo anche questo è necessario!) e ci distribuisce. Se glielo permettiamo, ci trasforma in buon cibo per gli altri, condivisione, Eucaristia. Ecco, forse possiamo vedere il tema di questo Expo come una chiamata a partecipare alla grande condivisione, la grande Eucaristia universale».
Il Papa: «La missione non è proselitismo»
«La missione non è proselitismo o mera strategia; la missione fa parte della “grammatica” della fede, è qualcosa di imprescindibile per chi si pone in ascolto della voce dello Spirito che sussurra “vieni” e “vai”». Nel Messaggio per l’89ª Giornata missionaria mondiale, che si celebra il prossimo 18 ottobre, Francesco ha esplicitato il senso della missione, che «è passione per Gesù Cristo e nello stesso tempo è passione per la gente». In più, ai nostri giorni la missione «è posta di fronte alla sfida di rispettare il bisogno di tutti i popoli di ripartire dalle proprie radici e di salvaguardare i valori delle rispettive culture».
Testo di Anna Pozzi
Foto di Ugo Zamborlini