N. 27 2014 6 luglio 2014
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Quando il male è compiuto da persone “normali”

Cari amici lettori, il nostro settimanale vi propone tante storie belle, che mostrano la gioia della fede.

Biagio Conte

L’angelo dei barboni guarito a Lourdes

Il missionario laico, da tempo bloccato in sedia a rotelle, ha ripreso a camminare durante un pellegrinaggio alla grotta…

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Per una lettura completa...

Biagio Conte

L’angelo dei barboni guarito a Lourdes

Il missionario laico, da tempo bloccato in sedia a rotelle, ha ripreso a camminare durante  un pellegrinaggio alla grotta della Vergine. Dopo una gioventù ribelle e in ricerca, vent’anni fa ha fondato a Palermo la Missione speranza e carità che assiste mille persone.

Missionario in saio - Un intenso primo piano di Biagio Conte. Foto di Franco Lannino/ANSA

Missionario in saio - Un intenso primo piano di Biagio Conte. Foto di Franco Lannino/ANSA

Tra la grazia ricevuta a Lourdes e l’atteso film sulla sua straordinaria esistenza, il 2014 è un anno felice per il missionario laico Biagio Conte, fondatore di tre importanti strutture d’accoglienza di Palermo. Barba lunga da mistico, intensa spiritualità, sguardo vivace, carattere ricco di umanità e di passione civile, Biagio Conte, 50 anni, è considerato “l’angelo” degli ultimi, dei poveri, dei senzatetto, degli immigrati e dei disoccupati.

La scorsa estate, dopo un viaggio a Lourdes insieme all’Unitalsi e dopo l’immersione nell’acqua benedetta, Conte ha superato un grave problema alla schiena, ha abbandonato la sedia a rotelle ed è tornato a camminare perfettamente. Dopo la sua guarigione, i fedeli hanno gridato subito al miracolo e la Curia di Palermo ha dato ampio spazio alla vicenda raccontandola attraverso i propri organi d’informazione e avvallandone l’inspiegabilità scientifica. «Per me è stata una grazia inaspettata che ho ricevuto dal buon Dio che ha incaricato la sua madre Maria » ha dichiarato il missionario laico. «Dopo il bagno in piscina, non ho sentito più il bisogno né della sedia a rotelle né del bastone, che però porto ancora con me in ricordo del viaggio fatto da Palermo ad Assisi quando ero un giovane in ricerca. Dopo essermi immerso ho avvertito come un fuoco dentro».

Il secondo evento inaspettato è il film Fra Biagio al quale sta lavorando il regista Pasquale Scimeca, attratto dalla storia del missionario, dalla sua spiritualità e dalla sua vicinanza con il santo d’Assisi (ne parliamo nell’articolo alle pagine 10 e 11).

E, in effetti, quelle di Biagio Conte sono una vita avventurosa, una storia di fede tormentata e una vocazione alla carità e alla vicinanza agli “ultimi” tutte da raccontare.

Nato in una famiglia benestante siciliana, figlio di un imprenditore edile, all’età di 16 anni Biagio termina gli studi e decide di aiutare il padre nell’azienda di famiglia. La sua giovinezza trascorre tra auto sportive, storie d’amore con belle ragazze, divertimenti e vita notturna. Qualche anno dopo, di fronte al disagio sociale presente in alcuni quartieri di Palermo, entra in crisi constatando la distanza tra la sua vita agiata e “borghese” e la povertà di molti suoi concittadini. A un certo punto decide di cambiare vita e di allontanarsi, temporaneamente, da Palermo. A Firenze, dove si era iscritto a una scuola serale per artisti, per la prima volta entra in chiesa spontaneamente, senza che nessuno lo obbligasse. Fallita pure l’esperienza di aspirante artista, dopo quella di imprenditore, Biagio torna a Palermo e si ritira nella sua casa in campagna: «Sentivo il bisogno di perdermi tra i pensieri sotto lo sguardo di Gesù… La mia salvezza fu il volto di un Cristo in croce che, da una parte della mia stanza, mi puntava misericordioso e sofferente. Era lì da sempre e io lo guardavo per la prima volta. Nei suoi occhi riconobbi la disperazione dei bimbi poveri di Palermo. Le ferite della crocifissione trasudavano pene e offese, ma anche salvezza e riscatto».

Riacquistata definitivamente la fede, Biagio inizia a manifestare all’esterno la sua ribellione interiore contro le ingiustizie e le disuguaglianze. Per un giorno intero, attraversa la città di Palermo con un manifesto contro il razzismo, contro la mafia, contro la corruzione, contro l’opulenza e contro lo sfruttamento dei lavoratori. I passanti lo scambiarono per un “barbone”, ignorarono la sua estrema rivolta contro la società dominante. Amari i suoi ricordi: «Ero ancora più solo, si era aperta un’altra ferita nella mia anima, perché chiedevo solidarietà nei confronti delle mie battaglie e invece avevo ricevuto solo disprezzo e critiche. Il rimedio si era rivelato peggiore della malattia».

All’età di 26 anni, dunque, il futuro missionario laico chiede aiuto a Dio, scrive una lettera d’addio per i genitori, inizia a vagare nell’entroterra siciliano, tra le montagne deserte e incontaminate. I familiari, allarmati, contattarono persino la celebre trasmissione di Rai 3, Chi l’ha visto? Il giovane dormiva nelle grotte e si cibava di bacche e di erbe selvatiche, pregando sempre Dio: «Tutto il mondo mi aveva abbandonato, tranne Gesù, che mi era rimasto accanto, che aveva cancellato la mia sofferenza e che aveva guarito il mio male interiore». In provincia di Caltanissetta, chiede ospitalità a una famiglia di pastori, che lo accolgono come un figliol prodigo nella loro fattoria, dove intraprende anche un nuovo cammino religioso, leggendo la Bibbia e il Vangelo insieme ai padroni di casa. «Il mio rapporto con Dio, fino a quel momento, era stato silenzioso, privato, intimo e personale. Nella fattoria, invece, per me la religione era diventata comunione con gli altri. Nelle letture degli evangelisti avevo trovato le risposte ai miei malesseri e avevo riempito il mio cuore e la mia anima».

Abbandonata nuovamente la Sicilia, Biagio s’incammina alla volta dell’Umbria, seguendo il percorso del suo santo preferito, Francesco d’Assisi. Porta con sé soltanto un cane e lo chiama “Libertà”, in omaggio al suo viaggio fondato sulla libertà assoluta, materiale, morale e spirituale. «Una volta giunto davanti alla basilica di San Francesco», racconta, «ebbi un momento di vuoto e di assoluto silenzio, poi avvertii subito una grande gioia, serenità e pace. Prima di entrare, baciai in terra, in segno di ringraziamento verso nostro Signore e verso san Francesco».

Al suo ritorno in Sicilia, come promesso alla madre, Conte decide a questo punto di dedicarsi agli ultimi e ai poveri. Inizia, così, a portare cibo, coperte e vestiti ai “barboni” della stazione centrale. Vive insieme ai senzatetto, condividendo gioie, dolori, stenti, problemi e difficoltà quotidiane. Difende i “barboni” da quanti intendevano cacciarli dalla stazione. Nella sua battaglia al fianco dei senza-casa, Conte incontra ricchi caduti in disgrazia e poveri assoluti, borghesi in fuga dall’esistenza e disoccupati licenziati dal datore di lavoro, immigrati con elevati titoli di studio e palermitani al lavoro sin dall’adolescenza.

Dopo tante lotte e occupazioni, nel maggio del 1993, finalmente ottiene la concessione della struttura di via Archirafi 31, che era la sede del vecchio disinfettatoio di Palermo, abbandonato da circa 30 anni. Insieme all’instancabile don Pino Vitrano, fonda la Missione speranza e carità, affiancata, in seguito, dalla Cittadella del povero e della speranza nell’ex caserma dell’aereonautica di via Decollati e dal Centro di accoglienza femminile presso l’ex convento di Santa Caterina. E la storia di queste opere prosegue ancora oggi, dando rifugio e calore umano a un migliaio di persone. La Missione offre un letto, tre pasti al giorno, l’igiene personale, assistenza medica e farmaceutica. E poi laboratori di reinserimento lavorativo e aggregazione.

Testo  di  Pietro Scaglione

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