N. 29 2014 20 luglio 2014
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Essere cristiani è decidersi per Cristo, per l’amore e il perdono. Adesso

Cari amici lettori, la copertina di questo numero è dedicata a padre Raniero Cantalamessa...

Padre Raniero Cantalamessa

Il frate che ha fatto la predica ai Papi

Volto televisivo tra i più amati dal pubblico, da 35 anni è “predicatore della Casa pontificia”. In esclusiva a Credere,…

Don Pino De Masi

La mia lotta per una terra libera dalla ’ndrangheta

Dieci anni di minacce, intimidazioni, sabotaggi. Eppure, il parroco del duomo di Polistena, vicino a Oppido Mamertina, dove…

Viaggi e pellegrinaggi

Da 100 anni in marcia verso le vette

Un secolo di vita per l’associazione Giovane montagna che propone l’alpinismo come esperienza spirituale che avvicina a Dio…

Don Roberto Fiscer

Il prete dj che annuncia in spiaggia la fede rock

Era musicista e animatore sulle navi. Ma alla Giornata mondiale della gioventù del 2000 ha scoperto la vocazione al sacerdozio.…

Malattia e speranza

Sul magico taxi di zia Caterina

Caterina Bellandi ha ereditato l’auto bianca dal compagno morto di cancro. Ora la sua missione è accompagnare i bambini bisognosi…

Monsignor Galantino

No alle mafie. E ora nessuno si può tirare indietro

«A Oppido chi si è inchinato al boss lo fa già di suo ogni giorno». Commenta così monsignor Galantino il disgustoso episodio…

Per una lettura completa...

Viaggi e pellegrinaggi

Da 100 anni in marcia verso le vette

Un secolo di vita per l’associazione Giovane montagna che propone l’alpinismo come esperienza spirituale che avvicina a Dio attraverso la bellezza del creato.

 

PELLEGRINI A PIEDI - La Giovane montagna in escursione.

PELLEGRINI CATTOLICI  - La Giovane montagna in escursione. .

La passione per il verticale, per la roccia e gli ampi panorami, per l’andare in alto e mettere alla prova la propria resistenza alla fatica non bastano. Non ci sono solamente performance, materiali tecnici da sperimentare: la montagna non è uno sport, una palestra a cielo aperto. Ci sono valori forti che proprio sui sentieri si possono sperimentare e diffondere: valori come la solidarietà, l’autenticità dei rapporti umani. E poi c’è un significato che – da sempre – l’uomo riconosce all’andare verso l’alto: cercare Dio, contemplarlo. Lo sa bene Tita Piasentini, settantunenne veneziano, presidente dal 2010 di Giovane montagna, associazione di ispirazione cristiana che, proprio nel 2014, spegne le cento candeline.

Come ha conosciuto Giovane montagna? E che cosa di questa associazione maggiormente l’ha affascinata?

«Venezia è una città costruita sull’acqua, ma i veneziani, per contrasto, amano la montagna. Nelle giornate terse si scorgono in maniera evidente i monti che sembrano uscire dall’acqua. Sono stato introdotto fin da giovinetto dagli amici dell’Azione cattolica ad amare la montagna. Mi sono prima iscritto al Club alpino italiano per partecipare al corso di roccia. Nel frattempo sono venuto a conoscenza della sezione di Venezia della Giovane montagna. Mi sono informato e ho saputo che era di ispirazione cattolica e che lo statuto evidenzia che la celebrazione eucaristica nei giorni festivi viene prima di ogni programma. Sono entrato così a farne parte, perché rispecchiava le mie aspettative: la mia fede in Gesù Risorto e nella Chiesa e la passione per la montagna che ho considerato sempre un mezzo, mai un fine».

Alpinismo e vita cristiana, un binomio possibile?

«Trovavo giusto che nella Chiesa ci fosse una realtà, quale l’alpinismo, che fosse praticata a dimensione umana e cristiana. Quello che mi ha affascinato, allora ed ora, è poter vivere la bellezza della montagna come manifestazione di Dio, e l’Eucaristia come realtà di salvezza e di manifestazione dell’amore di Gesù, in unione con ogni uomo. Non sarebbe Giovane montagna se in essa venisse meno l’Eucaristia».

Quest’anno Giovane montagna spegne le cento candeline. In un’epoca nella quale anche l’andare sui monti di casa diventa una sfida continua, una ricerca di performance, uno spingere al massimo il limite della resistenza fisica, il coniugare la passione per il verticale con i valori dell’amicizia, della solidarietà umana, della contemplazione delle bellezze del creato, è ancora uno sforzo condiviso?

«La società è completamente cambiata e cambia in continuazione. Anche il mondo alpinistico subisce questa trasformazione e richiede da parte di ogni amante del verticale di non essere indifferente, ma protagonista dell’esperienza della bellezza della montagna per poterla condividere con altri. Dobbiamo creare, nella fatica, amicizie durature, e dobbiamo comprendere che lo stile di vita di ogni giorno va vissuto anche in montagna, là dove il rapporto umano è più importante della vetta e il camminare insieme può aiutare chi è nella difficoltà ed è alla ricerca di un significato vero e duraturo per la propria esistenza. La ricerca di performance, il trasformare le terre alte in un campo di gioco vuoto e fine a se stesso, non fa parte della filosofia di Giovane montagna. L’associazione, ancora dopo cento anni di vita, esiste per educare le future generazioni all’amore alla montagna, come dono da accogliere e preservare, sia per chi ha fede sia per chi non è credente».

Avete organizzato per il centenario un cammino “sul crinale”. Che cosa significa?

«I cento anni dell’associazione non devono essere visti come un punto di arrivo, come la conquista di una cima. Vorremmo che il centenario fosse una sosta sul crinale. Gran parte del tessuto sociale cristiano è stato toccato da una profonda crisi di fede. Non ne è stata indenne la Giovane montagna, che però ha saputo superarla, perché è stata capace di vivere l’unità, sorretta anche da legami autentici di amicizia, con i non credenti. I mutamenti storici hanno inciso sulla nostra identità, ma anche qui abbiamo mantenuto l’unità, perché abbiamo saputo differenziarci, ma non dividerci».

Vi siete ritrovati in piazza San Pietro per sentirvi confermati nel vostro impegno dal Papa, dopo aver percorso un’antica via dei pellegrini. Il pontificato di papa Francesco che cosa vi indica?

«Attraverso la Via Francigena, siamo voluti andare da papa Francesco proprio come pellegrini. Attraverso la grande umanità di questo Papa, siamo chiamati a riconoscere l’infinita misericordia di Dio Padre, e comprendiamo che solamente Dio ci può salvare se riconosciamo i nostri limiti e se vediamo nel volto di ogni uomo sofferente il fratello da abbracciare e da servire. Anche in montagna».

Testo di  Barbara Garavaglia

Archivio

Vai