N. 31 - 2015 2 agosto 2015
Insieme di don Antonio Rizzolo

Una testimonianza d’amore che disseta l’anima

Cari amici lettori, anche in questo numero abbiamo raccolto tante belle storie di fede, che ci incoraggiano nel nostro cammino…

La storia di copertina | Francuccio Gesualdi

«La nuova economia dipende dalle nostre scelte»

Il fondatore del consumo critico in Italia racconta da dove nasce il suo impegno per una società più equa. Dall’infanzia…

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La storia di copertina | Francuccio Gesualdi

«La nuova economia dipende dalle nostre scelte»

Il fondatore del consumo critico in Italia racconta da dove nasce il suo impegno per una società più equa. Dall’infanzia con don Lorenzo Milani fino alla scelta di vivere l’accoglienza.

In foto: Francuccio Gesualdi nell'orto della cascina condivisa con altre famiglie.

In foto: Francuccio Gesualdi nell'orto della cascina condivisa con altre famiglie.

Le intuizioni arrivano spesso la mattina presto. È stato così anche per Francesco Gesualdi, per tutti Francuccio, cresciuto a Barbiana nella canonica di un prete scomodo che si chiamava don Lorenzo Milani, e fondatore del consumo critico in Italia. Bisogna risalire al 1985. «Abitavamo già da otto anni in questa casa da contadini», racconta seduto al tavolo della cucina.

La finestra apre un quadro sulla campagna toscana: siamo a Vecchiano, in provincia di Pisa. «Mia moglie ed io, con le nostre due figlie che allora erano bambine, avevamo scelto di vivere qui con altre due famiglie di amici, con le quali condividevamo il desiderio di una vita più semplice e aperta all’accoglienza di chi avrebbe bussato alla nostra porta. Nel frattempo continuavamo a interrogarci di fronte alle ingiustizie e disuguaglianze nel mondo. Non riuscivamo a capire quale fosse la nostra parte attiva da giocare. Don Lorenzo ci aveva insegnato che ognuno di noi ha un ruolo, che non è vero che non contiamo nulla davanti a fenomeni globali. D’improvviso una mattina davanti alla macchinetta del caffè il nodo si sciolse».

Lo sguardo va alle tazzine appena svuotate ancora sul tavolo. «Se ci pensiamo bene ogni volta che riempiamo una macchinetta del caffè entriamo in contatto con il contadino del Kenya o il bracciante del Brasile che l’ha prodotto», prosegue Gesualdi. «Quella mattina di tanti anni fa cominciammo a chiederci: “Facciamo bene o male a comprare i prodotti che arrivano dal Sud del mondo?”. Le risposte che trovavamo non ci convincevano. Capimmo che bisognava risalire la filiera produttiva. Se si studia quella del caffè si scopre che, sì, la storia comincia nei due ettari di terra del contadino del Kenya che cerca di campare con la sua famiglia, ma che poi sui mercati internazionali entrano in gioco i colossi dell’industria, le grandi marche che incontriamo tutti i giorni al supermercato. Loro hanno delle responsabilità? Sì, perché condizionano il prezzo delle materie prime.

Spesso hanno piantagioni e le condizioni di vita dei braccianti dipendono dalla loro disponibilità a pagare salari dignitosi. Cominciammo a chiederci: “Siamo complici delle loro scelte o possiamo usare il nostro ruolo di consumatori per condizionarle?”». Negli anni Ottanta in Italia il “consumo critico” non esiste nemmeno nel vocabolario. A inventarlo è il Centro nuovo modello di sviluppo, che Gesualdi fonda dopo la famosa mattina davanti alla macchinetta del caffè, con l’obiettivo di analizzare il comportamento delle aziende e indagare i meccanismi che creano impoverimento. Nel mondo, solo negli Stati Uniti esiste qualcosa di analogo. Di “consumo etico” si comincia a parlare negli anni Settanta in seguito a un’esigenza ben precisa delle Chiese americane. Durante la guerra del Vietnam, esaminando i propri investimenti, avevano scoperto con orrore di essere azioniste di aziende che producevano il defoliante “Agente Orange” irrorato dall’alto dall’aeronautica americana per scovare i Viet Cong, con conseguenze terribili sulla salute della popolazione e l’ambiente.

Avevano perciò deciso di commissionare un’analisi delle imprese dal punto di vista etico, in modo da poter orientare i propri investimenti. Nel 1995 il Centro nuovo modello di sviluppo pubblica la Guida al consumo critico (Emi), la prima in Italia a offrire ai consumatori informazioni sul comportamento delle aziende dal punto di vista sociale e ambientale e sulle condizioni di vita dei lavoratori lungo tutta la filiera produttiva. «C’era chi pensava che dietro questa pubblicazione ci fosse un grosso centro di ricerca, vista la mole delle informazioni raccolte, in realtà c’era questa cascina e tanto lavoro volontario», afferma. La guida è stata aggiornata ogni anno fino al 2012. Nel frattempo è cresciuta la sensibilità dei consumatori, sono nati il Commercio equo e i Gruppi di acquisto solidale. Il biologico, da fenomeno di nicchia, è sbarcato nei supermercati. Sempre più persone sono attente a ciò che comprano, si informano sul comportamento delle aziende.

Qui a Vecchiano la guida al consumo critico non si fa più. «Richiede un grande lavoro e in questo momento non abbiamo le risorse necessarie», spiega Gesualdi. È rimasta la vita: un’esperienza di condivisione fra famiglie aperte all’accoglienza che dura da quasi un quarantennio. «I primi anni abbiamo avuto ragazzi in affido, una decina oltre ai nostri figli naturali», racconta Francuccio. «Oggi che i figli se ne sono andati, accogliamo soprattutto immigrati e rifugiati, sia singole persone che nuclei familiari. Sempre in piccolo però, perché abbiamo quattro spazi abitativi.

Alcuni ambienti sono comuni ma ogni famiglia ha la propria autonomia». È un’avventura, quella di Vecchiano, nata da un “fallimento”: «Nel ’75 con mia moglie e la nostra prima bimba eravamo partiti per il Bangladesh. Non tanto per rendere un servizio ma per vivere il Vangelo, mettendoci dove intuivamo esserci la parte giusta del mondo, quella dei poveri, di coloro che avevano interesse a cambiare un sistema che generava ingiustizia e discriminazione». In Bangladesh nasce la seconda figlia, che però a un certo punto è colpita da una malattia e rischia di morire. «Tornammo in Italia ma soprattutto io la vissi come una sconfitta: nel momento del pericolo avevamo tirato fuori il nostro passaporto occidentale.

I poveri con cui avevamo scelto di vivere questo non avrebbero potuto farlo». «Decidemmo di reagire e di provare a fare qualcosa nella nostra parte di mondo», dice. «Trovammo questa casa di contadini e siamo ripartiti. La strada oggi ce la indica papa Francesco, dicendoci che è possibile rivedere il nostro modello di economia alla luce del Vangelo. Spetta a noi però incamminarci in questa direzione e portare avanti percorsi innovativi».

 

Testo di Emanuela Citterio

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