N. 32 2014 10 agosto 2014
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Il coraggio di essere testimoni gioiosi della nostra fede

Cari amici lettori, oggi ci vuole coraggio a essere cristiani.

Sacerdoti sulle navi

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Scout

30 mila giovani sulle strade del coraggio

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In preghiera per il bimbo siriano

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Musulmani e cristiani uniti per il piccolo Ahmed

La comunità islamica di Messina e i padri Rogazionisti hanno condiviso i funerali del bimbo siriano morto cercando di raggiungere l’Italia...

 

INSIEME PER L'ADDIO - I funerali del piccolo Ahmed a Messina. Foto di Serena Capparelli

«Eravamo cristiani, musulmani, ortodossi, uniti dal dramma ma anche dalla passione per l’uomo: insieme abbiamo pregato per Ahmed». Padre Paolo Galioto è il superiore dell’Istituto Cristo Re che a Messina, nei giorni scorsi, ha aperto le porte alla famiglia del piccolo profugo siriano morto durante la traversata dalla Libia alla Sicilia. Nelle operazioni di aggancio del peschereccio, su cui viaggiavano i profughi, alla petroliera Torm Lotte, sono morte più di 30 persone: Ahmed, 4 anni, era il più piccolo.

Martedì 29 luglio Eddine e Nasin, mamma e papà, 38 e 40 anni, e le due sorelline, 4 e 7, si sono raccolti in piazza Unione Europea attorno alla bara bianca, rivolta verso La Mecca. Sul feretro una delle poche foto che i genitori possedevano, mentre per terra erano sistemate rose e fiori bianchi. Oltre all’imam Mohamed Refaat, che ha celebrato il rito, erano presenti le autorità civili, i rappresentanti della Caritas diocesana e delle associazioni di volontariato, e i padri Rogazionisti che subito dopo lo sbarco hanno accolto la famigliola nel loro istituto. «Siamo tutti un po’ Caino, nessuno escluso. Ovunque ci sono guerre, in tantissimi Paesi del mondo. Non è cristiano chi dice: se ne tornino a casa. Vi siamo vicini, genitori di Ahmed, così come possiamo», ha detto don Gaetano Tripodo, direttore della Caritas diocesana, durante l’ultimo saluto ad Ahmed. «Ho imparato l’importanza della solidarietà, del lasciar perdere le distanze fra chi è musulmano e chi non lo è», la riflessione dell’imam Refaat, «Ahmed è colpevole solo di essere nato al momento sbagliato nel posto sbagliato, lavoriamo per un futuro e un mondo migliore, dove i bambini pensino solo a vivere felici».

Nei giorni precedenti al funerale le bambine e i loro genitori sono stati assistiti dai Rogazionisti, già impegnati in città nell’accoglienza per i senza fissa dimora con case, ambulatorio e una mensa. «Accogliere è un nostro dovere: volevamo dare una mano alla famiglia e aprire il cuore per accompagnare Ahmed dopo la morte», racconta fratel Patrizio Marfè, che dopo la tragedia si è fatto in quattro per non far mancare nulla alle sorelline. «Abbiamo messo da parte le divisioni inaugurando una nuova modalità di interazione fra diverse religioni e istituzioni», aggiunge il superiore, padre Paolo Galioto, «in questi giorni a Messina è nata tanta solidarietà, riconoscenza, scambio: siamo davvero andati oltre i pregiudizi».

Facendosi aiutare dall’imam e da alcuni volontari per la traduzione, i religiosi sono riusciti ad avviare un dialogo profondo e affettuoso con i profughi. «Pur nel dolore, sono state giornate ricche di gioia e di condivisione. Ognuno voleva donare qualcosa, ciascuno ha offerto il meglio. Abbiamo ospitato le bambine e i genitori in una stanza dell’istituto, consumando i pasti assieme. Grazie ad amici e volontari abbiamo poi recuperato vestiti, valigie e soldi che serviranno alla famiglia per proseguire il viaggio verso una vita migliore», spiega il religioso.

Il giorno dopo i funerali i sacerdoti e i profughi si sono salutati con un ultimo pranzo assieme, proprio come in famiglia. Un modo per riacquistare un po’ di serenità perché, di certo, per i familiari di Ahmed non sono stati giorni facili. «C’erano dei momenti in cui mamma Eddin non faceva altro che piangere», ricorda fratel Marfè, «hanno sofferto molto durante il viaggio: pensavano che sarebbe durato 6 ore e invece sono state 26. Ascoltarli è stato impressionante. Avevano un lavoro, una vita. Hanno lasciato tutto, senza sapere se sarebbero arrivati. A noi religiosi che lasciamo tutto per seguire il Signore il loro esempio dice molto… con loro va via una parte del mio cuore».

«I genitori di Ahmed», conclude il religioso, «ci hanno insegnato l’umiltà, il sapersi accontentare. Continuavano a ripeterci “siete i nostri fratelli cristiani”. Da questa tragedia abbiamo imparato che fede e carità significano anche unità al di sopra della differenza di religione».

Testo di  Laura Bellomi

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