Credere n. 32 - 10/08/2014
Il coraggio di essere testimoni gioiosi della nostra fede
Cari amici lettori, oggi ci vuole coraggio a essere cristiani.
L’ultimo prete del mare
Anche Costa crociere rinuncia al cappellano di bordo: d’ora in poi sacerdoti sulle navi solo a Pasqua e a Natale. Don Artur…
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Sacerdoti sulle navi
L’ultimo prete del mare
Anche Costa crociere rinuncia al cappellano di bordo: d’ora in poi sacerdoti sulle navi solo a Pasqua e a Natale. Don Artur Jeziorek è stato uno degli ultimi apostoli del mare: «Che peccato, lontano da terra c’è bisogno di pace e conforto».
Con i marinai per sei anni Don Artur è stato cappellano di bordo per sei anni. FOTO CORBIS.
C’è un popolo invisibile che galleggia in mezzo al mare. Lavora giorno e notte perché la nave su cui è a bordo funzioni alla perfezione e i passeggeri siano al sicuro, felici e soddisfatti. Quasi nessuno si accorge di loro. Sono uomini e donne di nazionalità diverse, di lingue e culture lontane; sono cuochi, elettricisti, idraulici, macchinisti, inservienti, ufficiali, ballerini, che vivono confinati in una grande scatola chiusa e toccano terra dopo intere settimane di navigazione.
«A loro penso sempre e spero che trovino un nuovo amico con cui parlare e sfogarsi, adesso che i cappellani di bordo non esistono più. Spero che trovino la loro Stella maris, come la costellazione che nel cielo indica la rotta ai marinai e come la Vergine Maria, che è la nostra guida che ci protegge nella vita».
Parla così don Artur Jeziorek, 47 anni, dalla sua piccola stanza nella canonica di Fontecchio, diocesi di L’Aquila. Don Artur è stato un prete del mare per sei anni, dal 2008 al 2013, e gli ultimi due ha fatto anche da coordinatore dei cappellani di bordo. Poi un anno fa è dovuto scendere definitivamente per prendersi cura dell’anziana madre, malata di Alzheimer. E, senza saperlo, è diventato uno degli ultimi preti che hanno prestato servizio sulle navi da crociera italiane. Da quest’anno infatti la compagnia Costa ha deciso di dismettere gradualmente la figura del sacerdote di bordo: fino a maggio i “preti del mare” in Italia erano una trentina, ma da allora nessuno di loro si è più imbarcato.
Nell’ottica di ridurre i costi, la compagnia ha deciso di tagliare la figura del cappellano, imbarcato con la retribuzione di un ufficiale di bordo. Così facendo Costa si allinea a MSC e alle altre compagnie del mondo, che non hanno cappellani fissi a bordo. D’ora in poi i sacerdoti saranno invitati a bordo per Pasqua e Natale. Le cappelle nella nave resteranno sempre aperte per consentire a chi lo desidera di ritagliarsi un momento di silenzio e di preghiera, ma la decisione è ormai presa: niente più celebrazioni e confessioni in mezzo all’acqua. L’avventurosa esperienza dei “preti del mare” finisce qui.
Don Artur scorre le fotografie archiviate nel computer. Lo ritraggono con la divisa bianca graduata sulle maniche, lo sfondo azzurro del mare che si staglia luminoso dietro un’immensa nave ancorata alle sue spalle. In altre ha l’abito talare e ha appena finito di dire Messa; intorno a lui si sono sistemati tutti i lavoratori della nave che hanno partecipato. «Tu pensi che siano tutti cattolici», dice sorridendo il sacerdote, «ma non è così. Molti di loro si uniscono perché quella piccola cappella sulla nave è un luogo di riposo dell’anima, di preghiera, di condivisione, di unione. È il luogo neutro dove i conflitti sul lavoro si appianano, dove si trova il Signore che ci dà la direzione. E il Signore una direzione la dà a tutti».
Nato a Cracovia, ordinato sacerdote nel 1996 all’età di 27 anni, don Artur Jeziorek è diventato un prete del mare quasi per caso. Prima fu mandato a L’Aquila, poi l’asma lo costrinse a trasferirsi in Sicilia, a Milazzo, dove cominciò ad interessarsi, come cappellano, ai lavoratori marittimi. «Un giorno – racconta – mi chiamarono per andare a Civitavecchia perché lì volevano aprire una nuova sede dell’Associazione Stella Maris: la mia avventura è cominciata lì».
Per immaginarsela, quest’avventura, bisogna pensare di salire su un’immensa nave da crociera che percorre i mari per giorni e giorni, ma cambiare la prospettiva. La nave non è solo divertimento, piscine all’aperto, spettacoli teatrali e cene sontuose, tutte attività riservate ai turisti. Appena sotto il livello del mare, in stretti corridoi e anguste cabine inaccessibili ai passeggeri, si apre un universo fatto di stoviglie e cucine, attrezzi e motori, piccole nicchie dove dormono, mangiano, si riposano e lavorano qualcosa come mille persone.
Il più delle volte, i marittimi sono reclutati da agenzie del Sudest asiatico o dell’America latina, parlano lingue diverse, lasciano a casa le loro famiglie e stanno in mare per mesi e mesi. «Da più di 30 anni i cappellani di bordo sono stati imbarcati sulle navi da crociera italiane come ufficiali per il welfare dell’equipaggio, servendo e operando a nome dell’Apostolato del mare», spiega don Artur; «questo significa che il prete del mare non stava sulla nave “solo” per celebrare la Messa per i passeggeri. Buona parte del suo tempo era dedicato proprio ai marittimi, gente di mare che vive lontano da casa e che ha bisogno di parlare e di essere ascoltata. Il nostro compito era quello di organizzare per l’equipaggio attività di svago (escursioni, party, corsi, lotterie, partite), oltre, ovviamente, alle attività spirituali. Per molti lavoratori, il cappellano è sempre stato una specie di amico, a volte un papà». Essere prete imbarcato insomma non ha mai voluto dire farsi una bella crociera, ma, piuttosto, portare a bordo l’amore del Signore illuminato dalla luce del Vangelo.
«Una volta un gruppo di marittimi musulmani mi chiese di aiutarli a convincere il loro capo a fargli praticare il Ramadan. Io andai a parlarci», ricorda don Artur, «trovammo un salone, nella nave, dove quei ragazzi poterono pregare. Io mi misi in un angolino, e restai lì con loro. Spesso celebravo la Messa per l’equipaggio a mezzanotte perché era il loro unico orario di libertà. Una volta trovai la piccola cappella strapiena: c’erano ragazzi appena imbarcati dall’Indonesia. Chiesi: “Siete cristiani anche voi?”. Molti mi risposero di no, ma volevano pregare insieme. Dopo mesi, uno di loro mi chiese di essere battezzato». Continua: «A volte mi è capitato di conoscere marinai imbarcatisi giovanissimi, che non avevano avuto occasione di essere cresimati. Abbiamo fatto insieme una preparazione durata molti mesi, dopo la quale hanno ricevuto il sacramento della Confermazione. Non c’era mai un momento di tranquillità: venivano a bussare alla mia porta perché soffrivano la mancanza delle loro famiglie, perché avevano problemi con i colleghi, perché volevano confessarsi… Alcuni mi affidavano i loro risparmi, per custodirli fino alla fine dell’imbarco, che poteva durare anche, a volte, 11 mesi».
Chiuso in un’enorme scatola di ferro, il popolo del mare ha bisogno di un amico a bordo, un padre di cui può fidarsi, con cui può parlare, sfogarsi, piangere e condividere la gioia. «È per questo», dice don Artur, «che mi auguro che i cappellani un giorno possano tornare a fare il loro servizio».
Testo di Stefania Culurgioni