n. 32 - 2015 9 agosto 2015
Insieme di don Antonio Rizzolo

Vacanze, tempo favorevole per la lettura e l’incontro con Dio

Cari amici lettori, Credere non va in vacanza, così come la nostra fede.

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Maria Grazia Cucinotta

Quando il successo è a servizio degli altri

Simbolo indiscusso di bellezza mediterranea, l’attrice crede nel rapporto per sempre del matrimonio e ha scelto il volontariato per mettere a servizio  dei bisognosi la  sua notorietà. Una fede discreta, fatta di gesti concreti

 

Maria Grazia Cucinotta

C’è un episodio, più di altri, rappresentativo della personalità di Maria Grazia Cucinotta, e risale a un’afosa estate di quattro anni fa, a Venezia. L’attrice era attesa alla Mostra del Cinema, per presentare la sua prima opera da regista: il cortometraggio da 11 minuti Il Maestro. Il suo arrivo finì per mettere letteralmente a soqquadro la situazione: l’attrice aveva voluto, a tutti i costi, tirarsi dietro l’intera scolaresca coinvolta nel film.

Uno sciame di ragazzini, emozionati e chiassosi, si era così riversato al festival, mescolandosi a stampa, vip e ospiti d’ordinanza, con buona pace degli organizzatori che cercavano di mantenere tutto sotto controllo. Non paga, l’attrice aveva voluto addirittura condividere con loro il red carpet.

Perché questo è, prima di tutto, Maria Grazia Cucinotta: una donna concreta, pratica, per la quale il bene ha il volto di un bambino sorridente. La sua è infatti una fede discreta, mai sbandierata, che ai discorsi preferisce i fatti e i gesti concreti. «È stato il più bel red carpet della mia vita», ricorda l’attrice. «Avrei voluto sparire: ci tenevo che l’attenzione fosse su di loro e sul protagonista Renato Scarpa».

Un credo dunque fatto di semplicità, che si esprime in uno stile di vita sui generis per una star del suo calibro: a differenza dei colleghi, la Cucinotta è refrattaria al gossip, nonché felicemente sposata con il marito Giulio dal 1995. Mai uno scandalo, un amante o un tradimento all’orizzonte. Perché la fede è prima di tutto amorevole fedeltà all’uomo che il Signore ti ha messo accanto: tutto il resto, ossia i discorsi, i ragionamenti, i compromessi, vengono dopo.

Alla base, c’è solo quella promessa di reciproco impegno, benedetta da Dio. Inoltre, al suo lavoro di attrice, produttrice e regista, Cucinotta ha sempre alternato una fitta attività di volontariato. Le opere sostenute, a cominciare da Race for the cure, sono numerosissime. Perché, appunto, la Cucinotta guarda ai fatti.

Partiamo dall’inizio: come ha ricevuto il dono della fede?

«Lo devo ai miei genitori. Sono nata e cresciuta in una famiglia molto cattolica e sono fermamente convinta che esista un Bene superiore, e che la vita non finisca tutta qui. Nessuno scompare dopo la morte. Anche a mia figlia ho voluto dare un’educazione di questo tipo. L’ho iscritta a una scuola cattolica perché mi piaceva molto l’impostazione scelta dall’istituto».

Cosa rappresenta per lei la preghiera?

«Ammetto di non frequentare la chiesa assiduamente: non vado a Messa tutte le domeniche, ma la preghiera resta un gesto, personale, molto importante per me. È un momento dove uno si ritrova, si riprende in mano, si guarda dentro. Per cambiare bisogna partire da se stessi, riflettendo nel profondo, perché Dio non è Babbo Natale: ci chiede di interrogarci».

Perché ha deciso di dedicare così tante energie al volontariato?

«Il volontariato dà uno scopo alla mia vita e, soprattutto, alla mia professione. Mi permette di mettere la mia notorietà al servizio delle persone malate o bisognose, per le quali la visibilità non significa un fan in più, ma la salvezza o la guarigione».

Un modo singolare di concepire la popolarità visto che oggi, dai talent show a Hollywood, essere famosi è spesso sinonimo di narcisismo…

«Essere popolari solo per soddisfare il proprio ego, può funzionare per un po’, ma poi, alla fine, non porta a nulla. Inoltre si diventa popolari grazie alla gente, quindi è giusto restituire il dono ricevuto diventando la loro voce».

Come seleziona i progetti da sostenere?

«Non li scelgo mai a tavolino: mi arrivano. Le opere di bene nascono infatti dagli incontri: ti accorgi di condividere la stessa idea e desideri far parte del progetto. Sicuramente, però, un tema a me molto caro sono le donne. Per questo da anni sostengo Race for the cure di Roma. È un modo per promuovere la prevenzione (oggi una donna su tre si ammala di tumore) ma anche per far sentire le donne meno sole. Purtroppo l’aspetto più brutto della malattia è proprio la solitudine».

Lei è sposata dal 1995. Che valore ha il matrimonio, soprattutto in un ambiente come il suo, dove il “per sempre” sembra bandito?

«Il “per sempre” esiste, ma va costruito in due. Il matrimonio è una relazione dove non mancano i momenti di “cecità sentimentale”: anche se hai scelto di legarti a una persona, le differenze ci sono e ci vuole tempo perché si trasformino in complicità. Bisogna imparare ad ascoltare e capire il proprio coniuge. Oggi le persone si lasciano perché sono annoiate e credono che, passando da un moro a un biondo, la situazione possa cambiare. Ma non è così. Il mio lavoro mi porta a osservare molto la vita e le posso dire che le storie sono tutte uguali. Le dinamiche sono quelle e la fatica sta proprio nel costruire il “per sempre”. Non è cambiando che si risolve il problema, a meno che il partner non abusi di te o non annulli la tua personalità. In questi casi, non c’è legame che tenga… Ma se si vuole sempre e solo l’adrenalina dell’innamoramento, allora la ricerca dell’uomo giusto non finirà mai».

Lei ha anche una figlia. Come ha vissuto la maternità?

«Come una scoperta: al pari del matrimonio, la maternità si costruisce giorno per giorno. Se infatti l’amore per il proprio figlio è immediato, e sboccia fin dalla prima ecografia, l’istinto materno è invece una colossale bufala. Non esiste: quell’esserino che tieni in braccio è un completo estraneo e non hai la più pallida idea di come trattarlo. Giorno dopo giorno, però, ci si impara a conoscere. Quanto all’educazione, sia io che mio marito abbiamo messo nostra figlia al primo posto. Inoltre la teniamo lontana dal mondo dello spettacolo: soprattutto quando sono piccoli, i bambini devono essere loro i protagonisti della tua vita, non viceversa».

Da qualche anno si è avventurata nel mondo della produzione. Anche questo, come nel volontariato, può diventare un mezzo per aiutare le persone?

«Cerco di scommettere su film edificanti, con dei bei messaggi. La commedia può funzionare da specchio per tanti problemi, facendo sentire lo spettatore meno solo nelle sue difficoltà».

 

LA CARRIERA

Simbolo indiscusso della bellezza mediterranea, Maria Grazia Cucinotta diventa famosa nel 1994 interpretando Il Postino a fianco di Massimo Troisi.

Tra i suoi successi Il mondo non basta (1999) e Il rito (2011). La sua, però, è una carriera versatile: nel 2005 fonda una propria società, la Italian Dream factory, con la quale produce All the invisible Children e il recente Babbo Natale non viene dal Nord, prossimamente al cinema. Nel 2011 tenta anche la regia

con il corto Il Maestro, scritto dalla sorella e trasmesso da tv Diva Universal. Non mancano infine delle incursioni in tv, come la serie di successo Il bello delle donne.

Testo di Francesca D’Angelo

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