n. 35 - 2015 30 agosto 2015
Insieme di don Antonio Rizzolo

L’apostolato paolino, bello e impegnativo

Cari amici lettori, la copertina di questo numero è dedicata al famoso esorcista don Gabriele Amorth.

Gabriele Amorth

«Da partigiano a esorcista, ispirato da Alberione»

Gli anni della guerra in cui fu membro della Resistenza, l’impegno nella Dc, la scelta di diventare prete, l’incontro con…

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Gabriele Amorth

«Da partigiano a esorcista, ispirato da Alberione»

Gli anni della guerra in cui fu membro della Resistenza, l’impegno nella Dc, la scelta di diventare prete, l’incontro con don Alberione e padre Pio: il noto sacerdote paolino ci racconta la sua lunga storia, piena di svolte inaspettate

 

Don Gabriele Amorth.

Posso?». «Avanti!». Entriamo nella stanza di don Gabriele Amorth, sacerdote paolino e notissimo esorcista della diocesi di Roma, con un po’ di timore, sapendo che subito dopo il tempo concessoci per l’intervista dovrà affrontare un difficile caso di possessione diabolica. Ci fa accomodare su una sedia un po’ spartana e cominciamo l’intervista, sperando di non venire interrotti da una delle mille telefonate, che ogni giorno riceve da tutto il mondo per un rapido consulto, un appuntamento o una “benedizione telefonica”.

La sua camera nell’infermeria della casa religiosa dei Paolini a Roma è arredata in modo essenziale. Una statuetta della Madonna è appoggiata in modo discreto su una scrivania zeppa di lettere e di materiale di studio. Don Gabriele non ha mai smesso di documentarsi e approfondire l’oscura materia che tratta ancora regolarmente ogni giorno, nonostante la sua età.

La nostra curiosità, più che da esorcismi e possessioni diaboliche, è attratta dall’esperienza di vita di questo anziano ma pugnace sacerdote. Di lui si sa molto: che è un famoso esorcista, autore di numerosi libri e massimo esperto di demonologia; che ha appena compiuto 90 anni; che è di origine modenese; che non ha peli sulla lingua quando si tratta di difendere la dottrina della Chiesa; che parla spesso in tv e a Radio Maria; che, infine, come molti lettori ricorderanno, per oltre un anno ha collaborato con Credere, seguendo una rubrica intitolata Dialoghi sull’aldilà.

Per sciogliere la naturale tensione iniziale ci scherza su un po’: «Allora, cosa vuoi che ti dica?», rompe il ghiaccio lui. «Don Gabriele, com’è nata la sua vocazione sacerdotale?». «La mia vocazione? Ha avuto una lunga maturazione», esordisce perdendo lo sguardo nel vuoto alla ricerca di eventi che risalgono al lontanissimo tempo della guerra. «È nata presto, sui 10-12 anni. Avevo più o meno l’età di Gesù quando fu ritrovato nel tempio. Un giorno eravamo tutti a tavola: i miei genitori, due sante persone, i miei cinque fratelli maschi e io. Papà ci chiese: “Cosa farete da grandi?”. Risposi io per primo: “Farò il prete!”. E lui, immediatamente, quasi se l’aspettasse: “Sarei molto contento se succedesse”».

I segni della vocazione maturano in parrocchia durante i duri anni del fascismo. «Si confermò sempre di più in me l’idea di farmi sacerdote, non diocesano ma religioso. Ero orientato verso i Passionisti, perché conoscevo la vita di san Gabriele dell’Addolorata».

Nel 1942, a 17 anni e in piena guerra, animato da questa forte convinzione scende da Modena a Roma col suo parroco per incontrare i rappresentanti di quell’Ordine, di cui conosceva un sacerdote, che gli aveva promesso che avrebbe inviato una lettera di segnalazione ai suoi confratelli. «Arrivammo nel convento a sera, ma non mi fecero entrare, anche se avevamo portato da mangiare dei bei salami, che in quei tempi erano un buon lasciapassare. Ho poi saputo che la lettera di presentazione è arrivata la mattina dopo...». I due non desistono e si recano quella sera stessa nella comunità di don Alberione, oggi beato, fondatore della Società San Paolo (i Paolini, editori di Credere). «Sono andato da lui chiedendo cosa fare di fronte al mio dubbio. Noti che lo stesso anno ero andato anche da padre Pio, da cui volevo un’illuminazione sulla mia vocazione; ma questi mi diede una risposta piuttosto evasiva, che neppure ricordo, anche se poi ho continuato a frequentarlo per 26 anni con grande profitto per me. Don Alberione, invece, mi rispose: “Domani celebrerò una Messa per te e lo chiederò al Signore”. Il giorno dopo mi rispose: “È volontà di Dio che entri in San Paolo”. Mi determinai così a finire i miei studi classici e poi a entrare».

Il giovane Gabriele cresce, finisce il liceo classico, diventa capo partigiano, scelta che gli costa anche una condanna a morte. Però riesce a cavarsela. Alla fine della guerra entra in Azione cattolica, poi nella Fuci, si laurea in legge e, infine, milita nella Democrazia cristiana, dove conosce Giulio Andreotti e Alcide De Gasperi. Ma l’idea di farsi prete non lo lascia.

Il ricordo del beato Alberione è molto vivo in lui. «Don Alberione aveva fatto un voto alla Madonna: se nessun membro della Famiglia paolina fosse morto durante la guerra, egli le avrebbe costruito un santuario a Roma, proprio nella sede dei Paolini, in via Alessandro Severo. Quando lo incontrai nel 1942 gli chiesi di includere nel voto anche me e i miei fratelli, e lo fece. Per me era una prova per vedere se era stato veramente Gesù a dirgli che dovevo entrare nel suo istituto… Ebbene, siamo tutti usciti indenni dalla guerra. Mia madre è sempre stata convinta che sia stata la Regina degli Apostoli, a cui i Paolini sono devoti, ad aver salvato la vita a tutti noi. Il giorno della mia ordinazione sacerdotale, nel 1954, come da tradizione andai poi con la mia famiglia nel suo studio per riceverne la benedizione. Ci ha accolto chiedendoci: “Beh, come ve la siete cavata durante la guerra?”. Si ricordava tutto alla perfezione…».

Ricordi lontani, straordinari. «E oggi don Gabriele, a 90 anni, come vede la sua vita?». «Sento un grande senso di gratitudine verso Gesù e Maria. Non ho fatto niente di ciò che mi sarei aspettato e mi sono sempre trovato bene dappertutto, a parte un breve periodo che dovetti fare il superiore in Italia. Ho lavorato con gli istituti aggregati della Famiglia paolina, che sono praticamente nati con me su ispirazione dell’Alberione: i Gabrielini, le Annunziatine, i membri di “Gesù sacerdote”. Quanto sono cresciuti in pochi anni!».

Don Amorth da buon paolino è anche giornalista, avendo diretto il mensile Madre di Dio per molti anni. Dal 1986, poi, su chiamata del cardinale Ugo Poletti, diventa esorcista. «È un’esperienza inaspettata, che mi ha aperto un mondo totalmente nuovo che prima non conoscevo. Ho subito constatato che non c’erano esorcisti nonostante la grande richiesta. Così mi sono dato da fare per promuovere l’esorcistato. Quando ho cominciato eravamo 18, quando ho lasciato l’Associazione internazionale degli esorcisti da me fondata eravamo più di trecento». Oltre agli esorcismi don Gabriele scrive ancora oggi libri, riceve tuttora i suoi particolari “clienti” e predica dagli studi di Radio Maria.

Chiude l’intervista lanciando un incoraggiamento ai suoi confratelli, che oltre due anni fa hanno lanciato, pur in un momento di grande crisi dell’editoria, il settimanale Credere. «Siete stati eroici. È stato un atto di grande coraggio in questo momento di crisi, ma penso che, facendo del bene al popolo di Dio, crescerete sempre più».

 

Testo di don Stefano Stimamiglio

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