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Accoglienza sì, ma organizzata
Gli sbarchi sulle coste d’Europa ci costringono a una presa di coscienza collettiva, anche come Chiesa. Bisogna evitare due…
Ite, Missa est di Enzo Romeo
Accoglienza sì, ma organizzata
Gli sbarchi sulle coste d’Europa ci costringono a una presa di coscienza collettiva, anche come Chiesa. Bisogna evitare due tentazioni contrapposte: l’egoismo e la demagogia. L’accoglienza è un valore evangelico, oltre che un dovere civile, e su questo punto a nessuno è consentito di arretrare.
Ma l’ospitalità, pur doverosa, va organizzata. Se salviamo la gente in mare dovremmo evitare di lasciarla poi languire in centri di raccolta, alimentando speculazione, sprechi e malaffare. Va bene nella fase di emergenza trasformare un convento, una canonica o un seminario in alloggio per immigrati. A patto che sia una soluzione provvisoria, senza cristallizzare ciò che è temporaneo. Si confonderebbe, in caso contrario, ruolo religioso e civile.
Stato ed enti locali dovrebbero avere strategie lucide e concrete. L’immigrazione è una risorsa per chi sa incanalarla e valorizzarla. È giusto pretendere dall’ospite il rispetto delle regole, che però vanno onorate in primis dai cittadini della nazione ospitante. Possiamo dire che ciò avvenga da noi?
Più in generale va ricordato che la povertà e le guerre che alimentano l’immigrazione di massa sono state prodotte, almeno in parte, dalla logica di sfruttamento politico-economico dell’Occidente sul cosiddetto Terzo Mondo, che ha finito per elevarci a terra promessa. Adesso, spaventato dalla crisi, c’è chi vorrebbe ributtare in mare i tanti attirati qui come mosche sul miele. Reazione da non sottovalutare. Frédéric Vermorel, un religioso francese che vive da eremita nel Sud d’Italia, ha raccontato la rabbia di un suo giovane amico per i “trattamenti di favore” di cui godono i rifugiati, mentre lui lavora per un salario di miseria (600 euro al mese per 44 ore settimanali…). Afferma Frédéric: «Possiamo e dobbiamo contestare la nozione di trattamento di favore, ma non possiamo negare l’ingiustizia di cui soffrono tanti». E aggiunge: «Siamo di fronte a un pauroso vuoto di coscienza civica, di senso politico e di capacità organizzativa».