N. 36 - 2015 6 settembre 2015
Insieme di don Antonio Rizzolo

La vita consacrata, dono di Dio alla Chiesa

Cari amici lettori, protagonista della storia di copertina è una suora di 93 anni con un invidiabile spirito giovanile. Maria…

Storia di copertina | Maria Pia Giudici

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Storia di copertina | Maria Pia Giudici

Un cuore inquieto assetato d’infinito

Confidente del cardinale Carlo Maria Martini, che per tre volte la raggiunse all’eremo di San Biagio a Subiaco, suor Maria Pia Giudici, 93 anni, continua a trasmettere ai giovani l’entusiasmo per Dio e per una vita vissuta con intensità e passione. 

 

suor Maria Pia Giudici.

In foto: suor Maria Pia Giudici.

Avere quasi 93 anni e non sentirli, o quasi. Suor Maria Pia Giudici resta un vulcano di energia anche alla sua veneranda età, rispondendo al cellulare, a sms ed e-mail come una ragazza al passo con i tempi e attenta ai modi di comunicare nella contemporaneità. Ma con la sapienza del cuore e della mente che accompagna la sua scelta di vivere – lei, salesiana delle Figlie di Maria Ausiliatrice – all’eremo di San Biagio, sopra il Sacro Speco di san Benedetto a Subiaco (Roma). Un luogo incantato per la sua semplicità ed essenzialità francescana, per la natura incontaminata e selvaggia. Dove la religiosa accoglie con la comunità di suore chi vuole meditare, pregare, riflettere. «Diciamo di no a chi pensa di venire per fare una scampagnata o una gita», dice con la consueta franchezza suor Maria Pia. Che quassù è stata raggiunta per tre volte dal cardinale Carlo Maria Martini, venuto per parlare un po’ con lei. Instancabile, “spezza” la Parola proponendo la lectio divina a gruppi Scout, giovani, coppie, con un’attenzione particolare al dialogo ecumenico e interreligioso.

Ma come mai una vocazione apostolica come quella di una figlia di don Bosco, tutta scuola e oratorio, si trasforma in una vita eremitica sul monte Taleo? Lo racconta lei stessa, ripercorrendo le tappe del suo cammino spirituale cominciato in quel di Viggiù, nel Varesotto: «Sembrerà strano, ma ho preso coscienza della chiamata di Dio in un giorno di tarda estate, mentre correvo come una pazza in bicicletta su un rettilineo invitante. Avevo 19 anni e un cuore inquieto assetato di infinito. L’ebbrezza della velocità, stimolata da un’aria pulita e frizzante, a un certo punto divenne una cosa sola con l’intuizione che quello che cercavo era l’Amore stesso infinito. Dissi di sì al Signore e percepii dentro di me che era per sempre e che non mi sarei mai pentita. E fu così». Dopo aver iniziato gli studi universitari, la ragazza confida alla sua ex insegnante di filosofia «quella decisione rapida, che però avrebbe anche potuto essere frutto di illusione. Lei era una Figlia di Maria Ausiliatrice entusiasta della sua consacrazione a Dio per il bene dei giovani». Quella testimonianza luminosa contagia Maria Pia, che diventerà a sua volta una suora salesiana.

Dopo il Concilio – negli anni Sessanta, vivaci anche in ambito ecclesiale oltre che sociale – matura la vocazione nella vocazione: la religiosa, insegnante di Lettere, stava «vivendo una nuova obbedienza, un progetto innovativo per le scuole medie con testi ad hoc. Lavorai con un’altra consorella (ora in paradiso) preparando tre volumi di antologie. Poi mi chiesero di frequentare corsi preparatori alla lettura e alla valutazione critica dei film: i registi mi offrivano l’orizzonte di un’umanità tanto diversificata in culture e problematiche che mi sono poi servite come conoscenze utili all’accompagnamento spirituale. Avviai anche un cineforum settimanale per un gruppo di giovani laureate o universitarie o già al lavoro. Una sera mi venne in mente di proporre loro l’esperienza di un campeggio in tenda in Valle d’Aosta, nel luglio 1968, sulla parola di Dio». Gli ingredienti? Natura incantevole, compagnia gioiosa, il tema della fede nel Vangelo di Giovanni. Una consigliera generale delle Salesiane raggiunge il gruppo per una visita: «Mi venne, improvvisa, l’ispirazione di chiederle: “Perché non far sorgere un’opera nuova ma sempre a indirizzo educativo? Una casa per imparare a pregare e a vivere la Parola?”. Rispose: “Sì, credo che Dio e i tempi lo vogliano. Sosterrò la proposta in seno al Consiglio generale”. Dopo poco tempo fu eletta superiora dell’Istituto e nel ’77 approvò la realtà nata a San Biagio», ricorda suor Maria Pia.

Nell’eremo, arrampicato a 720 metri di altitudine, le parole d’ordine sono semplicità e sobrietà, preghiera e lavoro. «Gli ospiti sono invitati a condividere con noi la preghiera al mattino, a mezzogiorno, alla sera, e il lavoro che esige la casa: dallo sbucciare patate all’eseguire piccoli lavori artigianali in armonia con le proprie attitudini», riferisce la religiosa, che condivide questa scelta con tre consorelle. «Si aggiungono consacrate o consacrati per tempi sabbatici. Ai laici – giovani, adulti e coppie – proponiamo da settembre a giugno due percorsi su tematiche bibliche. Accogliamo anche eventuali pellegrini che si fermano per una sosta spirituale». Ogni anno, circa un migliaio di persone raggiungono San Biagio «in cerca di silenzio, ascolto, consigli in ordine a una vita decisamente cristiana. In molti, consapevoli o no, soffrono per il continuo stordimento di voci, proposte, ideologie offerte quasi a mo’ di realtà pubblicitarie. Malati per una continua dipendenza telematica, rappresentata a volte anche solo dal cellulare. Molta gente “sente” ma non “ascolta”. L’ascolto, infatti, richiede capacità di silenzio, attesa, accoglienza delle altre persone e creature. È impossibile vivere dinamiche relazionali che permettano anzitutto l’ascolto reciproco se gli individui non sono capaci di silenzio, attesa, ascolto di sé e delle proprie esigenze spirituali profonde». Per questo le suore hanno deciso «di non avere a portata di mano tv, radio e di essere molto disciplinate nell’uso di Internet, pur aggiornando un sito (www.sanbiagio.org) sulle attività della casa». Fra cui i corsi di iconografia: «Rientra nel nostro intento di far crescere la persona in un clima prioritario di sacralità dove la bellezza è saldamente unita a verità e bontà».

Testo di Laura Badaracchi

Foto di Stefano Dal Pozzolo

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