N. 38 - 2014 21 settembre 2014
Religioni, conflitti e morale

Esiste la guerra giusta?

Risponde il teologo gesuita Francesco Occhetta: di fronte alle violenze sulla gente inerme è lecito l’intervento armato solo…

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Religioni, conflitti e morale

Esiste la guerra giusta?

Risponde il teologo gesuita Francesco Occhetta: di fronte alle violenze sulla gente inerme è lecito l’intervento armato solo se proporzionato. Ma no a guerre di civiltà o scontri di religione.

 

Guerre giuste?

Sono giorni, questi, in cui il mondo ha il fiato sospeso. L’Ucraina vive forti tensioni con la Russia, mentre l’avanzata dell’Isis, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante i cui membri mozzano teste in diretta streaming, e il tentativo degli estremisti islamici di introdurre il Califfato in tutte le terre dell’islam interrogano l’Occidente. Minoranze etnico-religiose, anche cristiane, vengono massacrate o costrette a fuggire, forse per sempre. In Siria si sta verificando il più grande esodo – ben tre milioni di persone – dell’epoca moderna. L’Occidente sta muovendo timidi passi, sia a livello politico che militare. Anche la Chiesa, nel suo mandato di illuminare le coscienze, attraverso papa Francesco ha preso posizione sulla delicata congiuntura internazionale, parlando della necessità di «fermare» il genocidio. Ne abbiamo parlato con padre Francesco Occhetta, gesuita e scrittore della Civiltà Cattolica, esperto di teologia morale.

Padre Occhetta, come interpretare la posizione del Papa?

«Il Papa ha espresso la preoccupazione degli uomini e delle donne di pace. Davanti agli orrori che si stanno consumando in Medio Oriente è necessario intervenire al più presto per bloccare un nuovo genocidio. Va però sventato un rischio: considerare questi disordini come uno “scontro di civiltà” o, ancor peggio, una “guerra tra religioni”. Chiediamoci: siamo davvero di fronte a una guerra tradizionale? La strategia violenta e fondamentalista dell’Isis, che non è combattuta da Stati o tra Stati, non è una guerra ma un conflitto armato. E nasce tra musulmani. Siamo alla presenza di un’aggressione selvaggia a popolazioni che non sono mai entrate in guerra. È un conflitto simile a quello esploso anni fa in Kosovo. In questi casi la Chiesa giustifica un intervento armato attraverso azioni di “ingerenza umanitaria” e di “responsabilità a proteggere”».

Può farci un excursus storico della dottrina della Chiesa, per marcare eventuali differenze tra ieri e oggi?

«La Chiesa non solo non vuole la guerra, ma tutti i suoi sforzi sono spesi per costruire la pace. Benedetto XV definì la guerra una “inutile strage” nella famosa “nota ai belligeranti” del 1° agosto 1917. Durante la Seconda guerra mondiale, Pio XII fu il primo Papa a esporre organicamente le condizioni per un “ordine internazionale”. A chi gli suggeriva di sconfiggere il comunismo con una crociata, rispose: “Soprattutto no alla guerra! Una nuova guerra è impensabile. Sarebbe apocalittica”. A Paolo VI dobbiamo l’educazione alla pace, che inizia con i suoi undici messaggi nella Giornata mondiale della pace – dal 1968 al 1978 –, da lui inaugurata. Anche Giovanni Paolo II difese la “pace ad ogni costo”. Scongiurò il pericolo di una guerra totale e di religione, che molti politologi prevedevano in seguito all’attacco di al Qaeda alle Torri gemelle dell’11 settembre. Bastava una frase sbagliata contro l’islam per dividere il mondo tra confessioni religiose diverse. Non andò così per una scelta profetica. Nel 2002 lo stesso Papa fece incontrare ad Assisi tutti i leader religiosi per dire “no alla guerra” e, davanti agli orrori nei Balcani, definì per la prima volta il concetto di “ingerenza umanitaria”. Oggi, papa Francesco chiede di fermare l’aggressione, che distrugge gente inerme, donne, bambini, anziani, colpiti in Iraq perché appartenenti all’islam che non vuole diventare fondamentalista o perché sono cristiani. Insomma i Papi di questi ultimi 100 anni, più che “ideologicamente pacifisti”, si sono sempre dimostrati “realisti” per proteggere i più deboli, limitare i danni dei conflitti, salvare le minoranze cristiane, difendere il principio di libertà religiosa. È comunque sempre necessario distinguere le dichiarazione dei leaders politici da quelle di un Papa, che è invece un’autorità morale».

È vero che ormai il magistero della Chiesa ha di fatto abolito il concetto di «guerra giusta» e che combattere è sempre sbagliato?

«I due concetti non si contraddicono. La Chiesa ha rivisto la sua posizione dottrinale sulla guerra e la pace a partire dalla metà del secolo scorso, quando la guerra tradizionale ha cambiato la sua natura e si è trasformata in “guerra moderna”, quella dell’era nucleare. Nel 1991 i Gesuiti della Civiltà Cattolica scrissero un articolo affermando che, con l’avvento della “guerra totale”, la guerra non è in alcun modo permessa, è sempre un “male intrinseco”. L’articolo appoggiava le posizioni di Giovanni Paolo II. Ma il mondo cattolico si divise. Non potendo più parlare tecnicamente di “guerra” ma di “conflitti”, anche la dottrina della “guerra giusta” – mai ufficialmente citata in testi del Magistero – è diventata desueta. Era pensata per limitare le guerre attraverso una giusta causa, una difesa che fosse proporzionata all’attacco subìto e soprattutto dichiarata da un’autorità legittima. Nei conflitti attuali queste condizioni non sono quasi più presenti. Nel caso specifico dell’Isis? Un attacco sarebbe giustificato come male minore, una possibile omissione peserebbe sulle coscienze dell’intera comunità internazionale».

A questo proposito, gli Stati Uniti stanno bombardando con i droni, mentre Italia e Germania hanno deciso di inviare armi leggere ai curdi per difendersi. Qual è il limite secondo cui è lecito intervenire?

«È sotto gli occhi di tutti l’inerzia sia dell’Onu, bloccato dai veti incrociati tra Stati, sia dell’Europa. Eppure solo in Siria ci sono 3 milioni di sfollati. A livello politico l’intervento dell’Italia, che si profila come militarmente modesto, indica una responsabilità politica internazionale. Quali motivi avrebbe un Governo per lasciare quella situazione precipitare verso un triste destino?».

Nel caso in cui si stia perpetrando un genocidio, come capita oggi in Iraq a danno delle minoranze cristiana e yazida, è sempre lecito moralmente un intervento armato esterno?

«È importante che l’islam moderato condanni i massacri fatti dal Califfato. L’uso della forza deve essere accompagnato da una prospettiva di ricostruzione su tutti i piani: sociale, economico e politico. Un intervento proporzionato per fermare l’aggressore va accompagnato con un intervento diplomatico dell’Onu per scongiurare una pulizia di tipo etnico-religioso: no al massacro di cristiani e yazidi ma anche no a Paesi o a enclaves dati esclusivamente ai cristiani o ad altre minoranze. Il futuro è solo nella convivenza! La Chiesa chiede che gli interventi siano sempre e solo umanitari per evitare di favorire interessi geopolitici su popolazioni inermi. Inoltre, lo sguardo del credente deve saper riconoscere nei piccoli indifesi e nei tanti crocifissi la debolezza e lo scandalo della croce che ha vinto il mondo».

Testo di Gerolamo Fazzini

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