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Quei numeri sul braccio che non hanno mai voluto cancellare
Andra e Tatiana bucci, sopravvissute ad Auschwitz, hanno ancora sul braccio il numero: Andra il 76483, Tatiana il 76484. Sono un monito «Perché ciò che è accaduto, può di nuovo accadere»
Come ogni anno, guido cento studenti ad Auschwitz-Birkenau. Con noi, Andra e Tatiana Bucci. Con Sergio De Simone, loro cugino, furono deportate, piccolissime, in Polonia. La loro colpa: essere ebree, pur nate da matrimonio misto. Le due sorelle tornarono dal campo, Sergio no, lui non tornò. Fu sopraffatto dall’inganno perpetrato da Mengele una mattina di novembre del 1944, quando entrò nella baracca dei bambini e disse: «Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti». Sergio, come ricordano Andra e Tatiana, fece «quel maledetto passo avanti» insieme ad altri diciannove bambini. Saranno trasferiti al campo di concentramento di Neuengamme, vicino ad Amburgo, usati come cavie di laboratorio - a loro verrà iniettato il virus della tubercolosi - assassinati con la morfina e impiccati nei sotterranei della scuola di Bullenhuser Damm. Sono passati settantacinque anni.
Andra e Tatiana, come molti dei sopravvissuti nei campi, hanno voluto fare della loro voce la voce di quanti hanno subito la deportazione, l’umiliazione e la morte. Testimoni preziosi in una stagione in cui aumentano esponenzialmente persone che ridimensionano quanto le due sorelle raccontano o che, addirittura, negano l’esistenza dei Lager di sterminio. Sono spesso invitate nei teatri di tutta Italia a raccontare la loro storia, guidano gruppi di giovani e di studenti nella visita ad Auschwitz-Birkenau. Tatiana, che da molti anni vive a Bruxelles, ora si definisce serena. Andra, quando si parla del cugino Sergio, ammette ancora di «avvertire ancora dei sensi di colpa: per non essere riuscita a convincere Sergio e per aver avuto più fortuna degli altri bambini del campo». Entrambe, sul braccio sinistro hanno ancora impresso il numero: Andra il 76483, Tatiana il 76484. Numeri che non hanno mai voluto cancellare. Per loro un ricordo terribile della tragedia che li ha ingoiate. Per noi un monito. «Perché ciò che è accaduto, può di nuovo accadere. Sempre. Dappertutto» (Primo Levi).
llustrazione di Emanuele Fucecchi