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Un teorico lettore di Credere che non me ne fa passare una, mi compare quando invio gli articoli alla redazione.
L’esperienza
Il mosaico cubano che accoglie il Papa
Due preti-artisti, Don Giampiero Arabia e don Antonio Fois, raccontano la loro missione “molto speciale” all’Avana.
In foto: La facciata della cattedrale dell'Avana.
Non hanno esitazioni, entrambi, quando chiedo se i cubani si sentono vicini a papa Francesco: «È il loro Papa, un latinoamericano: lo sentono uno di loro, della loro terra. Da lui si sentono compresi e non devono spiegargli nulla, perché già conosce la loro situazione. Per questo si sono preparati ad accoglierlo con molta familiarità, anche chi non è praticante lo sente molto vicino». Don Giampiero Arabia e don Antonio Fois sono parroci a Roma, ma nelle scorse settimane sono stati nel centro storico dell’Avanaa per una “missione” speciale: montare un mosaico di circa 15 metri quadrati nell’abside della cattedrale dedicata all’Immacolata dove il pontefice ha presieduto i Vespri nel pomeriggio di domenica 20 settembre, incontrando sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi. L’opera è stata realizzata da don Giampiero, da sei anni pastore di periferia nella comunità Nostra Signora del Suffragio e Sant’Agostino di Canterbury, artista nel tempo libero.
«Al primo posto vengono sempre i miei parrocchiani. Ho uno studio attiguo alla canonica, dove realizzo i mosaici che mi vengono commissionati. In questo caso, mi è stato chiesto dal cardinale Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo di San Cristóbal de la Habana». Classe 1936, il cardinale è “titolare” della parrocchia romana Santi Aquila e Priscilla, dove don Fois è stato parroco fino a qualche giorno fa: «Ho incontrato spesso l’arcivescovo, fin dal 1994, quando ero viceparroco: veniva a trovarci due o tre volte all’anno, quando passava da Roma», riferisce don Antonio, che ha voluto acquistare il materiale per comporre l’opera, chiedendo all’amico don Giampiero (i due, di origini calabresi, si conoscono fin dagli anni del seminario nell’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano) di realizzarla, in tempo per la visita pastorale di Bergoglio.
«Tutto il progetto è nato rapidamente», racconta don Arabia. «Dopo l’idea di don Antonio, a giugno il cardinale mi ha chiesto di presentargli alcuni bozzetti, che ho preparato senza mai aver visto la cattedrale se non in fotografia. Avevo solo le misure e dovevo dialogare con una struttura architettonica sconosciuta, in stile coloniale, con i suoi colori e finestre. Non è stato facile: il mosaico ha bisogno di luce diretta, ma in questo caso c’è solo il riflesso delle fenditure chiuse da lastre di alabastro. Dovevo quindi usare oro e pietre in smalto con tinte molto chiare – dal raffinatissimo rosa del Portogallo al tenue giallo di Siena – per dare un effetto il più possibile luminoso. E il risultato finale mi ha dato soddisfazione».
Dal 16 luglio, giorno in cui ha posato la prima tessera, per tre settimane il sacerdote ha lavorato in tutti i momenti liberi e anche di notte all’opera, spedita poi a pezzi in una grande cassa pesante oltre mezza tonnellata e partita gratuitamente da Roma con la mediazione della Segreteria di Stato vaticana e dell’Ambasciata cubana presso la Santa Sede: «Dall’Italia è difficile spedire, perché c’è ancora l’embargo», spiega il parroco. Una volta giunta nella capitale dell’isola caraibica, la cassa è rimasta qualche giorno in aeroporto per i controlli doganali. «Siamo arrivati prima io e don Antonio, che si è occupato di tutta la logistica», scherza don Giampiero, quasi cinquantenne. In una cattedrale popolata da restauratori dentro e fuori, in quattro giorni di lavoro dall’alba al tramonto è riuscito a incollare al centro dell’abside – in piedi, su un ponteggio di legno con il prete compagno di viaggio che gli dava una mano – circa 150 porzioni del mosaico, che raffigura «due angeli in atteggiamento orante, uno in ginocchio e l’altro con un turibolo che emana incenso».
Cuba è «un grande cantiere, non solo per i restauri fatti in vista dell’arrivo del Papa: il popolo è animato da un fermento positivo e la comunità ecclesiale si presenta viva, accogliente, motivata e accompagnata nella formazione», racconta don Arabia. Gli fa eco don Fois, 45 anni, da settembre parroco a Santa Maria delle Grazie al Trionfale: «Finora sono stato dieci volte a Cuba e vedo una Chiesa in crescita: buona frequenza alla Messa domenicale, battesimi di adulti, protagonismo dei giovani. Una Chiesa che sta diventando protagonista del cambiamento anche perché ha avuto la pazienza di dialogare: in questo senso il cardinale Ortega ha avuto un ruolo importante. Lui tende a dimenticare le incomprensioni e le rigidità del passato: una bella testimonianza di serenità, in vista del Giubileo della misericordia».
Il 14 agosto i due sacerdoti erano presenti alla riapertura dell’ambasciata statunitense sull’isola, «un evento storico per i cubani», confermano. «Annullare l’embargo ha significato abbandonare il retaggio di una cultura che non apparteneva più ai nostri tempi», aggiunge don Fois. Insomma, un clima di novità in cui – nonostante le temperature tropicali – don Giampiero si è trovato a suo agio, respirando anche la voglia di bellezza e di arte da parte dei giovani. «Mi ha confidato che gli piacerebbe partire come fidei donum a Cuba per cinque anni», conclude l’amico don Antonio. «Ma non se ne parla: di lui abbiamo bisogno a Roma».
Testo di Laura Badaracchi