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La storia di copertina | Padre Anselm Grün
«Solo l’amore rende piena la vita»
Per il noto monaco benedettino, autore dei commenti al Piccolo Principe, l’uomo è chiamato a vivere le relazioni come «un impegno decisivo di consacrazione», cercando di «diventare sempre più se stesso».
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Nella foto: padre Grün, 70 anni, nell’abbazia di Münsterschwarzach, dove vive.
Nei commenti che ho scritto per la riedizione del Piccolo Principe ho cercato di individuare il significato profondo di quei testi e di sottolineare l’importanza di abbandonarci a una relazione autentica con gli uomini. Mettere in risalto ciò che è decisivo nella nostra esistenza: vivere l’amore piuttosto che puntare sul successo o sulla reputazione. L’amore vero non si improvvisa, per familiarizzare con esso occorre tempo, è una scelta importante perché implica responsabilità verso l’altro e verso se stessi».
Incontriamo padre Anselm Grün nell’abbazia benedettina di Münsterschwarzach, 140 chilometri a est di Francoforte, in occasione della ripubblicazione per i tipi della San Paolo del Piccolo Principe, l’opera imperitura di Antoine de Saint-Exupéry scritta nel 1942. Uno straordinario successo editoriale che non conosce tramonto perché parla di quello che interroga e affascina gli uomini da sempre: il senso della vita, il significato dell’amore e dell’amicizia. Padre Grün ha scritto dei brevi commenti alle pagine dell’opera, attingendo a quella vitale miscela di antica tradizione cristiano-monastica e moderna psicologia che lo hanno reso, nei suoi innumerevoli libri, uno degli autori di spiritualità più letti al mondo.
Padre Anselm, cosa l’ha colpita di più del Piccolo Principe?
«L’affermazione fondamentale del testo è questa: “Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato”. Qui viene ripreso in forma poetica il messaggio centrale del cristianesimo: l’amore è un impegno decisivo di consacrazione agli altri che ci apre a una vita piena. Lo stesso messaggio che, in forma letteraria diversa, ascoltiamo nella Liturgia della Parola durante la Messa. Possiamo imparare dal Piccolo Principe che credere nell’amore e in quella nostalgia di infinito presente nel nostro cuore non sia vano. Mi ha colpito il momento in cui lui torna alla sua stella e il poeta nel buio della notte, guardando in alto, sente un legame profondo con lui, quasi una nostalgia. Lo stesso, credo, vale per noi cristiani con Gesù. Egli ci ha annunciato una Notizia completamente nuova e ci ha mostrato il suo amore prima di salire al Padre. Anche noi, guardando alle stelle, possiamo sentire un legame con Lui. Infatti, come dice Paolo nella Lettera ai Filippesi (3,20), “nel cielo è la nostra patria”».
Come è nata la sua vocazione?
«Sono nato nel gennaio 1945 a Junkershausen, in Germania, in una famiglia molto cattolica con sette figli. Ho cominciato presto a fare il ministrante in parrocchia. Poi, a 10 anni, dopo la prima Comunione, ho confidato a mio padre che mi sarebbe piaciuto diventare prete. La prese molto bene. Aveva, infatti, un fratello monaco proprio a Münsterschwarzach, dove sarei entrato anch’io a 19 anni, proprio durante il concilio Vaticano II. Rimasi affascinato dai teologi che vi parteciparono, in particolare dal gesuita Karl Rahner. Mi affascinava molto poter studiare teologia e vivere secondo la Regola benedettina, che unisce la dimensione della preghiera a quella del lavoro secondo l’antico motto dell’ora et labora. Naturalmente ho avuto anch’io le mie crisi, dovute a volte alla paura di non farcela, altre volte alla solitudine. Negli anni Settanta, dopo il Concilio, sono usciti molti confratelli. È stata un’epoca di grande incertezza. Io ho deciso di restare e con altri confratelli abbiamo cercato di capire come potevamo essere monaci nel nuovo mondo che si stava profilando. Così abbiamo deciso di dedicarci alla rilettura e meditazione degli scritti dell’antica tradizione cristiana. Avevamo coscienza che uno dei compiti del monaco è di tradurre nell’oggi la sapienza cristiana. Abbiamo così ripreso gli scritti dei Padri della Chiesa e del deserto, della tradizione monastica e, naturalmente, della Bibbia cercando di rileggerli alla luce della psicologia e di capire cosa possano insegnare agli uomini di oggi. Questa è l’origine dei miei libri. Ormai sono 51 anni che sono monaco».
Cosa ritiene centrale nella tradizione cristiana?
«La nostra spiritualità ha al centro la prospettiva della trasformazione. La natura, la società, tutti noi cambiamo. Quello di cui parlo io è una trasformazione profonda, che incide nella nostra vita senza fughe dalla realtà. Lo scopo della trasformazione è di diventare uomini e donne diversi. La nostra spiritualità non ci proietta in un’altra realtà, sia pur divina, situata al di fuori della vita concreta; piuttosto parte dalla realtà – dalla mia vita concreta, dalle delusioni, dalle emozioni e sentimenti anche negativi – per trasformarla dal di dentro. È Gesù che trasforma l’uomo nel rispetto della sua libertà. Lo scopo del cammino cristiano è di diventare veramente se stessi entrando, mi scusi il gioco di parole, sempre più in se stessi. Diffido molto delle spiritualità che cercano una fusione con la divinità. Questo cammino viene da un rapporto profondo con Cristo, che cresce nella meditazione della parola di Dio, nella preghiera, nell’Eucaristia, nel vivere con coscienza i simboli della liturgia. La psicologia mi ha aiutato molto a tradurre nei miei libri questo affascinante cammino».
Come può l’uomo di oggi conoscersi meglio alla luce di Dio?
«Non si tratta di inventare delle tecniche. È importante ricavarsi un po’ di silenzio nella giornata, porsi davanti a Dio, sentire quali sentimenti salgono dal cuore, quali paure ed emozioni posso consegnargli con fiducia. Non bisogna avere paura di quello che si sente. Non devo nascondermi a Dio. Bisogna evitare sia di “moralizzare” la propria intimità, facendosi vincere dai sensi di colpa che Dio invece vuole solo curare, sia di renderla “patologica”, convincendosi di essere malati. Spesso nella nostra vita abbiamo vissuto dei dolori e delle delusioni che ci hanno cambiato dentro. Ecco, tutto questo dobbiamo guardarlo in faccia e consegnarlo a Dio. La tradizione cristiana ci dice che dobbiamo vederci nella verità perché Dio è più grande di ogni cosa. È importante il tempo dedicato alla preghiera all’inizio e alla fine della giornata, il benedire spesso i propri familiari, i colleghi di lavoro per quanto possano essere molesti, i vicini, gli amici... Così cambia davvero la nostra vita. È importante tornare a casa dal lavoro e lasciare tutto fuori dalla porta, senza avere rimorsi di quello che è stato o non è stato e consegnando tutto a Dio».
Testo di Stefano Stimamiglio
Foto di Andrea Scapolan
IL PICCOLO PRINCIPE
È in uscita nelle librerie la riedizione San Paolo del Piccolo Principe, con le suggestive illustrazioni di Bimba Landmann e il commento di padre Anselm Grün, che risveglia nel lettore il bambino assopito che si nasconde in ciascuno di noi. Un testo da meditare, oltre che da leggere.