N. 43 - 2015 25 ottobre 2015
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Con Credere per vivere insieme il Giubileo della Misericordia

La nostra rivista si rinnova e diventa ancora più diretta, per raccontare la gioia della fede cristiana anche in questo anno…

L'intervista | Mons. Rino Fisichella

«Solo l’amore rende piena la vita»

L’obiettivo dell’Anno santo? Mostrare a tutti la misericordia di Dio. Perché nessuno sia escluso...

Il personaggio | Don Alessandro Pronzato

Il prete che ha insegnato al Papa a predicare

L’autore dei libri che Francesco ha regalato a Fidel Castro ci racconta la sua vita, passata a “inquietare i parrucconi”

Ite, Missa est di Emanuel Fant

Un giorno una chiesa mi ha detto...

La costruzione di una cattedrale nel Medioevo era un’impresa di popolo. Tutti, nessuno escluso, partecipavano all’elevazione…

La collana | Misericordiosi come il Padre

Un amore sconfinato da vivere da vivere concretamente

In "Celebrare la misericordia, primo volume della collana dedicata al Giubileo, consigli e indicazioni pratiche per vivere…

Per una lettura completa...

Ite, Missa est di Emanuel Fant

Un giorno una chiesa mi ha detto...

Illustrazione di Emanuele Fucecchi 

C’è una chiesa che parla, vicino a Milano. L’ha costruita a mani nude fratel Ettore Boschini coi suoi barboni. Si rivolge in questi giorni alle comunità impegnate a stabilire se accogliere (o meno) una famiglia di richiedenti asilo. Lo ha chiesto il Papa in persona, eppure abbiamo mille comprensibili ragioni per provare paura. «Aiutiamoli a casa loro» è una saggia proposizione, ma non c’entra, a mio giudizio, con l’innesco della provocazione (che è interiore, non sociale).

È un cubo fatto con finestroni di ferro nero, non bello da fuori (da dentro nemmeno), profetico nell’architettura: in mezzo ci sono quattro piccole mura col tetto spiovente e la porticina, dove abita Cristo. Ne avvertiamo il mistero (è nascosto), ma lo sentiamo vicino (di casa). Fuori dall’uscio c’è l’altare al posto del giardino. Sui tre lati, le panche degli ospiti della comunità che lì vive: poveri, coi sacchetti pieni di malattie e di storie sconclusionate da raccontare. Le loro scarpe consumate poggiano su un pavimento rialzato per la misura di tre gradini. Hanno qualcosa degli esploratori intorno al focolare: dalla casina ricevono calore e hanno visi distesi perché la luce diffusa spiana le imperfezioni. Sono i molti sacerdoti di un culto che avrebbe messo i brividi ai pagani. Sempre appesi a una ringhiera che un giorno tenta col suicidio, un altro affaccia sull’abisso emozionante del mistero. Più sotto, in un abbraccio circolare, le persone che vengono ad assistere alle funzioni. Spesso introducono doni. Come api, senza accorgersi, si sporcano di polline le suole, fecondando il mondo fuori. Li chiamerei gli “involontari”, perché la cosa più importante che fanno non è frutto di una decisione.

La profezia che ha piegato i progetti di questa omelia di mattoni suggerisce che far seguire le azioni (nostre) alle parole (del Papa) è semplicemente una occasione. Calore a costo zero per l’inverno che si farà sentire. In particolare coi soffitti alti, senza dentro le persone.

 

 

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