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San Galgano
L'abbazia della spada nella roccia
Nulla a che vedere con Re Artù: l'arma del cavaliere Galgano infissa nel terreno dell’eremo di Montesiepi, nella campagna senese, è simbolo di rinuncia alla violenza per amore del Signore
(La spada nella roccia presso l'abbazia di San Galgano, foto iStock)
«Galgano per natione fu di Toschana, del contado della città di Siena, d’un castello che si chiama Chiusdino; lo cui padre ebbe nome Guidotto e la sua madre Deonigia...». Si apre così la Leggenda di San Galgano confessore, tramandataci nel Codice Chigiano della Biblioteca vaticana, ma che trova riscontro in numerose fonti storiche. Proprio di san Galgano conserviamo infatti le deposizioni di venti testimoni agli atti del processo di canonizzazione, che si svolse a Montesiepi dal 4 al 7 agosto 1185, cioè quattro anni dopo la sua morte. Nulla sappiamo della sua giovinezza se non che, divenuto cavaliere, fu «huomo feroce e lascivo a mmodo che sono ‘e giovani, implicato nelle cose mondane e terrene», insomma un giovane soldato dal sangue caldo e dalle forti passioni. A riscuoterlo fu la morte precoce del padre, cui seguirono due sogni in cui san Michele arcangelo invitava a seguirlo, per poi condurlo in una casa dalla struttura rotonda dove lo attendevano i dodici apostoli.
La croce fatta con la spada
Abbandonato lo stile di vita mondano, Galgano giunge miracolosamente nel luogo dove vivrà quale eremita – la collina di Montesiepi – e pianta a terra la propria spada, tramutandola così in una croce, a sigillo della sua decisione di rinunciare alla violenza per seguire Gesù, il Principe della pace. La spada conficcata nella roccia è il primo dei 18 miracoli documentati e attribuiti a san Galgano. Ed è visibile ancora oggi, all’interno dell’eremo di Montesiepi. La notizia del prodigio si sparse subito, al punto che, mentre Galgano si recava in pellegrinaggio a Roma, tre ribaldi armati «con marroni e altri ferri e con molta fadiga» tentarono di sfilarla dal suolo. Riuscendo solamente a spezzarla. Gesto che attirò lo sdegno di Dio: dei tre uno annegò, l’altro morì fulminato, un terzo si salvò dai lupi invocando il beato. Al suo ritorno, trovando la spada spezzata, Galgano chiese perdono a Dio per aver abbandonato il luogo del suo romitaggio e la spada fu miracolosamente rinsaldata. Fino a che, qualche anno fa, un turista non tentò di nuovo l’impresa: con lo stesso esito. Non bastando più le minacce del Cielo, ora, a difendere la spada dall’umana stupidità, vi è una calotta di plexiglass.
L'eremo e l'abbazia
Galgano morì a Montesiepi il 30 novembre 1181, dopo aver ricevuto da papa Alessandro III l’approvazione per la nascita di una comunità monastica. Intanto il colle divenne meta di pellegrinaggi e vi fu edificato l’eremo dalla peculiare cupola in mattoni bicromi, in memoria della «casa ritonda» rivelatogli in sogno dove lo attendevano i dodici apostoli. Solo quaranta anni dopo cominciarono i lavori dell’imponente abbazia, qualche centinaio di metri più in basso, di cui però, a seguito di vicende alterne, restano quest’oggi solamente mura e contrafforti esteriori. Intorno al 1550, infatti, Girolamo Vitelli, un laico usufruttario che esercitava un beneficio ecclesiastico sulla struttura, ne vendette il tetto in piombo, condannando l’edificio all’inesorabile rovina. Ciò nonostante, i suggestivi resti dell’abbazia restano una delle mete turistiche più visitate della zona, dopo Siena e San Gimignano. E oggi? «Galgano non è un santo sconosciuto», racconta don Vito Albergo, preposito dell’eremo e delle parrocchie circostanti.
Tra culto e leggende
«Non dimentichiamo», precisa don Vito, «che è uno dei primi santi di cui conserviamo i documenti del processo di canonizzazione. Nella zona c’è molta devozione ed è amato soprattutto dai giovani, che lo riconoscono come uomo di pace che rinuncia alla guerra, alla distruzione e alla violenza. La spada piantata nella roccia racconta il desiderio di vivere in armonia con Dio, con la natura e con gli altri». Niente a che vedere con i cavalieri della Tavola rotonda, dunque, nonostante vi sia chi periodicamente ripropone letture suggestive. C’è chi ha accostato il nome del santo a quello del nipote di Artù – Galvano, Gawain in originale – ma il nome “Galgano” risulta ben attestato dalle cronache del tempo. E l’antica e inconsueta cupola rotonda dell’eremo, invisibile dall’esterno? Non somiglia forse a una coppa rovesciata? Non potrebbe essere l’indicazione che il Sacro Graal sia sepolto lì, da qualche parte, sulle colline del senese? Chissà...
Un'antica confraternita
Da alcuni decenni si è inoltre rinvigorita l’antichissima Confraternita di San Galgano (confraternita-sangalgano.it), con sede a Chiusdino, nella cui prepositura si conserva la Sacra testa di Galgano, la sola reliquia a oggi pervenutaci. Anche se il Martirologio romano promulgato da san Giovanni Paolo II ne fissa la memoria liturgica il 30 novembre, giorno della morte di san Galgano, i chiusdinesi continuano a rispettare la precedente tradizione che ne vuole la festa il 3 dicembre, giorno della sua sepoltura sul mistico colle di Montesiepi, accanto alla spada miracolosa. «A laude e gloria del nostro Signore Gesù Cristo, lo quale regna col suo Padre in secula seculorum. Amen».
ORGANIZZARE LA VISITA L’eremo di Montesiepi è aperto tutti i giorni dalle ore 9 al tramonto, eccettuate le ore di pranzo. La domenica, Messa alle ore 11.30. I gruppi possono celebrarvi previo avviso al preposito. L’ingresso all’abbazia di San Galgano, gestita dal comune, è a pagamento (4 euro). Apre tutti i giorni dalle 9 al tramonto. Informazioni – condite di ironia toscana – sul sito www.sangalgano.info.
Testo di Paolo Pegoraro