Alla fine che cosa rimane? Soltanto l’amore
Cari amici lettori, la copertina di questa settimana è dedicata a don Virginio Colmegna, che guida la Casa della carità di…
Mi sento a casa dove c’è carità
Il sacerdote milanese che guida la “Casa della carità”, il centro voluto dal cardinal Martini per accogliere gli ultimi e…
In bici a Santiago, un bel colpo di testa
Demetrio Albertini, centrocampista rossonero e vicecampione del mondo, racconta la sua fede e il recente pellegrinaggio a…
Il dialogo che fa crollare i muri
A 25 anni dalla caduta del muro di Berlino don Andreas Leuschner ricorda come vivevano i fedeli della Germania Est e il suo…
I SANTI: COSÌ VICINI, COSÌ “FASTIDIOSI”
«I santi non sono persone fuori dal mondo ma donne e uomini che hanno vissuto sino in fondo la chiamata». Dalla prossima…
LA VERA FELICITÀ DIETRO UNA GRATA
Preghiera, lavoro e meditazione: dopo 37 anni in monastero, suor Maria Francesca Righi racconta la sua scelta di entrare…
Anniversario a Berlino
Il dialogo che fa crollare i muri
A 25 anni dalla caduta del muro di Berlino don Andreas Leuschner ricorda come vivevano i fedeli della Germania Est e il suo contributo al processo di riunificazione
9 NOVEMBRE 1989 - a Berlino la popolazione sale sul muro. Sullo sfondo, la porta di Brandeburgo.
«Al tempo della Repubblica democratica tedesca sentivamo una grande pressione politica, mentre nella comunità della Chiesa stavamo bene, come se fosse stato un polo opposto alla pressione esterna. Adesso naturalmente questa pressione non c’è più, abbiamo la libertà e molte possibilità, ma ci mancano le forze perché siamo diventati una comunità cattolica molto piccola».
A parlare è Andreas Leuschner, parroco della comunità di San Paolo a Leising, 70 chilometri da Dresda, dove i cattolici sono il 2% della popolazione. Il suo nome si trova nei libri di storia tedesca, nelle pagine che raccontano le settimane precedenti a quella giornata memorabile di 25 anni fa, il 9 novembre 1989, in cui il muro di Berlino cominciò a essere abbattuto.
Don Andreas ricorda quegli eventi con pacatezza e lucidità, con il distacco di chi sa guardare oltre il proprio vanto. Nato a Lipsia, all’epoca Germania dell’Est, nel 1951, è il più giovane di cinque fratelli, fa il chierichetto e gioca a calcio in parrocchia: «La chiesa era la nostra seconda casa», racconta. Diventa perito elettromeccanico e trova anche un lavoro a Lipsia, ma poi sente il desiderio di studiare teologia: «Per chi decideva di diventare sacerdote non c’erano impedimenti a frequentare gli studi teologici, ma era una cosa impossibile per i laici. Io volevo conoscere qualcosa di più della fede e quindi studiare teologia; il sacerdozio (a cui arriva nel 1982, ndr) e la scelta del celibato sono state conseguenze che ho accettato di buon grado».
Il clima all’interno della Chiesa era di grande libertà, anche al tempo della Ddr. Al di fuori invece c’erano forti limitazioni, ad esempio per i bambini: «A quattordici anni si faceva la festa d’ingresso nella società socialista che implicava la pubblica professione nello Stato ateo. Era volontaria, ma l’insegnante che riusciva a convincere tutti i suoi alunni riceveva un premio. Noi preti invece abbiamo sempre cercato di puntare alla libertà della persona», spiega il sacerdote.
Per alcuni, specie nelle famiglie cattoliche, la scelta diventava un motivo di lacerazione interiore. Spesso erano poi i più fragili che pagavano il prezzo più alto delle ritorsioni, mentre chi riusciva a resistere, a dimostrare di avere una fede solida, era rispettato. Certamente chi voleva fare carriera doveva iscriversi al partito socialista e ciò implicava l’uscita dalla Chiesa. Un’altra limitazione della libertà era legata alla impossibilità di viaggiare. E poi c’era il disagio di sapere che «c’era sempre qualcuno che nelle celebrazioni sedeva in fondo alla chiesa e scriveva tutto per il servizio di sicurezza. Di fatto non disturbava, però… ci disturbava eccome!», ricorda il sacerdote.
Nel settembre 1989 don Andreas è da poco arrivato in una parrocchia di Dresda. Da Lipsia si diffondono notizie di manifestazioni ogni lunedì, dopo la preghiera per la pace nella Christus Kirche. E si rincorrono anche le notizie sulle migliaia di persone che tentano di fuggire dalla Ddr. Il 2 ottobre si viene a sapere che da Dresda sarebbe transitato un treno per la Repubblica federale con circa 5 mila persone, scappate dalla Ddr e rifugiatesi nell’ambasciata della Germania Ovest a Praga. La stazione di Dresda è occupata e il treno viene preso d’assalto dalla folla che tenta di salire. La polizia interviene con violenza per sgomberare la stazione. Dopo quel fatto, ogni giorno verso sera, si ripetono le proteste e gli scontri tra i giovani e le forze dell’ordine: i giovani lanciavano sassi e la polizia li imprigionava, li sottoponeva a punizioni e torture. Anche in questi frangenti complicati don Andreas va spesso in città: «Volevo stare con la gente».
Domenica 8 ottobre nel pomeriggio, l’ennesima manifestazione repressa dalla polizia. «Quel giorno ero impegnato in una festa della comunità, ma il mio pensiero era con la manifestazione», racconta il sacerdote. «Appena ho potuto sono andato verso il centro e mentre ero in macchina ho visto alcuni giovani che camminavano gridando “Unitevi a noi, abbiamo bisogno di ognuno di voi”». Don Andreas si ritrova in testa al corteo, con la polizia schierata ad attendere i manifestanti sulla Prager Strasse: «Quando il corteo è arrivato sono scappato», confessa. «Poi però ho visto che chi arrivava dopo di me andava avanti nonostante la polizia e allora mi sono di nuovo unito a loro».
Fra la folla ritrova un amico sacerdote, Frank Richter, che lo incoraggia: «Bisogna fare qualcosa adesso, altrimenti chissà che cosa succede». Così, per iniziativa di questi due sacerdoti, nel giro di poche ore si costituisce il cosiddetto “Gruppo dei 20” che il giorno dopo incontrò il sindaco di Dresda con la richiesta di liberare i prigionieri e che, nei giorni successivi, portò avanti una serie di dialoghi con le autorità locali.
Avviato il gruppo, per don Andreas è di nuovo tempo di tornare in parrocchia e lasciare l’attività politica. Pochi giorni dopo, però, arriva la notizia degli eventi di Berlino: «Ne venni a conoscenza attraverso la televisione. Due settimane dopo andai nella parte ovest della città, non c’ero mai stato». Ad accompagnarlo è «la sensazione liberante e positiva di vedere cadere i muri e i confini attorno a noi e l’incognita di che cosa ci attendeva», con una parte della popolazione che auspicava e inneggiava alla Germania unificata e chi invece desiderava vedere una Ddr rinnovata. La Chiesa, ricorda il sacerdote, non si schierò con nessuna parte. «È chiaro però che nel nostro Dna c’era il desiderio di unità, il senso di uno stare insieme armonioso. Io ad esempio avevo la certezza di non correre pericoli, sapevo che il mio vescovo mi appoggiava e che, in caso di necessità, mi avrebbe aiutato. Penso che la nostra partecipazione ai momenti in cui, grazie anche alle pressioni di Giovanni Paolo II, la società si apriva, sia stata molto positiva».
Testo di Sarah Numico