N. 46 2014 16 novembre 2014
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In bici a Santiago, un bel colpo di testa

Demetrio Albertini, centrocampista rossonero e vicecampione del mondo, racconta la sua fede e il recente pellegrinaggio a Santiago de Compostela: un viaggiodi testa e di cuore

 

La Cattedrale di Santiago de Compostela

La Cattedrale di Santiago de Compostela

E dire che il fisico allenato non gli manca. «Eppure, il Cammino di Santiago è stato duro», ammette Demetrio Albertini, da poco rientrato da una dieci giorni di pellegrinaggio. È vero che, quotidianamente, di chilometri ne ha macinati una novantina (in bici, ovviamente), ed è anche vero che, nelle spaziose pianure della Castiglia e León, ha toccato punte di 120-130. Tuttavia, un’esperienza così faticosa Demetrio non se l’aspettava. «Era però un mio desiderio provarci», confessa l’ex calciatore, vicecampione del mondo nel 1994 e d’Europa nel 2000.

Che rivela: «Per arrivare alla fine, ci vuole una grande motivazione spirituale ma il Cammino è anche questione di testa». Detto dal centrocampista del Milan, soprannominato il “cervello” della Nazionale, è tutto dire.

«La volontà di arrivare a Santiago è nata tre anni fa: volevo partire con mio fratello (don Alessio, ndr) e con un mio amico. Poi, per impegni vari, il viaggio è sempre slittato, finché quest’anno ho deciso di non rimandare più. Non è potuto venire mio fratello, siamo partiti in due: nove tappe a ritmo serrato, perché non potevamo stare lontani dagli impegni lavorativi per oltre dieci giorni». Albertini era anche noto come il “metronomo”, perché dettava i tempi delle partite.

«La bici mi permetteva di fare nove tappe invece di trenta. Non si tratta di un’esperienza “speciale”, ma di un momento “personale”, un tragitto che per ogni persona ha un senso diverso, che ognuno deve trovare in se stesso. Per arrivare alla meta occorre determinazione, prima che velocità e forza nelle gambe».

Ma l’esperienza di un pellegrinaggio è fatta anche di volti, di mani strette. «Non era possibile essere “ciclabili” tutto il tempo», chiarisce Albertini, «per questo abbiamo fatto anche un po’ di tragitto a piedi, avendo modo di incontrare tutti gli altri fedeli che, come noi, affrontavano chilometri di preghiere e di polvere. Alcuni italiani e spagnoli mi riconoscevano (ha giocato anche nell’Atletico Madrid, ndr). Questa fraternità condivisa è stata uno degli aspetti più forti del pellegrinaggio».

Che, alla fine, si snoda sulla salita di Santiago che conduce alla cattedrale del santo: pochi metri in pendenza, eppure tra i più pesanti.

«Alla messa del pellegrino c’era tantissima gente: ho incontrato tanti coreani, e mi ha stupito vedere che il 95% dei fedeli era in viaggio spinto dalla fede, non per fare un’esperienza di turismo, né per una sorta di curiosità», aggiunge. Del resto, in casa Albertini la fede è sempre stata vissuta con impegno: Alessio, di 4 anni più grande, responsabile dell’Ufficio sport della diocesi di Milano e consulente nazionale del Centro sportivo italiano, ma soprattutto i genitori, «testimoni di una religiosità vera, profonda e concreta», spiega ora Demetrio. «È grazie a loro e alla loro educazione se la fede è parte integrante della nostra vita. Anch’io, come mio fratello, ho sempre vissuto la mia vita nell’impegno cristiano». Nasce anche da ciò la testimonianza dell’ex campione rossonero, oggi dirigente sportivo, contro le bestemmie in campo: «Oltre l’aspetto più propriamente religioso, c’è anche la maleducazione da parte di chi offende Dio. Da cristiano, mi sembrava giusto adoperarmi per questo aspetto. Il mondo del calcio non è senza Dio: io stesso conosco tantissimi giocatori impegnati».

Dalla vita pubblica a quella privata, Demetrio è un uomo molto attivo nel sociale. Oltre ad aver sposato la campagna Amref (vedi box), è un padre attento e presente. «Cerco di trasmettere ai miei figli, che frequentano entrambi la scuola cattolica, quello in cui credo, i valori che mi hanno testimoniato i miei genitori, prima di tutto nei comportamenti, e poi nella preghiera. È molto importante oggi che i genitori siano degli esempi, e non solo con le parole: per questo cerco di essere presente il più possibile».

 

Testo di Agnese Pellegrini

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