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Ite, Missa est | Enzo Romeo
Il vaccino della solidarietà
Ebola. Basta la parola a creare panico. Si invoca la chiusura delle frontiere, si inveisce contro gli immigrati irregolari e perfino contro i missionari ammalatisi in Africa, perché lì dovevano restare una volta infettati, anziché tornare in Europa a contagiare il continente.
Fra tanto baccano, qualcuno si assume il rischio della condivisione. Come i «Medici con l’Africa» del Cuamm, l’organizzazione di aiuto sanitario fondata nel 1950 dalla diocesi di Padova. A Pujehun, in Sierra Leone, una sua équipe (tre uomini e due donne) coordina duecento operatori locali impegnati nel contrasto all’epidemia.
Il dottor Giovanni Putoto, rientrato in Italia, racconta: «L’Ebola è un’ossessione che non abbandona e non dà pace. Non la vedi, ma è dappertutto, ti insegue e ti perseguita. Ha sequestrato le vite e le menti della gente. Non fa disuguaglianze sociali, di genere o di generazione. Le vittime sono lo specchio dell’umanità: uomini e donne, bambini e anziani, laici e chierici, ricchi e poveri, contadini o abitanti delle città. Tutti indistintamente cercano un segno di speranza, una prospettiva semplice: tornare a una vita normale, dignitosa, pacificata con la natura».
E un altro medico padovano, Matteo Bottecchia, ancora in Sierra Leone, aggiunge: «Sono donne e uomini forti e motivati quelli che portano avanti la quotidiana battaglia contro il virus, ma si confrontano con enormi difficoltà. Sembra una lotta impari, tra la rapidità di diffusione del virus e la lentezza nel fornire servizi sanitari di base. Il rischio è che l’apparente insormontabilità degli ostacoli porti rassegnazione e spalanchi la porta all’Ebola».
Quasi ottocento anni fa, Fernando Martins de Bulhões, meglio noto come sant’Antonio di Padova, scrisse: «Sia un uomo capace di consolare gli afflitti, onde evitare che, venendo a mancare i rimedi per guarire, gli infermi non cadano nella disperazione».
di Emanuele Fant