N. 47 2014 23 novembre 2014
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La testimonianza

Il mondo è bello anche visto da una carrozzina

A seguito di un grave incidente, Pierluigi Sommariva ha perso l’uso del corpo. Ma non ha smesso di aver fede e di sperare. In questi anni ha conosciuto l’amore, si è sposato e ha raccontato in un libro la sua storia.

 

Appeso sul muro di fronte a lui, il calendario è fitto di scritte. «Ogni giorno, segniamo i nomi degli amici che vengono a trovarci». Il letto è tra due pareti a vetro, che lasciano entrare nella stanza i colori autunnali del Monferrato. Pierluigi Sommariva mi accoglie sorridendo e sollevando leggermente un braccio. Gli stringo la mano, inerte. «Posso muovere solo questo, ma nelle dita non ho sensibilità». Il resto del suo corpo è immobile da 47 anni. Ma la passione per la vita, per la natura, per la moglie e gli amici, non si è mai spenta. È più forte di quel maledetto tuffo sulle sponde del fiume Erro, un grosso torrente che corre tra la Liguria e il Piemonte, e che nell’estate del ’67, a 19 anni, gli provoca una lesione midollare.

Il forte impatto con la pietra non gli fa perdere coscienza. I soccorsi tardano perché, tra i giovani dell’allegra compagnia, nessuno si accorge che Pierluigi non è più riemerso dall’acqua. Con la schiena che affiora appena, la testa sotto l’acqua e gli arti a penzoloni, sta per cedere alla disperazione e pensa: «È la fine. Dio, perdonami, aiutami!». Ma proprio in quel momento accade qualcosa che ancora oggi ricorda con le lacrime agli occhi: «Una voce d’amore, una sinfonia di infinite tonalità e melodie che trasmetteva tutta la bellezza, la dolcezza, la grandezza del creato, tenera e rigenerante». Una voce che lo rassicura e gli fa capire: «Non stai morendo, io sono con te e non ti abbandono».

Questa consapevolezza dà a Pierluigi la forza per fare l’unica cosa che potrebbe attirare l’attenzione dei bagnanti: butta fuori tutta l’aria che gli rimane nei polmoni e, attraverso quelle bollicine, il suo amico Bruno si accorge di lui.

Nella grande casa di campagna dove vive tuttora, ad Arzello, un piccolo paese della provincia di Alessandria vicino ad Acqui Terme, intorno al suo letto si prodigano da subito con amore mamma Agata Maria e papà Emilio, il maestro del paese. Ma ben presto, entrambi si ammalano di Alzheimer e Pierluigi decide di dimostrare loro tutta la propria gratitudine curandoli a casa, con enormi sacrifici e difficoltà, e coordinando una girandola di aiuti tra badanti, amici e vicini. La sofferenza spesso consiste nel non poterli assistere direttamente.

Oggi, Pierluigi ricorda: «Il mio prete mi diceva: tu chiedi aiuto, tante persone hanno voglia di fare qualcosa di buono. Io avevo sempre in mente una lista di nomi e numeri di telefono e sapevo esattamente cosa potevo chiedere e a chi, perché a volte c’erano vere e proprie emergenze. Ma, alla fine, trovavo sempre qualcuno che mi aiutasse. Per questo, credo che la Provvidenza esista e che, quando la invochiamo, lei è già operante».

Tra i doni che gli riserva, il più bello è la moglie Iwona. I suoi occhi azzurri vegliano premurosamente su di lui. Ma la loro vita non si è sempre svolta ad Arzello. Insieme hanno fatto gite al mare, visitato amici lontani, conosciuto nuove città. Condividono l’amore per la natura, per la poesia, per la preghiera. È stata lei a ideare la guaina di cuoio che consolida l’articolazione del polso e che, attraverso una piccola protesi di metallo, rende possibili alcuni movimenti come scrivere al computer, sfogliare un libro o mangiare.

Sono amici fin dagli anni Novanta. Ogni tanto, Pierluigi si faceva accompagnare in Trentino, dove lei, polacca, lavorava come infermiera. Nel 2001 decidono di sposarsi, creando scompiglio in tutto il paese: «Ho aspettato tanto prima di prendere questa decisione», confessa Iwona, «perché volevo essere certa che non lo stavo facendo per compassione, ma per amore».

Lo sguardo di Pierluigi, oggi, colpisce soprattutto per la sua luminosità. In questi 47 anni, ha subito sofferenze indicibili. Crisi, infezioni, ben quattro tracheotomie, lesioni alle ossa fragili come cristallo. Ma soprattutto la dipendenza assoluta dagli altri, in tutto. Sorprende l’umiltà e la gratitudine con cui accetta l’aiuto di chi gli sta intorno: «È un modo per dire agli altri che il loro lavoro mi dà gioia, per valorizzare ogni piccolo gesto».

Ma la bellezza, Pierluigi non la coglie solo nelle persone: «Ogni giorno, leggo la natura come un libro. Potrei raccontare la storia di ognuno di questi alberi da quando era solo una ghianda. Sono anche impegnato con un gruppo ambientalista della zona. Quando posso, chiedo a qualche amico di portarmi al fiume. Tutto parla della bellezza del mondo».

Il titolo del libro che racconta anche con un po’ di ironia la sua appassionante vicenda, che ha scritto completamente da solo, si intitola La meraviglia del respiro. Sono nato due volte. Parla, appunto, della bellezza del respiro: «Non capisco», ammette, «come sia possibile venire al mondo, scoprirlo e non essere riconoscenti, anche partendo da una cosa semplice come il respirare. Quando ci manca qualcosa, ci accorgiamo della sua bellezza. Ma perché non gioirne prima?».

Pierluigi è consapevole della mentalità corrente: «A volte, veniamo classificati come infelici. Io voglio smentire questa visione. Non c’è nessuna situazione disperata, se noi stessi non ci disperiamo. Sono sempre possibili spazi di amore e di bellezza per cui vale la pena vivere. È vero, non un centimetro del mio corpo, in questi lunghi 47 anni, è stato risparmiato dalla sofferenza. Ma io credo ancora che Dio sia buono e ci ama. Non posso negare il dolore che ho provato nel cuore, nel corpo e nella mente. Ma so che Lui è più forte di qualsiasi esperienza negativa che possa travolgermi».

 

Testo di ILARIA NAVA

 

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