N. 48 2014 30 novembre 2014
Antonio Conte

«Do tutto perché Dio mi ha dato tanto»

Fede, famiglia, voglia di fare sempre meglio: per la prima volta il Ct della Nazionale di calcio spiega in esclusiva a Credere…

INSIEME di don Antonio Rizzolo

L’Avvento ci ricorda le tre venute di Cristo

Cari amici lettori, il numero di Credere che avete tra le mani è come sempre ricco di belle storie in cui la fede è protagonista…

La testimonianza

Quelle suore fedeli alla loro gente

Le missionarie della Consolata sono rimaste in Liberia a fronteggiare Ebola. Il racconto di suor Anna Rita Brustia

Movimenti laicali

La gioia della missione contagia il mondo

La gioia del Vangelo: una gioia missionaria è stato il filo rosso del terzo Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e…

Ite, Missa est | Enzo Romeo

L’elogio della “restanza”

In un recente cineforum al Seraphicum di Roma, la facoltà teologica dei frati minori conventuali, il regista Giovanni Veronesi…

Santi & Preghiere

«Sant’Antonio, il “mio” santo della vita»

La scrittrice Antonia Arslan è nota in tutto il mondo per il romanzo sul genocidio degli armeni. In esclusiva, racconta la…

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Ite, Missa est | Enzo Romeo

L’elogio della “restanza”

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

 Illustrazione di Emanuele Fucecchi

In un recente cineforum al Seraphicum di Roma, la facoltà teologica dei frati minori conventuali, il regista Giovanni Veronesi ha svelato che ha in progetto un film su storie di ragazzi che hanno abbandonato l’Italia, perché considerati un peso anziché una risorsa. Non è un paese per giovani, questa l’ipotesi di titolo, che rovescia quello della famosa pellicola dei fratelli Coen e riflette il sentimento di resa che aleggia sulla Penisola.Siamo nell’Italia del fuggi fuggi, del si-salvi-chi-può. La crisi di sistema ? che dall’economia si estende a politica e società ? sta erodendo la speranza. Partire è di nuovo un imperativo, solo che 50 o 60 anni fa si saliva sul treno con una valigia di cartone carica di fiduciose aspettative; oggi si prende l’aereo con un trolley pieno di scetticismo sul domani. Chi ha i mezzi per farlo, manda i figli a studiare all’estero. Che farsene della lingua di Dante? Da noi ? dicono ? non ci sono prospettive né futuro. E poi, meglio lavapiatti a Londra, nel crogiolo di una metropoli che non giudica, piuttosto che dottori disoccupati al paesello tuo, dove gli sguardi compassionevoli o maliziosi dei vicini sono già un certificato di fallimento.

Ma partire non è tutto. Bisogna intanto distinguere ? come ha detto più volte papa Francesco ? l’errare dal viaggiare: il viaggio vero presuppone una meta, chiara e precisa. Inoltre, chi parte deve aver coscienza di quel che lascia, del mondo che rimane alle spalle, che magari non è stato sondato e conosciuto a dovere. Un antropologo calabrese, Vito Teti, memore della fatica di tanti migranti della sua terra, nel libro Pietre di pane, impasta e sforna un elogio della “restanza” da contrapporre alla foga dell’erranza. Restare ? afferma Teti ? è un’avventura non meno decisiva e fondante del viaggiare. Non è una scorciatoia, una scelta di comodo, anzi è un atto di incoscienza e, forse, di prodezza. Parole che nel nostro Paese “in uscita” andrebbero meditate, se si vuol provare a invertire la rotta.

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