Credere n. 5 - 01/02/2015
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Costanza Miriamo | Dopo il convegno di Milano
Ma quale omofobia? Vogliamo soltanto attenzione alla famiglia
Le polemiche sull’evento milanese hanno fatto perdere di vista le tematiche al centro del dibattito. Ce lo spiega una delle relatrici.
Prima di tutto i fatti. Voglio essere originale, come giornalista, e una volta tanto partire da ciò che è veramente accaduto, visto che sul convegno di Milano sulla famiglia non lo ha fatto quasi nessuno.
Padre Maurizio Botta, Marco Scicchitano, Mario Adinolfi e io giriamo da un po’ le periferie romane a parlare di famiglia, della necessità di aiutarla, di identità maschile e femminile, di rispetto della vita umana, dell’obbligo di non manipolarla – cosa che si rende necessaria quando a desiderare (legittimamente) un figlio sono persone omosessuali –, di teorie del gender.
A noi sembra un’emergenza culturale, e non credo che ci sbagliamo se il Papa, tornando dal viaggio in Asia, ha definito l’ideologia del gender qualcosa di simile alla dittatura, qualcosa che manipola le coscienze dei nostri bambini e ragazzi come si faceva con la gioventù hitleriana. Ci è andato giù pesante, e questo ci ha molto confortato. Ci è anche sembrato un segno del cielo, perché le sue parole sono venute il giorno dopo del tanto discusso appuntamento milanese.
Ma torniamo ai fatti, come se si fosse giornalisti seri. Pur volendo parlare alla gente, nelle periferie romane, ci siamo detti che sarebbe valsa la pena di fare uno dei nostri incontri anche a Milano, per suscitare magari pure in altri la voglia di parlare, per accendere un altro fuoco dall’altra parte di questa penisola che può svolgere un ruolo importante in Europa in questa battaglia per l’uomo (perdonate il termine guerresco, ma come vedrete la situazione lo consente).
Abbiamo chiamato qualche amico milanese, loro hanno fatto rete, si sono consultati. I soldi (per la sala, perché noi facciamo tutto gratis, che sia chiaro) non ci sono. Qualcuno pensa di chiedere una mano alla Regione, sensibile al tema della famiglia. La Regione dice sì, offre la sala, e alcune associazioni mettono il loro nome per dire che sostengono la nostra iniziativa. Tra di esse Alleanza Cattolica, Nonni 2.0, Obiettivo Chaire, una piccola associazione che – vengo poi a sapere, non la conoscevo – nel corso di tanti anni ha fatto nelle parrocchie un accompagnamento pastorale di persone omosessuali che chiedevano aiuto perché vivevano con profondo dolore e sofferenza la propria condizione. D’altra parte il Catechismo dà un giudizio chiaro, non sulle persone, ma sulla loro tendenza, giudicata oggettivamente disordinata. Dunque se uno è cattolico necessariamente dovrà fare un percorso per trovare la pace con se stesso, come peraltro a me risulta che dobbiamo fare tutti. La vita del Battesimo è comunque una battaglia profondissima, che va a incidere dolorosamente le radici più profonde del nostro “io”.
Risultato? Apriti cielo: «Obiettivo Chaire vuol curare i gay», dunque «il convegno è omofobo» e «Maroni vuol curare i gay». E via sparando, e alzando sempre più il tiro. Lo dico per l’ennesima volta: tutti i nostri incontri sono registrati su YouTube – se avessi un potere nell’Ordine comminerei a certi colleghi la condanna di andarsi a sentire tutti i miei interventi pubblici, e senza una flebo di caffè al braccio, col divieto di chiudere gli occhi – e nessuno di noi ha mai detto niente né di omofobo né della necessità di far curare i gay.
Il problema è che la tecnica adottata dai nostri critici, che hanno posizioni oggettivamente indifendibili, è quella dello “straw man”: io ti dico che due uomini o due donne non possono concepire un figlio e quindi se lo vogliono (desiderio, ripeto, legittimo, ma che purtroppo si scontra con un limite imposto dalla realtà, non dalla Chiesa) devono per forza pagare qualcuno che lo faccia per loro, e tu cominci a gridarmi che sono omofobo, che voglio far curare gli omosessuali come se fossero malati.
Mi gridi contro che sono asservita a una parte politica, mentre io andrei a parlare di questo ovunque, anche con Emma Bonino con cui non condivido nessuna delle battaglie (ma spesso mi viene nel cuore quando prego), e di politica so poco o niente, per cui dei politici presenti in sala non mi sono minimamente interessata: tutti erano benvenuti, soprattutto i parlamentari cattolici, e chiunque lo avesse voluto sarebbe potuto essere comodamente seduto in sala. Mi gridi che non sono democratica, se un giovane bocconiano attivo in politica sale sul palco togliendo il microfono a padre Maurizio e qualcuno lo zittisce (nessuno dei presenti ha potuto parlare, neppure quelli venuti da Caltanissetta o da Cagliari coi bambini, prendendo le ferie e spendendo i risparmi). Mi gridi che sono complice dei pedofili se in platea (in platea e non sul palco) c’è un sacerdote su cui c’è stato un procedimento ecclesiastico, e alla fine il quadretto è completo. Ecco servito il convegno omofobo antidemocratico pedofilo.
Nei telegiornali e sui quotidiani neanche una frase dei nostri interventi, neanche mezza. Solo le reazioni dei manifestanti fuori. Un tempo almeno si faceva il “panino”: una dichiarazione dell’uno, una dell’altro, in mezzo una fetta di quelli di qua e uno strato di quelli di là. Invece niente. Non una parola su quello che si è detto. Sulle differenze di funzionamento tra uomo e donna. Sulla necessità di aiutare le lavoratrici a essere madri, e non le madri a lavorare. Sul fatto che la rivoluzione sessuale ha reso le donne infelici. Sulla contraccezione che ha tolto alle donne il potere, illudendole di consegnarglielo. Sul fatto che la Chiesa è rimasta l’unica ad annunciare all’uomo la verità su se stesso.
Mi piacerebbe tanto che in questa emergenza, in questo tsunami che ha travolto l’uomo, come ha detto il Papa alla Cei, sempre riferendosi al gender, almeno noi cattolici rimanessimo uniti, consapevoli della posta che c’è in gioco, e cioè l’uomo stesso. Consapevoli del ruolo che abbiamo come e più di sempre, di essere lampada sul moggio. Consapevoli del fatto che ognuno dovrà combattere sul suo fronte: a scuola, sui giornali, coi colleghi di lavoro o allattando figli e correggendo compiti, perché tutto quello che si fa a favore della famiglia è un grande bene per tutta la società. Consapevoli che, se la vita diventerà così manipolabile, l’uomo trasformato in merce, i bambini comprabili, i vecchi e i malati eliminabili, cosa rimarrà di noi?
Testo di Costanza Miriano