N. 51 2014 21 dicembre 2014
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Torniamo alla fede semplice e gioiosa di Betlemme

Cari amici, tra pochi giorni è Natale. Vogliamo vivere insieme questo momento fondamentale dell’anno liturgico, presentandovi…

Il personaggio - Elisa Di Gati

«Mia figlia è meravigliosa, l’avessi “fatta io” non sarebbe così unica»

«Mia figlia è meravigliosa, l’avessi “fatta io” non sarebbe così unica»

Ite, Missa est | Emanuele Fant

L'inchino

C’è chi ha l’Audi, chi il Fiorino, io come automobile aziendale ho la Panda con la statua della Vergine sul tetto e la scritta…

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Il personaggio - Elisa Di Gati

«Mia figlia è meravigliosa, l’avessi “fatta io” non sarebbe così unica»

«Mia figlia è meravigliosa, l’avessi “fatta io” non sarebbe così unica»

Elsa Di Gati, 52 anni, è cresciuta in una casa gremita di fratelli, cugini e nipoti

Elsa Di Gati, 52 anni, è cresciuta in una casa gremita di fratelli, cugini e nipoti. Foto di Valter Pignatiello/Olycom

Quando cresci in una casa grande, gremita di fratelli, sorelle, cugini e nipoti, è difficile non sognare di costruire, in futuro, una famiglia così anche per se stessi. E infatti questo era il profondo desiderio di Elsa Di Gati, giornalista e conduttrice del programma quotidiano Mi manda Raitre: sposarsi, allevare tanti bambini – almeno tre – e apparecchiare una grande tavola, a più posti, dove raccogliersi tutti insieme alla domenica. Esattamente come avveniva a casa sua, quando il padre vaticanista rientrava dai suoi viaggi di lavoro.

Ma il dono della vita è, appunto, un dono: non lo si può pianificare. Arriva e basta. E nel suo caso non è sopraggiunto: dopo un aborto naturale, Di Gati ha compreso che non avrebbe potuto avere figli. Una notizia che ha sconvolto la conduttrice, mettendo perfino in crisi la sua stessa fede. «È stato l’unico vero momento buio della mia vita», conferma Di Gati. «Mi chiedevo cosa avessi fatto di male per essere punita: in fondo, ero una persona per bene, rispettosa degli altri, con una certa educazione. Ricordo ancora che quando ero rimasta incinta, mio padre mi aveva detto: “Adesso sei stata baciata da Dio”. Una frase meravigliosa, che mi era rimasta impressa. Poi però è arrivato l’aborto spontaneo, e il significato di quella gravidanza mi sfuggiva».

Come ha superato questo profondo momento di dolore?

«È stato fondamentale il supporto del mio confessore, che ha ascoltato pazientemente tutte le domande che avevo, persino quelle che non pensava avrebbe mai potuto sentir pronunciare da me... Ha avuto la pazienza di ascoltarmi e di aspettare che io elaborassi l’accaduto. Insieme a lui, ho capito che non si trattava di una punizione, ma di una croce. Perché la vita è anche questo: sofferenza. Ognuno di noi è chiamato a portare una croce, chi più piccola chi più grande, e Dio ti aiuta a superare le difficoltà. Bisogna imparare ad accettarla: a caricarsi questo fardello sulla schiena e andare avanti. Addirittura anche trasformando la croce in una cosa bella: se avessi portato a termine la gravidanza, probabilmente non avrei mai avuto la bambina che ho adottato. Una figlia meravigliosa: se l’avessi fatta io, non mi sarebbe venuta così bene!».

Molte donne ricorrono alla fecondazione assistita, piuttosto che pensare all’adozione. Aveva preso in considerazione anche questa opzione?

«Mi hanno proposto di fare di tutto, ma mi sembrava di andare contro natura. Rispetto le scelte delle altre donne, ma personalmente non volevo accanirmi sul mio corpo. La mia fortuna è stata anche quella di avere avuto a fianco un marito che mi ha detto: “Io e te comunque formiamo già una famiglia, e io sono felice lo stesso”. Siamo andati avanti così per un po’. Poi, su suggerimento di una mia amica medico, abbiamo tentato la strada della adozione. Eravamo un po’ spaventati dalla burocrazia. E a ragione: per adottare mia figlia abbiamo impiegato sei anni. Probabilmente, se i tempi fossero stati meno lunghi, avrei adottato tre bambini anziché uno!».

Al di là della burocrazia, qual è l’aspetto più faticoso dell’adozione?

«Essere genitori adottivi è molto impegnativo perché non fai più i conti solo con te stesso, ma devi alleviare la sofferenza dell’altro. E non sempre trovi le parole giuste. Per noi, infatti, il mancato legame di sangue non è un problema, mentre è difficile spiegare a mia figlia, che ha gli occhi a mandorla e si mette davanti allo specchio nel tentativo di raddrizzarli, che i suoi lineamenti arrivano dai propri genitori, che però non si sa bene che fine abbiano fatto».

Che tipo di educazione avete deciso di darle?

«Io e mio marito abbiamo storie diverse, e non la pensiamo sempre allo stesso modo, ma sull’educazione di mia figlia siamo assolutamente d’accordo: nessuno mette in dubbio l’opportunità di battezzarla o di mandarla a catechismo. In realtà, credo che se mio marito non avesse condiviso i miei stessi valori non mi avrebbe consentito né di adottare un bambino né di educarlo così: esiste un modo di essere credenti che va al di là dell’etichetta».

Oltre a essere moglie e madre, conduce Mi manda Raitre: un programma che è 100% servizio pubblico. Ma anche i suoi precedenti lavori non parlano mai alla pancia. La sua è stata una scelta di campo?

«Ho rifiutato proposte che probabilmente mi avrebbero dato maggiore notorietà. Ma non ho mai avuto un “problema di autografi”: non faccio questo mestiere per diventare famosa. Sono contentissima di poter lavorare a Mi manda Raitre perché ti rendi conto che fai davvero servizio pubblico. È un’enorme soddisfazione veder andare via il cittadino con le lacrime agli occhi perché gli hai risolto il problema della cartella esattoriale pazza».

 

Testo di Francesca D’Angelo

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