N. 7 2015 15 febbraio 2015
Sommario 7 - 2015

Credere n. 7 - 15/02/2015

Insieme di don Antonio Rizzolo

Annunciare Cristo agli uomini di oggi

Cari amici lettori, permettetemi questa settimana di dedicare questo breve spazio al nuovo superiore generale della Società…

La storia di copertina | Don Marco Pozza

Don Marco Pozza: quel Dio “imbarazzante”

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Per una lettura completa...

La storia di copertina | Don Marco Pozza

Don Marco Pozza: quel Dio “imbarazzante”

Dio imbarazza, spiazza. è con l’effetto sorpresa che ci recupera sempre e dovunque siamo, fosse pure l’inferno del carcere. Il sacerdote ci parlerà di questo Dio spiazzante nei dossier di Credere, dal prossimo numero fino a quello di Pasqua.

Nella foto: Don Marco Pozza celebra un battesimo in carcere

Nella foto: Don Marco Pozza celebra un battesimo in carcere

«Da piccolo mi arrabbiavo perché il mio aquilone non si alzava in volo. Papà allora mi gridava: “Mettilo controvento!” Funzionava!…». Non si sceglie di vivere controvento. Per qualche folle solitario è una vera e propria vocazione, una specie di malattia da cui non è possibile guarire. Per fortuna. La stessa malattia che sembra aver contratto don Marco Pozza, che, con l’esempio dell’aquilone, inizia a raccontarci di sé, ricevendoci a Padova, nella casa della diocesi dove abita, in pieno centro.

Ci narra di quella cara nonna, che, negli anni dell’infanzia, fu la sua miglior catechista con la sua semplice testimonianza, del seminario minore e delle pene sofferte in quello maggiore a causa della sua irrequietezza. Poi il primo incarico dopo l’ordinazione, a 24 anni, nella parrocchia della Sacra Famiglia a Padova, dove capisce che i giovani sono scappati dall’ovile e che, se vuole incontrarli, occorre acchiapparli dove sono: per strada, nei bar della zona, a zonzo. È qui che si vedono, si raccontano, ridono e scherzano. E lui decide d’inseguirli proprio lì, per incontrarli, per stanarli dalle loro solitudini. Fra uno “spritz” (da cui il suo vecchio nomignolo, “Don Spritz”) e una chiacchera, racconta loro le storie del Vangelo. «Ho sempre usato l’effetto sorpresa: non si accorgevano subito che ero prete. Pian piano ho cercato di accendere in loro una lampadina e li ho spinti a farsi una domanda: perché non potrei andarci anch’io, anche una sola volta, a Messa?». A lui piace l’idea di una Chiesa che si butta in strada, che si fa vicina ai giovani. «La domenica sera tiravamo su 400-500 ragazzi a pregare in chiesa con noi», ricorda con nostalgia.

Don Marco, “prete controvento”, parla diretto, veloce, chiaro. Fa mille esempi. Forse è per questo suo essere fuori dagli schemi che cattura l’attenzione dei tanti giovani, che incrocia nelle scuole e nelle parrocchie di tutta Italia (oltre 70 mila quelli che ha già incontrato) andando a predicare – moderno pellegrino della lieta novella – quello che lui chiama “l’imbarazzo di Dio”. «è la capacità di Dio di sorprenderci sempre per riportarci a Lui, dovunque siamo finiti, fosse pure l’inferno della delinquenza, della droga, del non senso», chiosa. Ragazzi che lo seguono fedelmente sul suo seguitissimo sito www.sullastradadiemmaus.it. Quell’esperienza parrocchiale, per la cronaca, finisce male. La sua sfrontatezza nel ribaltare le stanche logiche di una pastorale sorpassata dai tempi non va giù a qualcuno. «Quando sono contrastato, trovo grande forza», spiega, con la sua verve.

Dai superiori viene scelto il male minore e viene mandato a Roma per continuare gli studi teologici. «Ero contento di tornare sui banchi di scuola: il cristianesimo si diffonde per la testimonianza dei credenti, certo, ma anche dando ragione della speranza che è in noi». Dal 2007 al 2011 completa il dottorato in Teologia fondamentale alla Gregoriana. «Ho conosciuto alcuni professori che mi hanno fatto amare la teologia: i padre Gallagher e Spadaro, Giuseppe Mazza... Mi hanno fatto capire che non è solo un sapere, ma anche un sapore e una sapienza antichi».

È il tempo della riflessione, della maturazione, in cui lavora su se stesso, sul suo carattere irruento, costruendo pagina su pagina il suo pensiero teologico, i cui effetti si vedranno poco tempo dopo, quando comincerà a pubblicare libri di successo. Un tempo che, guardando indietro, porta oggi a un’ammissione interessante, che nulla toglie al suo andare controvento: «A 24 anni hai la pretesa di cambiare il mondo. Riconosco, dieci anni dopo, che ero un po’ provocatorio nel mio modo di essere...».

Originario di Calvene, comune dell’Altopiano di Asiago, in provincia di Vicenza, don Marco tradisce a ogni frase, detta con un’inconfondibile cadenza veneta, quel fuoco che gli brucia dentro. «Io so che la mattina mi alzo e vado in guerra. Ne ho bisogno. Quando entro in carcere so quando entro ma non quando e come esco. Le sorprese di Dio sono sempre dietro l’angolo…».

Già, il carcere. Il Due Palazzi, la struttura penitenziaria del capoluogo patavino in cui oggi svolge principalmente il suo ministero, ha conosciuto un’importante premessa ai tempi di Roma. «A me, che vengo da una terra leghista e che non ho mai amato particolarmente chi nella vita ha sbagliato e paga con il carcere, è capitato casualmente di celebrare una Messa al carcere di Regina Coeli. Lì mi si è aperto un mondo imbarazzante, quello di un Dio che, imbarazzandomi, cioè spiazzandomi riguardo alle mie idee, mi ha costretto a fare verità su me stesso». Imbarazzato al punto che, tornato a Padova, chiede e ottiene di fare il cappellano del carcere. «Prima la mia parrocchia era la strada, ora è la strada interrotta della gente che incontro in carcere e mi aiuta a coltivare ancor di più l’immaginazione: più fisicamente si è rinchiusi, più la fantasia corre liberamente... Nella mia terra natìa ho imparato che le case più belle non sono quelle che costruisci da zero, ma quelle che prendi vecchie e cadenti e restauri». E, in carcere, quante vite da restaurare...

Anche la sua fantasia corre. E quanto! Soprattutto quando pensa alla Chiesa. «Ambisco a una Chiesa che esca dalle sacrestie e che rischi del suo per immergersi senza paura nel mondo. Don Ciotti, quando assassinarono don Peppino Diana, disse che lo avevano ucciso perché disturbava: una Chiesa che non disturba non ha niente da temere. Una Chiesa che non disturba non è la mia Chiesa. Una Chiesa che s’ispira alla freschezza del Vangelo è quella che sogno». Ai tempi di papa Francesco sono parole che suonano bene. «Oggi manca la passione, la consapevolezza che quella struttura, che ha funzionato per secoli, oggi non funziona più. Occorre cambiare, non cancellando il passato, ma rischiando per far rivivere in modo nuovo la fede. Se c’è un futuro nel cristianesimo – e c’è perché lo Spirito Santo soffia anche oggi – non sarà frutto di una strategia pastorale fatta a tavolino, ma perché ci saranno persone capaci di incendiare il mondo con la loro passione per il Vangelo e per Gesù». Poi scandisce quelle parole – affettività, immaginazione, sensibilità... – che dobbiamo riscoprire e che una certa spiritualità del passato ha messo in soffitta. «La nostra fede non ti chiede di annullare le passioni, ma di farle esplodere. Un Dio che mi chiedesse di rinnegare quello che è più umano, non merita di essere ascoltato. Papa Francesco ha trovato la categoria giusta: la periferia. La Chiesa del futuro è quella in cui ti siedi accanto alla povertà e la servi».

Il vulcanico don Pozza cerca di comunicare le sue pazze idee maturate sui banchi di scuola, coi giovani e nel carcere anche scrivendo. L’imbarazzo di Dio (San Paolo), libro che va a ruba alle sue presentazioni, sarà seguito ora dai dossier di Credere, che usciranno a partire dalla prossima settimana fino a Pasqua. «Nei dossier parlerò di un Dio che ci incontra facendosi toccare, ascoltare, annusare, guardare… e alla fine anche gustare nell’Eucaristia. Arriveremo a parlare dell’esuberanza di Dio, un Dio che non si accontenta: non c’è grandezza se non c’è esagerazione, non c’è Vangelo senza la certezza che alla fine l’amore immenso ed eterno di Dio trionferà».

Il tempo stringe. Gli impegni lo chiamano a uscire di casa. Accompagnandoci alla macchina c’è il tempo per un’ultima considerazione. «Dentro alle vite distrutte che trovo in carcere, cerco quei particolari su cui aiutare le persone a ricostruire la propria vita. Non esistono persone cattive. Esistono solo persone infelici. L’infelicità porta a imboccare scorciatoie fallimentari, che attendono solo qualcuno che le redima, riaccendendo l’entusiasmo “imbarazzante” di Dio». Quello che vive oggi Zhang, il ragazzo cinese che si sta preparando al Battesimo avendo come catechista e futuro padrino Armand-Davide, suo compagno di cella, battezzato qualche mese fa. «Una consegna della fede nel buio di una cella. Tanto simile a quella dei primi secoli della Chiesa, quella delle catacombe».

 

Testo di Stefano Stimamiglio

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