Credere n. 8 - 22/02/2015
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Giacomo Celentano, nel nome di quel Padre che è nei cieli
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La storia di copertina | Giacomo Celentano
Giacomo Celentano, nel nome di quel Padre che è nei cieli
Il cantante e scrittore, figlio del “Molleggiato”, si svela: il difficile confronto con i genitori famosi, le crisi di panico, la ricerca di senso...Poi quel viaggio a Lourdes e l’incontro con la moglie Katia che lo hanno aiutato a riscoprire la fede.
Siamo “figli di”, e lo saremo per sempre. Siamo la storia di un cognome e quella di un dolore che diventa grazia. Siamo sulla stessa barca di chi come Giacomo Celentano, secondogenito di Adriano e Claudia Mori e oggi a sua volta padre di Samuele, 9 anni, impara ad amare un altro padre: Dio. Lo scopro leggendo In nome del padre (Piemme), il suo viaggio nella paternità diviso nei tre capitoli della sua esistenza.
«È un libro che dovevo scrivere da tempo. Oggi la figura paterna è in crisi, sembra che basti la mamma per fare una famiglia», precisa Giacomo, 48 anni, musicista (anche d’ispirazione cristiana: tiene concerti di christian music in teatri e stadi di tutta Italia, soprattutto durante i raduni legati ai veggenti di Medjugorje) e scrittore.
Tredici anni fa cantavi al Festival di Sanremo ma eri ancora in viaggio...
«Sì. Dal 1990 ero ammalato d’ansia (Giacomo ha raccontato la sua malattia in un precedente libro, La luce oltre il buio ndr). Avevo appena pubblicato il primo disco, Dentro il bosco, ma non avevo le forze per far nulla. Mi lacrimavano gli occhi, respiravo male, non riuscivo neanche a deglutire. Mi sono allontanato anche dalla mia famiglia per ritrovarmi. Anche nel 2002 sul palco dell’Ariston la tachicardia non mi ha mai abbandonato. Con gli anni ho trovato finalmente un medico attento e padre Emilio: nel 2005 è finito tutto».
Chi è padre Emilio?
«Ho conosciuto padre Emilio nella chiesa di Sant’Antonio di Padova di via Farini a Milano. Era il frate che seguiva i cammini vocazionali dei giovani e io l’ho cercato. Ho fatto anche io il mio cammino con lui, era la persona giusta. Il percorso è durato quasi due anni, il periodo perfetto per capire tutto: in quegli stessi giorni ho incontrato Katia, la donna che sarebbe diventata mia moglie e la mia vocazione mi è stata chiarissima».
Cercando te stesso hai riconosciuto l’amore...
«Ho capito che quella difficoltà era l’occasione per capire il progetto di Dio su di me. Più frequentavo la Confessione e l’Eucaristia, più mi sentivo meglio fisicamente. Anche se Katia è una ragazza molto più giovane di me e di una classe sociale diversa dalla mia, ho riconosciuto subito che era lei la donna giusta. Ci siamo sposati (nel 2002, ndr) ed è arrivato nostro figlio, un’avventura meravigliosa».
Che posto lasci nella tua giornata alla fede?
«Prego, prego tantissimo. La mattina recito il Rosario, prima dei pasti ringrazio, durante la giornata dico l’Angelus, e poi le preghiere della sera. La domenica vado nella chiesa milanese di Sant’Agostino perché ho trovato un confessore bravissimo. Mio figlio invece va con la mamma nella parrocchia vicino a casa nostra».
Come è avvenuta la tua conversione?
«La mia conversione è un viaggio che non si è mai fermato. Ma alla base c’è l’incontro con Katia. Avevo 30 anni. Lei era una ragazza di grande fede, che condivideva i miei principi: il nostro primo sguardo è stato così intenso che mi è sembrato di vedere nel suo volto quello di Cristo. Ma la premessa di quell’incontro è stato un viaggio fatto con mamma Claudia e papà Adriano a Lourdes. Era il 1996, una sera ci siamo ritrovati in silenzio nella grotta dell’apparizione. Candele, malati, preghiera. L’atmosfera era bellissima. Ho raggiunto da solo la statua della Madonna. Mi sono inginocchiato e ho iniziato a pregare così: “Ti chiedo se puoi aiutarmi a realizzarmi nella mia vita”. È passato solo un anno e ho conosciuto Katia».
Come coltivi la tua spiritualità?
«La mia è una spiritualità tutta mariana: sono devoto al culto della Divina Misericordia, quello che ci ha fatto conoscere santa Faustina, e alla Regina della pace di Medjugorie. Trovo molta forza dai loro messaggi. Sto anche leggendo per la seconda volta il Vangelo, un libro che mi ricorda tanto mio padre. Capitava che da piccoli, quando ci mettevamo attorno alla tavola per cenare, lui iniziasse a raccontarci qualche passo».
Che peso ha avuto la tua famiglia d’origine nel tuo percorso?
«Grandissimo. Si andava a Messa la domenica tutti insieme, si condivideva una fede molto forte, e si parlava di temi cristiani con papà proprio come facciamo ancora oggi. Come ho detto, il viaggio fondamentale a Lourdes l’ho fatto con i miei genitori. Credo però che, a un certo punto, a ciascuno di noi il Signore chieda un percorso personale con lui. A me per esempio ha chiesto quello della sofferenza».
Le sofferenze sono ovunque, molte sembrano spesso ingiuste: come te le spieghi?
«Tutto il dolore nel mondo è una conseguenza della scelta sbagliata che abbiamo fatto durante la creazione del mondo. In ogni caso, il nostro non è un destino di disperazione. Dio permette la sofferenza perché tramite essa ci aspetta una grazia più grande».
Ti sei sentito fortunato come figlio?
«Sì, mio padre ha una capacita? di discernimento che non deriva dai suoi studi o dai suoi interessi. Credo si tratti di un dono dello Spirito Santo, in particolare del dono della sapienza, attraverso il quale l’anima acquisisce un senso soprannaturale, che rende capaci di guardare alle cose, meditandole non secondo la mentalita? degli uomini, ma secondo il punto di vista divino».
Come fai invece a vivere la tua paternità nel nome della fede?
«Seguo il messaggio del Vangelo: cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose le avrete in sovrappiù. Metto al primo posto Dio, e dopo arriva tutto. Anche l’ispirazione per fare le scelte giuste con un figlio. La preghiera è il miglior modo che ho per proteggere Samuele. Due-tre sere alla settimana lo coinvolgo nelle preghiere. Mi piacerebbe seguisse la strada del sacerdozio o della vita monastica ma lo aiuterò qualunque strada scelga. Non è facile essere padre oggi nella nostra società, vedo la gente perdere la fede o dire di non credere: l’Europa è in piena apostasia silenziosa».
Cosa serve per proteggere un matrimonio?
«Serve un marito, una moglie e Dio, il collante. I messaggi della Regina della pace parlano della necessità di pregare in famiglia e leggere la Bibbia. Una crisi di fede è l’anticamera di un divorzio».
Qual è il messaggio cristiano che ha rivoluzionato la tua vita?
«Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Io ho sempre cercato di seguire Cristo, anche quando ero stanco di vivere, nel pieno dei 20 anni la folla mi confondeva, gli amici mi provocavano. E io però continuavo ad affermare la mia fede».
Testo di Rossana Campisi