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Quel sogno di fratellanza cullato in Russia
Nonostante le difficoltà ecumeniche, lo storico incontro tra il Papa e il Patriarca di mosca a cuba testimonia il desiderio…
Ite missa est di Enzo Romeo
Quel sogno di fratellanza cullato in Russia
Nonostante le difficoltà ecumeniche, lo storico incontro tra il Papa e il Patriarca di mosca a cuba testimonia il desiderio di unità in Cristo
Fëdor Dostoevskij scrisse L’idiota nel 1868 durante l’esilio a cui l’avevano costretto il demone del gioco e l’epilessia. Il principe Myškin, un uomo completamente buono, è coinvolto suo malgrado in torbide vicende che si dipanano tra Mosca e San Pietroburgo. Myškin attraversa la storia degli uomini del suo tempo quasi come un altro Gesù, colui che è senza peccato. «La pietà è la cosa che più preme, forse l’unica legge dell’esistenza umana», scrive Dostoevskij mentre cerca nella visione cristiana una verità superiore, e riflette sulla colpa e sulla possibilità di redimersi.
L’incalzante invito alla misericordia di papa Francesco non è affatto distante dallo spirito russo simboleggiato dal grande scrittore. L’“idiozia” di Myškin è la fede assoluta negli altri. Da giovane, Dostoevskij fu condannato a morte per le sue idee socialisteggianti, condite di utopismo evangelico. L’esecuzione fu sospesa quando il condannato si trovava già sul patibolo e venne poi commutata in quattro anni di lavori forzati. Un’esperienza che lo marcò per sempre, nella vita e nella letteratura, fino a I fratelli Karamazov. Per lui il tormentoso travaglio del dubbio e della fede si risolve nella cognizione che il male è annidato nella negazione di Dio. Riconoscere la potenza dell’amore divino consentirà di costruire una fratellanza universale, a cui la Russia contribuirà in modo decisivo.
La morte improvvisa di Dostoevskij spezzò questo sogno, ma il desiderio di unità in Cristo rimane. L’incontro del Papa e del Patriarca di Mosca ne è tangibile testimonianza. E potrà ridare fecondità all’Occidente insterilito dal materialismo. Etty Hillesum, ebrea olandese di madre russa, affermava che gli occidentali hanno perso il senso della sofferenza, pretendono che tutto rientri in un meccanismo razionale perfetto e così non hanno più contatto con la profondità del proprio essere. Invece, al russo non importa che ogni cosa sia logica e consistente, ma accetta di portarne il peso, a rischio di soccombere, certo che il dolore lo renderà più forte.