N. 1 - 2017 1 gennaio 2017
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Il 2017 è arrivato e ci sono tanti interrogativi che vorrei rivolgergli. In attesa di qualche risposta.

Per una lettura completa...

Gemona e Cividale del Friuli

Le messe dello spadone e del tallero

Il giorno dell’Epifania in Friuli si celebrano due Messe secondo antichi riti che ricordano l’epoca gloriosa del patriarcato d’Aquileia

Una delle scene principali della rievocazione storica che segue alla Messa dello Spadone a Cividale del Friuli.

L’Epifania in Friuli Venezia Giulia è una festa particolarmente attesa. Un po’ fuori dal classico schema per cui “tutte le feste le porta via”, nella regione più a Nordest d’Italia i riti epifanici, sacri e profani, nella giornata del 6 gennaio offrono numerose occasioni di celebrazione ed incontro all’insegna della tradizione. Nella provincia di Udine, e precisamente a Cividale e a Gemona del Friuli, si celebrano ogni anno, da tempi immemori, due riti peculiari: rispettivamente la Messa dello Spadone e la Messa del Tallero.

TRADIZIONE ANTICA DI 650 ANNI
La Messa dello Spadone, rito puramente religioso, attinge – secondo l’ipotesi ritenuta più attendibile – alla tradizione del patriarcato di Aquileia, una realtà ecclesiale, storica e giuridica tra le più importanti del Medioevo europeo. Basti pensare che fino all’anno 811 si estendeva fino al Danubio, al lago Balaton, all’attuale Canton Ticino fino a comprendere tutta l’Istria.

Il patriarca fu anche principe feudale della Patria del Friuli ed ebbe come residenza diverse cittadine locali. È proprio l’investitura politica del patriarca, avvenuta nel 1366 a Cividale (quella canonica aveva luogo ad Aquileia), la prima traccia certa del rito: «In molti hanno cercato di dare un significato a questa celebrazione così importante», spiega monsignor Livio Carlino, arciprete del duomo di Cividale, «ma la cosa più importante è che questa Messa sia stata celebrata ininterrottamente a ogni Epifania a partire dal 1366, anno dell’investitura del patriarca Marquardo von Randeck. Una celebrazione antica di almeno 650 anni».

La Messa prevede l’utilizzo di una spada (lo Spadone) appartenuta proprio a Marquardo – quella utilizzata oggi ne è una copia – in diversi momenti della liturgia. A portarla in duomo, insieme all’Evangeliario (un codice del XV secolo utilizzato esclusivamente all’Epifania), è un diacono che indossa un elmo piumato, con un dragone e l’effigie di Santa Maria Assunta, titolare del duomo. All’inizio della Messa ecco il primo saluto del diacono, che alza la spada per tre volte in aria: lo stesso saluto sarà ripetuto prima e dopo il canto del Vangelo e alla fine della Messa. Da notare che fino alla lettura dell’Epistola viene seguito il rito romano; poi il diacono canta l’Epistola e il Vangelo in latino secondo l’antica melodia aquileiese-cividalese come nella tradizione del rito patriarchino (vedi box accanto).

«Questa Messa non è un fatto folcloristico», prosegue ancora l’arciprete, «il senso profondo del celebrare è ricordare l’identità storica, culturale e religiosa del patriarcato di Aquileia, quindi, le nostre radici cristiane e quell’unità con le terre di confine che era molto forte. Si tratta di ricordare ciò che siamo per trovare nuove strade: per essere presenza viva nella società di oggi», conclude.

INSIEME PER IL BENE COMUNE
Di diversa natura il rito della Messa del Tallero a Gemona del Friuli, che mette insieme ambito civile e religioso. Avente origine nel Medioevo, esso ha assunto il nome attuale nel periodo della dominazione austriaca, quando le monete precedentemente usate furono sostituite dal tallero di Maria Teresa d’Austria (vedi box sopra).

Tutto ha inizio da palazzo Boton, sede del Comune, da dove il sindaco, accompagnato dai figuranti in costume (tra i quali un paggio che porta il Tallero), si reca verso il duomo e bussa al portone, che gli sarà aperto dal diacono. «La celebrazione si svolge nel modo consueto fino all’omelia», racconta don Valentino Costante, arciprete del duomo, «a quel punto il sindaco mostra il Tallero all’assemblea e lo mette sul piatto che il diacono porterà all’altare. Da sempre questo rito è segno di collaborazione e gratitudine per l’attività svolta per il bene comune».

Molto particolare il segno della pace: «Il sindaco per primo viene invitato a baciare la Pace (un’opera del cesellatore orafo Lionello da Udine) e quindi il diacono chiama l’assemblea allo scambio della pace», prosegue ancora don Valentino. Vale la pena sottolineare che la celebrazione si svolge in latino e friulano e il Vangelo si canta secondo il rito patriarchino.

Ma quale messaggio offre questo rito ancora oggi? «Il Tallero è la tradizione gemonese per eccellenza», spiega Paolo Urbani, sindaco di Gemona, «ed è il segno che l’amministrazione comunale e la Chiesa continuano ad impegnarsi e a lavorare, ciascuna nel proprio ambito, nell’interesse di tutta la comunità. L’anno scorso, nella 40ª ricorrenza del terremoto, il Tallero è stato donato ad alcune personalità come Giuseppe Zamberletti (l’ex ministro Dc “inventore” della Protezione civile, ndr), per quanto fecero per i gemonesi nei terribili giorni del sisma».

«Questa celebrazione è un messaggio per la società di oggi che non riesce a vedere se non la sua dimensione orizzontale», afferma da parte sua don Valentino, «la dimensione divina è dentro ogni essere umano ed è importante ricordare che il futuro è nelle mani di Dio». Nel 2016 la Messa del Tallero è stata solennizzata da due ricorrenze: il 30° anniversario della riapertura del duomo dopo il terremoto e il 30° dell’ordinazione episcopale di monsignor Pietro Brollo, vescovo emerito di Udine.

L’ANTICO TALLERO DI MARIA TERESA
Il tallero di Maria Teresa – che ha dato il nome all’omonima Messa – è una moneta d’argento che reca sul fronte il busto dell’imperatrice d’Austria (1717-1780) e sul retro l’aquila bicipite con scudo araldico della casa imperiale degli Asburgo che governò sul Friuli e la Venezia-Giulia fino al 1918. Ampiamente diffuso in passato nel commercio mondiale, il tallero è stato la moneta ufficiale in Etiopia, in Muscat e Oman e, pare, anche primordiale moneta degli Stati Uniti.

IL CANTO PATRIARCHINO
Le melodie del canto patriarchino attingono all’antica tradizione del canto liturgico delle terre del Nordest, che conobbe il suo massimo splendore sotto il patriarcato di Aquileia, l’antica diocesi che visse il suo apice nel primo millennio dell’era cristiana, perse importanza con l’assurgere di Venezia e fu soppressa nel 1751 . Frutto di una singolare commistione tra liturgia orientale e occidentale, il canto patriarchino, che si distingue nettamente dal gregoriano, è un canto polifonico e con scrittura musicale propria. Nato per accompagnare i diversi momenti della liturgia aquileiese, esso si affida per tradizione alle armonizzazioni spontanee dei cantori a due o tre voci. Tramandato nel corso dei secoli in forma soprattutto orale, viene tuttora mantenuto vivo in alcuni centri della Carnia, grazie ai gruppi di cjantôrs, ma anche a Marano Lagunare, a Grado e nella diocesi di Gorizia. Con declinazioni ancora diverse ricordiamo il canto patriarchino cividalese, contaminazione avvenuta all’epoca in cui il patriarca di Aquileia si stabilì nella cittadina friulana.

COME ORGANIZZARE LA VISITA GEMONA DEL FRIULI
La Messa del Tallero viene celebrata il 6 gennaio alle 10.30 ed è preceduta dal corteo storico di figuranti che accompagnano il sindaco. Per arrivare: in auto uscire dall’autostrada A23 al casello di Gemona-Osoppo e seguire le indicazioni per Gemona e, quindi, per il duomo (diversi parcheggi per il centro storico); in treno, stazione Fs di Gemona e poi percorrere circa 1,5 km in salita fino al duomo.

CIVIDALE DEL FRIULI
La Messa dello Spadone viene celebrata il 6 gennaio alle ore 10.30. A seguire, rievocazione storica con figuranti in costume. In automobile, da sud dall’autostrada A23 uscire al casello di Udine sud (da nord uscire a Udine nord) e imboccare la Ss 54 per Cividale quindi seguire le indicazioni per il duomo (parcheggio in zona vecchia stazione, in via Libertà e via Matajur, area di sosta camper in via delle Mura); in treno, linea Udine-Cividale (www.ferrovieudinecividale.it), poi il duomo si raggiunge in 10 minuti.

Testo di Luisa Pozzar

foto Mario Luigi Riva

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