N. 1 - 2018 7 gennaio 2018
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Franco Nones

Campione sugli sci e nella fede

La sua vita non è cambiata con la carriera da fondista, ma approfondendo la spiritualità grazie alla Comunità dei figli di Dio: «Sento il valore della fraternità», dice la leggenda olimpica

Nones con i suoi trofei

Scivola ancora bene sugli sci come una volta, ora che ha 76 anni, il campione olimpico trentino Franco Nones. E la vita, frenata anche dal dolore, gli ha riservato la possibilità di vincere una seconda medaglia, di un oro che luccica nei suoi occhi e nella sua serena mitezza. La prima medaglia d’oro, vinta a Grenoble nel 1968, la tiene sotto vetro nella sua stube tirolese a Castello di Fiemme, assieme a tante coppe conquistate nei Paesi nordici. Il suo volto e i suoi sci campeggiano anche in cinque francobolli emessi da diversi Paesi: è stato il primo fondista non nordico a vincere la 30 km olimpica e ancora oggi è ambasciatore del Coni e del Centro sportivo italiano, bandiera di uno sport per tanti anni sinonimo di fatica cristallina.

Terzo di otto fratelli, cresciuto all’oratorio e avviato allo sport dalle salite con la bicicletta, Nones ha subìto a 40 anni una delicata operazione al cervello e qualche anno fa ha perso la figlia Caterina, morta per tumore a 26 anni. La sua vita non è cambiata sul podio olimpico del 1968, ma in Toscana dove si è formato dentro la Comunità dei figli di Dio, conosciuta negli anni Novanta quand’era ancora in vita il fondatore, il mistico don Divo Barsotti.

LA “VERA” MEDAGLIA
«Adesso Franco puoi vincere un’altra medaglia d’oro, ti propongo di fare un cammino spirituale e di consacrarti a Dio per una vita di preghiera», gli disse l’amico padre Serafino Tognetti, braccio destro e primo successore di don Barsotti, proponendo la nuova avventura a lui e alla moglie svedese Inger, convertitasi al cristianesimo: «Si sono guardati come due fidanzatini e hanno detto convinti di sì, cominciando l’aspirantato. Franco aveva già una sua disciplina spirituale, ma forse aveva bisogno di virare da una fede più tradizionale a una fede più “facciale”, molto in Cristo, nel volto di Dio, quasi mistica», spiega padre Serafino, che ha accompagnato i Nones anche nei giorni bui del lutto per Caterina.

«Hanno vissuto nella fede anche questo grave avvenimento. Lo abbiamo visto nella loro dignità il giorno del funerale. Mi è sembrato che Franco, dopo aver combattuto con la malattia, consegnasse questa figlia al Signore; qui si vede la grandezza dell’uomo che, pur avendo conosciuto la morte della figlia, non si deprime. Certo, è una ferita che rimane sempre, ma mai nel rapporto con Dio. Questa è la sua forza».

Questa testimonianza è stata resa da padre Serafino nell’affascinante documentario sulla vita di Nones scritto dalla regista Lia Giovanazzi Beltrami e distribuito da San Paolo Multimedia con un titolo A passo d’oro, scelto dallo stesso campione. «In passato avevo rifiutato proposte di apparire in un film, perché non volevo mettermi in mostra», confida Nones. «Mi ha convinto la possibilità di raccontare tutta la mia vita, anche quanto oggi sto vivendo»: la seconda medaglia, appunto.

Fra le sequenze più suggestive girate sulle piste fiemmesi, dove Franco esibisce ancora un pulitissimo “passo spinta”, figura anche la preghiera delle Lodi recitate assieme alla moglie Inger: «Benedite, ghiacci e nevi, il Signore...», mentre le cime del Lagorai e del Latemar sfoggiano il loro candido mantello.

L’ESEMPIO DI DON BARSOTTI
«Ho avuto il dono di conoscere don Barsotti da vicino e di godere della sua amicizia: lo ricordo come una persona molto carismatica», dice Nones. «Un uomo di Dio, che ci faceva sentire la presenza del Signore nella nostra vita. Era anche un mistico e mi colpiva il suo raccoglimento durante l’Eucaristia, fino alle lacrime».

Franco partecipa agli incontri settimanali nel gruppo locale di Castello di Fiemme assieme alla moglie Inger, che è la coordinatrice («Assistente di famiglia», nell’organizzazione della Comunità) dei gruppi regionali, dove ben 89 persone sono consacrate nella Comunità. «Nella comunità continuo a sentire il valore della fraternità che mi ha anche molto sostenuto dopo la morte di Caterina».

Insomma, la vita di Nones non si è fermata a Grenoble, a quella gara in cui era arrivato ben allenato (11 medaglie nella gare precedenti) e di cui temeva soprattutto il rischio incidente in discesa. «Allora ti dovevi arrangiare in tutto, anche nel farti la sciolina. Se la sbagliavi potevi tornare a casa con gli sci in mano… ma se vincevi, vincevi in tutto».

Oggi il campione non vuole celebrare ancora una volta quella vittoria. «Chi ha realizzato una grande impresa deve avere il coraggio di smettere e di ricominciare. La vita ti dà sempre la possibilità di ripartire».

CON IL PAPA SCIATORE
Importando sci dai Paesi nordici, Nones s’è inventato un’attività commerciale oggi mandata avanti dai figli. Inoltre si è dedicato allo sviluppo ricettivo della sua valle. Era fra i novecento concorrenti al via della prima Marcialonga, dove poi non è mai mancato come volontario nella preparazione della pista. È stato lui a lanciare il primo Trofeo Topolino di fondo e a procurare l’assegnazione a Fiemme di ben tre edizioni di Campionati del mondo, grazie alla stima dei vertici della Federazione mondiale.

In soggiorno conserva la foto del Papa sciatore, Giovanni Paolo II: «Lo incontrai assieme agli amici del Centro sportivo italiano e, pur essendo agli ultimi mesi di vita, mi fece cenno con gli occhi che aveva raccolto la mia richiesta di pregare per mia figlia ammalata». Ricordi di una vita che ora diventa testimonianza attraverso le immagini di quel pettorale numero 26 che scorre sulle nevi francesi: già selezionato in vari festival cinematografici, A passo d’oro potrebbe conquistare molti cuori, non solo dei tanti appassionati sportivi.

Testo di Diego Andreatta

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