N. 12 - 2016 20 marzo 2016
INSIEME di don Antonio Rizzolo

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Nel 1966, novello prete, salvò vite umane durante l’alluvione di Firenze. Ora, da arcivescovo di Perugia, Francesco gli ha…

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Ha preso il posto dei sette trappisti uccisi in Algeria e continua a tenere aperto il monastero di Tibhirine. Il futuro?…

Ite missa est di Enzo Romeo

La croce, un indicatore per andare oltre

Il rinascere della presenza dell’assoluto in noi, nonostante la tentazione quotidiana di impaludarci: ecco il miracolo della…

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Ite missa est di Enzo Romeo

La croce, un indicatore per andare oltre

Il rinascere della presenza dell’assoluto in noi, la tentazione quotidiana di impaludarci: ecco il miracolo della risurrezione

Ite missa est

Il poeta austriaco Rainer Maria Rilke era un credente molto arrabbiato con la religione ufficiale, come tanti cattolici anche oggi. Diceva che la Chiesa, soprattutto quella gerarchica, aveva stravolto i segni della fede, a cominciare dalla croce. Che lui descriveva come una sorta di grande segnale stradale: un cartello che con i suoi bracci ci aiuta a orientare il cammino; soprattutto invita il credente a proseguire il viaggio, a non fermarsi.

Invece noi, da bravi fedeli, facciamo spesso come fanno i cani quando puntiamo l’indice per invitarli ad andare da qualche parte. Essi non comprendono che stiamo indicando la direzione e cercano di azzannare il dito che sta mostrando la strada. Similmente, anziché proseguire oltre il crocevia del Golgota, la cristianità si accampa lì sotto, il pellegrinaggio della vita non va avanti e il cristianesimo diventa uno stagno melmoso, un mestiere, un’occupazione borghese. Quando al contrario ci è chiesto di procedere, di dar vita alla vita, non di riciclare perennemente le acque intorbidite dello stagno.

Educato in famiglia a un cristianesimo devozionistico, Rilke prese le distanze da qualunque credo confessionale. Ma la fede non si spegne con l’interruttore e Dio è necessario quanto il pane, secondo l’espressione che usò in uno dei versi più famosi, nel Libro d’ore: «Ho bisogno di Te come del pane! / Spegnimi gli occhi, e io ti vedo ancora; / rendimi sordo, e sento la tua voce; / mozzami i piedi, e corro la tua strada; / senza favella, a Te sciorinerei preghiere. / Spezzami le braccia, e io ti stringo / col cuore mio, fatto, repente, manto. / Se fermi il cuore, batte il mio cervello; / ardi anche questo: e il mio sangue, allora, / Ti accoglierà, Signore, in ogni stilla».

In fondo, è questo il miracolo della risurrezione: la presenza dell’Assoluto in noi, che rinasce a dispetto del nostro impaludarci quotidiano, che vince sulla tentazione di considerare la croce una tana anziché un indicatore di senso.

 

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