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Jean Marie Lassausse
Il custode dei martiri
Ha preso il posto dei sette trappisti uccisi in Algeria e continua a tenere aperto il monastero di Tibhirine. Il futuro? Una nuova comunità, nel segno del dialogo con l’islam
«La storia di Tibhirine ha attraversato i secoli, grazie all’acqua che scorre abbondante lungo i fianchi morbidi dell’Atlante algerino, a mille metri di altezza. Acqua generosa, che irriga i duemila alberi da frutto del monastero. Così come il sangue dei sette monaci, rapiti e uccisi, continua a irrigare ancora oggi non solo la Chiesa d’Algeria, ma tutta la Chiesa universale».
Vent’anni dopo, Tibhirine vive. E continua a raccontare la storia di un incontro possibile: quello tra mondo musulmano e mondo cristiano.
IL GIARDINIERE E CUSTODE
Al centro c’è lui, padre Jean Marie Lassausse, 65 anni, prete della Mission de France, che da quindici anni è l’unico “custode” di questo luogo benedetto dal sangue dei sette fratelli trappisti, sequestrati nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, e uccisi alcune settimane dopo. Le loro teste, ritrovate nei pressi di Medea, sono state seppellite nel piccolo cimitero del monastero, insieme agli altri monaci vissuti e morti qui, durante i quasi sessant’anni di presenza cistercense su queste alture verdeggianti, che hanno conosciuto alcuni dei momenti più drammatici della guerra civile algerina. Eppure questo monastero continua a essere un’oasi di pace. «In questo luogo», confida padre Jean Marie, «ho trovato silenzio, serenità, fratellanza. Ho sperimentato concretamente la possibilità di una collaborazione tra musulmani e cristiani, vissuta specialmente attraverso il lavoro agricolo. Ma anche il senso di una vita donata».
CHI RESTA NE PAGA IL PREZZO
Non è stato sempre facile, anzi. Ancora oggi padre Lassausse continua a fare i conti con problemi di sicurezza e con misure di polizia particolarmente restrittive, che non gli permettono di uscire liberamente dal monastero e che lo obbligano ad avere una scorta quando si muove lungo i novanta chilometri che separano il monastero dalla capitale Algeri. «È il prezzo che bisogna pagare per rimanere qui», dice, consapevole che la presenza di Isis alle porta dell’Algeria – nonché l’attacco all’impianto di gas di In Amenas nel 2013 e l’uccisione di un francese nel 2014 – hanno fatto alzare il livello di allarme tra le forze dell’ordine algerine. Tibhirine, proprio per la sua storia particolarissima e per la vicenda giudiziaria non ancora risolta, è un luogo altamente sensibile.
Padre Jean Marie, tuttavia, preferisce vederci un luogo altamente simbolico: «Una piattaforma di incontro e dialogo per la Chiesa d’Algeria e i fedeli musulmani». Un incontro e un dialogo “della vita”, che passano attraverso le attività lavorative legate essenzialmente all’agricoltura e alla trasformazione dei prodotti della terra. Padre Jean Marie, che è agronomo di formazione e professione, è il “giardiniere” di Tibhirine. Fa frutti?ficare questa terra insieme ai due operai che già lavoravano con i monaci vent’anni fa. E, insieme a Frédéric, laico cistercense che vive al monastero da un paio d’anni, si dedica all’accoglienza degli ospiti. «Da quando sono peggiorate le condizioni di sicurezza» dice, «la maggior parte dei visitatori sono algerini, che vengono qui specialmente per raccogliersi sulle tombe dei monaci e in particolare su quella di fratel Luc, il medico, che ha vissuto in questo monastero per cinquant’anni, curando un’in?finità di persone e facendo nascere centinaia di bambini. Il suo ricordo è ancora vivissimo, così come la riconoscenza nei suoi confronti». Si sono invece diradate le visite di stranieri, anche degli espatriati che vivono e lavorano in Algeria, che faticano a ottenere i permessi per recarsi a Tibhirine.
«Ci sono però anche segnali positivi », riconosce padre Jean Marie: «Dal mese di marzo 2015, ad esempio, sono ripresi nel monastero gli incontri del Ribât es-Salâm, un gruppo di dialogo interreligioso che era stato fondato dal priore Christian de Chergé, insieme all’attuale vescovo di Lagouat-Ghardaia, Claude Rault. Dopo l’uccisione dei monaci, gli incontri sono continuati regolarmente ad Algeri. La ripresa degli incontri nel monastero conferma il significato grande di questa minuscola presenza cristiana nel cuore dell’islam».
Un’altra grande speranza è legata all’arrivo di una nuova comunità. Dopo due tentativi falliti – nel 1998-?2000 con una nuova comunità di trappisti e nel 2007-?2009 con delle monache di clausura – padre Lassausse spera che questa sia proprio la volta buona. «La comunità Chemin Neuf, fondata nel 1973 e composta da 1.700 membri, è disponibile a insediarsi a Tibhirine, con un basso profi?lo e con una presenza iniziale di sole quattro persone. Sarebbe un evento molto importante per questo monastero, che da troppo tempo aspetta di accogliere una nuova comunità, così come se lo aspetta la gente del villaggio».
Il cammino non sarà facile e padre Lassausse ne è ben consapevole. Occorrerà molta gradualità e discrezione. Ma per molti versi i tempi sono maturi: «Credo in una presenza silenziosa e di preghiera, nel rispetto della diversità del fratello musulmano; con?fido che Tibhirine possa continuare nel solco tracciato dai monaci, con nuovo slancio e vitalità; credo che questa terra darà ancora frutti di dialogo e convivialità».
È quanto diceva anche il vescovo di Orano, Pierre Claverie, pure lui ucciso brutalmente da un’autobomba il primo agosto 1996, insieme al suo autista e amico Mohammed: «Continueremo a seguire il loro cammino. La luce che si è accesa non si spegnerà mai. Quel silenzio e quella vita umile e nascosta continuano a parlare ancora oggi di fraternità e di pace nel cuore di milioni di uomini e di donne in tutto il mondo».
Testo di Anna Pozzi • Foto di Bruno Zanzottera/ParalleloZero
Il martirio
Un ricordo vivo
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996 un commando del Gruppo islamico armato irruppe nel monastero, sequestrando sette dei nove monaci che ne formavano la comunità, tutti di nazionalità francese. Dopo una trattativa fallita con la Francia, il 21 maggio i terroristi annunciarono l’uccisione dei monaci, le cui teste furono ritrovate il 30 maggio; i corpi non furono invece mai ritrovati.