N. 12 - 2017 19 marzo 2017
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Affidiamo tutte le nostre famiglie a Gesù, Maria e Giuseppe

Nel primo anniversario di Amoris laetitia, preghiamo per tutte le nostre famiglie, perché siano davvero santuario dell’amore…

Un anno di Amoris laetitia

Una famiglia missionaria a chilometro zero

A Bollate, Elisabetta ed Eugenio di Giovine, con i loro cinque figli, vivono in canonica e collaborano con i preti all’animazione…

Comunità di Caresto

L’eremo dove tutte le famiglie sono di casa

Da più di trent’anni l’associazione aiuta gli sposi a riscoprire il dialogo e affrontare le crisi. Superati i problemi con…

Don Angelo Casati

La “mia” Milano che aspetta Francesco

«È una città ricca di contraddizioni, ma qui nascono relazioni intense». Il parere di una delle voci più profetiche della…

Il carcere Tulliano Mamertino

La prigione di San Pietro

Recentemente riaperto alle visite il percorso archeologico e spirituale nell’ambiente sotterraneo dove l’apostolo, mentre…

Ite, missa est di Enzo Romeo

Una ragione in più per continuare a vivere

È tornato in primo piano il dibattito sull’eutanasia. l’impegno del cristiano è di stare dalla parte della vita sempre e…

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Ite, missa est di Enzo Romeo

Una ragione in più per continuare a vivere

È tornato in primo piano il dibattito sull’eutanasia. l’impegno del cristiano è di stare dalla parte della vita sempre e comunque, ma non è semplice

Ite missa est

Il gran dibattito sulla cosiddetta “buona morte” mi rimanda alla vicenda di un caro amico sacerdote “spento” da una patologia neurologica. Era brillante, colto, intelligente, accogliente, generoso… Ora vive in un pensionato, assistito da brave suore-infermiere, sottoposto a una pesante cura farmacologica che lo lascia in uno stato di perenne ottundimento. Mi piacerebbe dire il suo nome, raccontare ciò che di bello e importante ha fatto, ma il pudore per ciò che è divenuto e il rispetto per ciò che è stato prima me lo impediscono.

So che la sua vita ha un valore intrinseco, così come non è cancellata affatto la sua dignità presbiterale. Tuttavia è complicato farsene una ragione. Quando aveva ancora un po’ di lucidità, segnato dalla malattia e consapevole della sua ineluttabilità, mi confidava: «Ogni sera nel letto, prima di chiudere gli occhi, chiedo a Gesù: “Per favore, chiamami, fammi venire da te…”. Al mattino, quando mi sveglio, mi rivedo ancora qui. Gesù non mi ha ascoltato».

Noi che stiamo dall’altra parte, dove tutto è più facile, dovremmo chiederci cosa possiamo fare e dare perché l’amico, il familiare, la persona a cui teniamo abbia una ragione in più per vivere. Perché il suo dolore e la sua fragilità trovino un senso. Non è facile, lo sappiamo. La comunità religiosa dove il mio amico viveva ha continuato nel suo tran-tran fatto di messa-scuola-oratorio-catechesi-vespri. Difficile uscire dalla logica delle cose da fare, qualcosa di molto simile all’atteggiamento del sacerdote e del levita nella parabola del buon samaritano.

Il mio amico non parla, non dice nulla, solo guarda ogni tanto l’orologio. Provo a interpretare il suo pensiero: «Sono qui, chiamami se vuoi, o Dio della vita. Ma se disponi altrimenti, con tenacia e dolorosa tranquillità saprò aspettare il momento dell’incontro definitivo. Sperando d’essere aiutato da chi mi ha voluto e mi vuol bene per ciò che sono stato e, ancor più, per ciò che sono adesso, fragile riflesso dell’umanità».

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

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