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Un anno di Amoris laetitia
Una famiglia missionaria a chilometro zero
A Bollate, Elisabetta ed Eugenio di Giovine, con i loro cinque figli, vivono in canonica e collaborano con i preti all’animazione pastorale di un intero quartiere. Proprio come facevano da missionari laici in Venezuela
Il 19 marzo ricorre un anno dalla pubblicazione di Amoris laetitia, l’esortazione di papa Francesco che fa sintesi dei due Sinodi dedicati alla famiglia e illustra organicamente il magistero di Bergoglio sull’amore coniugale. Il testo mette al centro la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie ma anche tutte le difficoltà e fragilità con cui devono fare i conti oggi gli sposi. Sul tema scottante delle situazioni fino a quel punto definite “irregolari” (divorziati risposati, conviventi, omosessuali...) Francesco propone un ribaltamento di prospettiva, considera le singole persone anziché le “categorie“, riconosce il primato della coscienza e invita i pastori ad affrontare le situazioni caso per caso. In queste pagine raccontiamo tre esperienze di Chiesa in cui le famiglie diventano protagoniste dell’annuncio del Vangelo (Famiglie missionarie a chilometro zero), sono accolte e accompagnate (l’eremo di Caresto), o testimoniano l’amore sponsale con Cristo (Arca di Nazaret).
Da qualche tempo nella canonica di San Giuseppe non ci abita più nessun prete. Si sa, le vocazioni calano e non è stato possibile inviare un sacerdote del tutto dedicato a questa chiesa sussidiaria della parrocchia San Martino di Bollate, hinterland nord di Milano. Eppure l’abitazione del prete non è rimasta vuota: anzi, non è mai stata così vivacemente abitata da quando un anno e mezzo fa vi si è trasferita una famiglia numerosa: marito, moglie e cinque figli di età compresa tra i 2 e gli 11 anni. Ma che ci fa una famiglia in canonica? «All’inizio se lo chiedevano un po’ tutti nel quartiere», ammettono Eugenio Di Giovine, 47 anni, ed Elisabetta Piatti, 39 anni. E in effetti la cosa appariva un po’ singolare.
E allora conviene riavvolgere il nastro per raccontare la storia dall’inizio. Lui pugliese di Lucera, lei lombarda di Varese, Eugenio ed Elisabetta si erano conosciuti ad un incontro della Gioventù francescana in cui si parlava di missione, che da quel momento è diventata la “cifra” della loro unione, consacrata dal matrimonio 13 anni fa. «Dal 2006 al 2009 siamo stati missionari laici in Venezuela e, una volta tornati, ci domandavamo se non fosse possibile continuare un servizio alla Chiesa locale come quello così intenso che avevamo vissuto laggiù, dove il vescovo di Guanare ci aveva affidato l’animazione pastorale di una periferia abitata da 18 mila persone», racconta Eugenio, impiegato comunale. «Proprio in quel periodo anche altre famiglie di ritorno dalle missioni (ma non solo), si ponevano lo stesso interrogativo», prosegue Elisabetta, dentista, ma attualmente mamma a tempo pieno. Così è nato il gruppo Famiglie missionarie a chilometro zero che, coordinato dal vicario episcopale monsignor Luca Bressan e seguito con attenzione dal cardinale Scola, raduna una quindicina di esperienze di animazione pastorale affidata alle famiglie, sullo stile di quanto avviene in missione.
NON “AL POSTO” MA “CON” I PRETI
Dopo un lungo periodo di preparazione e discernimento, la diocesi di Milano ha proposto ai Di Giovine la chiesa di San Giuseppe a Bollate – la città dove già abitavano, ma in un quartiere diverso – che aveva bisogno di una profonda riorganizzazione dopo che per lungo tempo era stato presente solo un prete anziano e malato. La parrocchia offre loro la casa in comodato d’uso gratuito, per il resto la famiglia deve vivere del proprio lavoro, non percependo nessuno stipendio dalla Chiesa. «La prima sfida è stata quella di far capire alla gente quale fosse il nostro ruolo», spiega Eugenio. «Siamo responsabili dell’animazione pastorale di questa porzione di parrocchia. Non una famiglia messa a “custodire” la chiesa, come fossimo dei sacristi, ma nemmeno “al posto” del prete, perché una famiglia ha un ruolo, oltre che tempi e modi di presenza, che sono ben diversi da quelle di un sacerdote celibe». E comunque qualche mese dopo l’arrivo dei Di Giovine è stato mandato anche don Walter Larghi: un ex parroco di 75 anni ancora molto in gamba. In pratica, chiarisce Elisabetta, «don Walter celebra la Messa, visita gli anziani e gli ammalati, è disponibile per le Confessioni, segue la Caritas di tutta la città... L’ideale sarebbe stato che venisse ad abitare accanto a noi, ma non è stato possibile per via dei pochi spazi disponibili in canonica. Quindi noi siamo l’unica presenza fissa, fungiamo da punto di riferimento per la gente. E infatti con il passare dei mesi in tanti sono venuti a conoscerci e noi siamo andati a cercarli durante la benedizioni delle case in Avvento. Spesso – anche in orari inopportuni – suona alla porta chi vuole parlare, chiede un aiuto materiale e spirituale. Io sto lavorando con altri parrocchiani a ricostruire una rete di volontari per la chiesa e anche il tessuto sociale del quartiere si è rivitalizzato. Ora c’è sempre il via vai di gente, la chiesa è tornata a riempirsi, si sono riaperti gli spazi di aggregazione prima abbandonati e degradati… In fondo è ciò che facevamo anche in Venezuela».
LA CHIESA CHE ACCOGLIE
Grazie alla competenza di Eugenio, che è diplomato in Scienze religiose e studia alla Facoltà teologica, la coppia ha organizzato un percorso su Amoris laetitia, parlando anche di temi inaspettati come eros e generatività. «Si sono affacciati in tanti, soprattutto sposi che non frequentavano la parrocchia. E sono entusiasti perché c’è la possibilità di confrontarsi con altre famiglie e all’interno della coppia». Ragiona Eugenio: «In passato chi aveva un disagio cercava per automatismo un prete. Oggi purtroppo non è più così: molti si sono auto-esclusi, si sono fatti un’idea della Chiesa prevalentemente tramite i media. C’è un sacco di gente che non entra più dalla porta principale perché si considera “irregolare”. Ultimamente però, con papa Francesco, le persone sono più aperte a farsi avvicinare di nuovo e il fatto di incontrare noi, che siamo i genitori dei compagni di classe dei loro figli, aiuta molto questo primo approccio...».
Don Maurizio Pessina, il parroco di Bollate, è soddisfatto dell’esperienza: «Si tratta di una forma di nuova evangelizzazione in cui la famiglia, come hanno detto i due Sinodi, è “soggetto di evangelizzazione”. Tutto ciò arricchisce e insegna a lavorare insieme ai laici, cosa che a volte non sappiamo fare nemmeno tra noi preti. Il rilancio pastorale nel quartiere è molto evidente». «È dal Concilio», conclude don Walter, «che si parla di nuove ministerialità, ma non si è fatto molto. Ora lo Spirito, che è più coraggioso di noi, sta rivoluzionando le cose».
Testo di Paolo Rappellino · Foto di Ugo Zamborlini