Credere n.15 - 13/04/2014
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«Martiri della carità »
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Le suore di Ebola
«Martiri della carità »
Oggi come 20 anni fa, l’Africa sta vivendo una terribile epidemia: un virus altamente contagioso che portò alla morte sei religiose missionarie in Zaire.
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 Suore coraggio - Suor Clarangela Ghilardi in Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, insieme alla popolazione locale.
Nei giorni scorsi, il virus dell’Ebola si è ripresentato drammaticamente in Guinea: si è scatenata un’epidemia che non ha precedenti, dicono gli esperti, e che si presume più grave di tutte quelle finora scoppiate nell’Africa occidentale, che hanno prodotto migliaia di vittime. Come è accaduto ormai circa 20 anni fa alle sei suore missionarie nella cittadina di Kikwit. Il terribile virus Ebola le uccise insieme a migliaia di persone in Congo e in Africa.
Alle 10.14 dell’8 maggio 1995, alla madre generale delle Suore delle Poverelle – fondate a Bergamo 150 anni fa – giunsero dallo Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo) notizie allarmanti dell’agonia e poi della morte delle suore missionarie. Nell’aprile 1995 il mondo scoprì con orrore un morbo che richiamava antiche pestilenze. Le suore morirono una dopo l’altra tra aprile e maggio 1995 fra atroci sofferenze. Il 28 aprile 2013 la diocesi di Bergamo ha aperto la fase diocesana del processo di beatificazione delle sei religiose, che si è conclusa pochi mesi fa, il 25 gennaio. Le suore avevano contratto il male in ospedale. Quattro bergamasche e due bresciane: Floralba Rondi, 71 anni, di Pedrengo (Bergamo); Clarangela Ghilardi, 64 anni, di Trescore (Bg, nella foto a lato); Danielangela Sorti, 47 anni, di Lallio (Bg); Dinarosa Belleri, 59 anni, di Villacarcina (Brescia); Annelvira Ossoli, 58 anni, di Orzivecchi (Bs); Vitarosa Zorza, 51 anni, di Palosco (Bg). Sapevano a cosa andavano incontro perché erano tutte infermiere specializzate, eppure non se ne andarono, non disertarono il combattimento. «Martiri della carità », le ha definite il vescovo di Bergamo monsignor Francesco Beschi: «Non c’è amore più grande che dare la vita come Gesù».
Dai fax inviati dalle suore nel maggio 1995 alla madre generale emergono forti lezioni di vita. «Carissima madre generale, comprendiamo la tua trepidazione, ma siamo totalmente nelle mani di Dio. Nessuna evacuazione può essere fatta. È molto duro per voi e per noi accettare questa separazione dalle sorelle. Avvenimenti dolorosi ci hanno travolto ma la vita della Congregazione deve continuare: la situazione è abbastanza drammatica soprattutto all’interno. Ma è necessario conservare la calma. A Kinshasa non ci sono focolai e tutte le strade verso l’interno sono bloccate. Anche le sorelle di Kisangani sono isolate in casa senza contatti. Le sorelle dell’interno le abbiamo sentite ora. Suor Daniela e suor Dina non stanno troppo bene. Le altre sorelle della comunità salutano e ringraziano. Ma le comunicazioni sono difficili. Con affetto vi abbracciamo. Sul posto stanno dandosi da fare per frenare l’epidemia». La superiora provinciale, accorsa per seguire le consorelle, faxa a una sorella a Kinshasa: «Ci rimettiamo a Dio».
Nel 2010, il giornalista de L’Eco di Bergamo Paolo Aresi pubblicò il libro L’ultimo dono. Racconta suor Linadele Canclini che, con la congolese suor Charlotte Madiambu e con suor Gabriella Lancini, porta avanti la causa di beatificazione: «Il libro ha suscitato molta emozione. Un paio d’anni fa, al convegno promosso in Vaticano dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, molti da tutto il mondo ci chiesero delle suore morte per Ebola». Sul loro «forte esempio» sono state raccolte più di 200 testimonianze e la loro memoria è molto viva in Congo perché hanno incarnato il carisma del fondatore, il beato Luigi Palazzolo: «Stare con gli ultimi sempre, immergersi fra gli ultimi, prenderli per mano senza guanti». Il vescovo di Kikwit monsignor Edouard Mununu – vicino a loro nei drammatici 33 giorni – sentita la Conferenza episcopale, ha avviato la causa di beatificazione dove confluirà l’inchiesta rogatoriale di Bergamo.
Il dramma si svolse nel padiglione 3 dell’ospedale, dove oggi c’è il reparto di pediatria. Suor Floralba Rondi era in chirurgia e assisteva in sala operatoria. La congolese suor Nathalie distribuiva i medicinali: «Il primo malato sospetto è arrivato ai primi di aprile 1995: veniva da un altro ospedale e aveva la pancia gonfia. Quando lo vidi, qualcosa dentro di me mi disse di non toccarlo».
Spiega monsignor Beschi: «In queste sei vite vediamo entusiasmo e passione nella consacrazione alle missioni fino alla donazione totale. Tutti le cercavano e le chiamavano “mamme†o “nonneâ€. Erano sospinte dall’amore per Dio e per i fratelli e la sera passavano molto tempo a pregare». Avevano una attitudine infermieristica molto elevata ma «la loro competenza più grande è stata la capacità di trasformare un ospedale in un luogo di speranza. Sta qui il loro contagio, più forte della malattia. La carità verso i poveri è stata la loro regola di vita».
Conclude la madre generale, suor Bakita Sertore: «Le suore delle Poverelle del mondo affidano alle sei consorelle martiri della carità le giovani vocazioni africane e i troppi poveri che gridano dall’Africa».
Testo di Pier Giuseppe Accornero