N. 15 - 2017 9 aprile 2017
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Verso la Pasqua per rinnovare la speranza cristiana nella nostra vita

Papa Francesco, lasciandosi accarezzare da una bambina cieca, ci ha ricordato il senso concreto della speranza e l’importanza…

Emanuela Marinelli

Conquistata dall’uomo della croce

Da 40 anni studia il telo che avvolse Gesù nel sepolcro. «Guardare la Sindone è come leggere il “quinto Vangelo”. Si ha…

Il Papa a Carpi

Dio ci risolleva dalle macerie

«Gesù ci offre l’esempio: non fugge la sofferenza, ma non si fa imprigionare dal pessimismo», ha detto Francesco alla popolazione…

Monsignor Antoine Audo

Diamo fiducia ai giovani della Siria

Il vescovo dei caldei ad Aleppo e presidente di Caritas Siria: «Si deve aiutare la gioventù a essere capace di dare testimonianza…

Erica Bassi

Le tre “p” che mi aiutano a combattere il cancro

Persone, provvidenza e preghiera. Sono le tre “p” che l’hanno sostenuta, dopo la notizia della malattia che ha cambiato la…

Antonia Moropoulou

Ecco la pietra del Santo Sepolcro

Durante i restauri dell’edicola del Sepolcro, per la prima volta dopo 500 anni è stata riportata alla luce la roccia su cui…

Lourdes

La grotta dove Maria guarisce corpo e anima

Il santuario francese, caratterizzato da tre segni – roccia, acqua e luce – sorge nel luogo delle apparizioni della Vergine…

Ite, missa est di Emanuele Fant

Quando Paolo lo scettico incontrò Olga

Il protagonista immaginario, tormentato da un eccesso di dubbi, ci dimostra che l’amore è la chiave che apre alla fiducia…

Per una lettura completa...

Monsignor Antoine Audo

Diamo fiducia ai giovani della Siria

Il vescovo dei caldei ad Aleppo e presidente di Caritas Siria: «Si deve aiutare la gioventù a essere capace di dare testimonianza senza paura»

Un gruppo di giovani e bambini cammina per le strade di Doudyan, a nord di Aleppo

Una mano alzata verso il cielo. Così gli abitanti di Aleppo est, dopo la partenza dei gruppi armati, rispondevano ai primi soccorritori che chiedevano: «Come avete fatto per vivere?». «Si guarda in alto, fa parte della cultura del nostro Paese, senza distinzioni», dice monsignor Antoine Audo, gesuita, vescovo dei caldei ad Aleppo, presidente di Caritas Siria. In Italia in occasione della presentazione del dossier della Caritas italiana intitolato Come fiori tra le macerie. Giovani e ragazzi che restano, dedicato proprio alla situazione in Siria, il vescovo dice che «partire dalla condizione della minoranza cristiana aiuta a spiegare la complessità della situazione».

Qual è la condizione dei cristiani oggi in Siria?

«Da una parte ci sono alcuni fanatici che vogliono mettere i cristiani fuori da tutta la regione mediorientale. È quanto accaduto in Iraq, che è diventato un Paese senza cristiani, svuotato. Ma questi estremisti non fanno parte del tessuto siriano, devono partire, andare via. Tanti musulmani dicono che la Siria senza i cristiani non vale niente. Dall’altra parte, in particolare i giovani sono attirati dalla modernità di Paesi dove c’è lavoro, cibo, sanità. A questo va aggiunto che siamo in una situazione drammatica di povertà per mancanza di acqua, elettricità, lavoro... La gente è diventata povera, tutti, e si deve sopravvivere. Come Chiesa, tutti noi vescovi cerchiamo di dare continuità alla presenza cristiana, a una storia ricca. Eppure appena c’è una speranza di pace riprendono le violenze».

Cosa c’è dietro le violenze?

«Ci sono interessi a livello internazionale, tra le grandi potenze. E poi a livello regionale, tra sunniti e sciiti, per il controllo dell’area, per la leadership nel mondo arabo e musulmano. Il problema dell’islam oggi è accettare la modernità intesa come libertà di coscienza, capacità di dialogo, accettazione della differenza religiosa. Nell’islam queste realtà vengono viste come un pericolo. Noi cristiani del Medio Oriente abbiamo una vocazione al rispetto e diciamo che il mondo musulmano ha bisogno di questo dialogo, non del commercio delle armi, dell’umiliazione che producono odio e violenza».

Lei è presidente della Caritas. Che cosa cercate di fare?

«Tanti giovani vogliono lavorare con la Caritas per avere una formazione professionale. Abbiamo impiegato 200 persone in sei regioni. In Siria è presente una pluralità di Chiese cristiane, c’è un’arte del vivere insieme. La guerra ci ha uniti maggiormente. Ecco, dobbiamo diventare cristiani insieme, c’è un cammino di conversione da fare, che non deve insistere sull’appartenenza confessionale. Perché la struttura tribale è radicata nella cultura arabo-musulmana, insiste sull’appartenenza a una comunità e meno sulla scelta personale, sull’autonomia. Per me anche la Chiesa deve lavorare in questo senso per la modernità. Per i cristiani è facile dirlo, ma più difficile viverlo ogni giorno. Inoltre come Caritas siamo all’80 per cento al servizio dei musulmani. Dobbiamo diventare cittadini insieme, cristiani e musulmani. Non è facile. Noi non siamo i ricchi che vogliono aiutare i poveri. Non siamo i cristiani buoni che fanno la carità ai poveri musulmani. Siamo esseri umani, cittadini, e lavoriamo per il rispetto della dignità umana».

Come si esce dalla crisi a livello politico?

«Come vescovo cerco di non parlare di problemi politici complessi. Comunque devo dire che i media occidentali fanno credere che cambiando il Presidente ci sia la soluzione della crisi, ma il problema è molto più complesso. E va tenuta presente la situazione culturale e politica della zona. In Siria esiste una maggioranza sunnita, l’80 per cento, e varie minoranze, tra le quali gli alawiti. Il presidente Bashar Al Assad è un alawita. Quando guardiamo al mondo arabo e musulmano è facile trovare una minoranza al potere, perché non siamo una democrazia e nelle minoranze c’è una solidarietà comunitaria. Tutto il Golfo, che in maggioranza è sunnita, ha una struttura tribale. Anche se in Siria il partito Baath si dice laico, in realtà è organizzato con una struttura tribale. Questa realtà non può essere ignorata, va detta a chiare lettere. La Siria è un Paese confessionale e la gente non deve avere paura di riconoscere questa realtà. Non c’è problema se un futuro Presidente sarà sunnita ? ci sono tanti sunniti di qualità, come per esempio il ministro degli Esteri Walid al Muallem o l’ambasciatore alle Nazioni Unite Al-Ja’afari ? ma non si deve obbligare i siriani a soluzioni che vengono dall’estero. Così si distruggerebbe la Siria».

L’ipotesi di divisioni del territorio che viene ipotizzata anche su base etnica e religiosa è un rischio o un’opportunità?

«Non condivido la divisione, la Siria ha tutto per essere un Paese unito, con il suo governo e la capacità di vivere insieme. Questa voglia di divisione viene dall’estero, invece la soluzione deve venire dal popolo siriano, che vuole appartenere unito al Paese. Russi e americani devono confrontarsi per una soluzione pacifica, non solo armi e strategie militari nella regione».

Assad ha accusato l’Europa di avere armato i terroristi. Lei che cosa ne pensa?

«Come osservatore non penso che tutti i gruppi armati che fanno la guerra in Siria siano autorganizzati. Le strategie, i finanziamenti, l’addestramento… non possono fare tutto da soli».

Come dialogare con l’islam?

«Con un atteggiamento di rispetto, senza complessi di superiorità e di dominio. Questa è la storia del colonialismo, i musulmani non hanno dimenticato questa realtà e non mi sembra che l’Occidente ne sia cosciente. Papa Francesco con grande sapienza ha detto che non c’è una religione violenta, ma ci sono violenti in tutte le religioni. Il mondo arabo-musulmano è stato molto contento di questo atteggiamento di rispetto. Con il Concilio vaticano II la Chiesa cattolica ha fatto un passo nella modernità, riconoscendo la libertà di coscienza. Ecco, penso che invece delle armi ai musulmani si debba offrire questa riflessione, per aiutarli a fare la loro teologia della modernità: la nostra vocazione non è cercare di distruggere ma di dare questo aiuto».

Quale richiesta arriverà dalla Siria al futuro Sinodo sui giovani?

«Dare fiducia ai giovani. La fede ci dà forza, gioia, coraggio. Si deve aiutare la gioventù a essere capace di dare testimonianza senza paura».

L’INIZIATIVA CEI: LIBERI DI PARTIRE, LIBERI DI RESTARE
Trenta milioni di euro, tratti dai fondi dell’8 per mille della Cei, per un progetto che si svilupperà lungo un triennio. Questi i primi numeri della campagna Liberi di partire, liberi di restare lanciata dalla Conferenza episcopale italiana sul tema delle migrazioni con iniziative rivolte principalmente verso i minori migranti e le loro famiglie. Un’iniziativa che si sviluppa su un livello «culturale e pastorale generale sui fenomeni migratori», un’occasione di «finanziamento e realizzazione di progetti mirati e concreti», che nasce dopo l’impegno dell’anno giubilare per il «diritto a rimanere nella propria terra». Nel progetto verranno coinvolte le pastorali competenti (Ufficio interventi caritativi a favore del Terzo mondo, Caritas, Migrantes, Missio, Apostolato del mare), le realtà ecclesiali (istituti missionari, congregazioni, associazioni e movimenti, cooperazione fraterna e internazionale) e verrà data centralità alle Chiese locali. I progetti verranno realizzati in primo luogo nei dieci Paesi di maggior provenienza dei minori con un’attenzione prioritaria all’Africa. Un secondo livello saranno i Paesi del Nord Africa, luoghi di transito dei migranti in generale e dei minori in particolare. E un terzo livello progettuale vedrà coinvolte le realtà ecclesiali attive nell’accoglienza e nella cura dei minori migranti in Italia, a partire da quelle più vicine ai porti di sbarco.

DOSSIER CARITAS: COME FIORI TRA LE MACERIE, INDAGINE SU “CHI RESTA”
Si intitola Come fiori tra le macerie. Giovani e ragazzi che restano il dossier di Caritas italiana presentato a Roma il 13 marzo. Il documento contiene, oltre a dati e testimonianze con un focus su “chi resta in Siria”, anche uno studio realizzato (tra gennaio e febbraio 2017) da Caritas siriana e Caritas italiana, in collaborazione con Avsi, ngim, Vis e il patriarcato armeno, intervistando un campione di 132 giovani operatori (insegnanti, animatori, educatori, catechisti). Ne emerge un campione rappresentativo di circa 3 mila giovani, appartenenti a diverse religioni e contesti. La stragrande maggioranza degli intervistati, il 91,3%, dichiara che i giovani vivono in povertà, in famiglie con seri problemi economici; afferma di vivere in luoghi con un’alta presenza di sfollati (il 68,2%), mentre il 61,4% ritiene di essere in pericolo, o per l’alto rischio di attacchi terroristici (37,1%) o perché c’è ancora un residuale conflitto armato in corso (24,2%). Il 34,1% dichiara di vivere in una zona che ha riportato ingenti distruzioni e danni materiali a causa del conflitto. Il 74,8% degli intervistati dichiara che i giovani denunciano seri problemi di alloggio (sfollati, case senza servizi essenziali). Una conseguenza, questa, determinata dalla povertà che trova nella mancanza di lavoro una delle cause principali: ben l’84,5% degli intervistati dichiara che i giovani vivono in famiglie con forti problemi di disoccupazione. I giovani siriani, nonostante la guerra, cercano di vivere una vita il più normale possibile, impegnandosi in attività sociali in favore dei giovani (64,4%) o di «orientamento e consapevolizzazione dei giovani» (30,33%). Anche le attività legate all’animazione ed educazione religiosa, che vedono impegnati il 55,3% degli educatori, raccontano una generazione che non rinuncia ai propri valori e alla spiritualità. Nonostante le problematiche dovute al conflitto, non mancano attività di «promozione della pace e della nonviolenza», che vedono coinvolto il 13,6% degli intervistati.

Testo di Vittoria Prisciandaro
Foto Khalil Ashawi-Reuters

Archivio

Vai