N. 16 - 2019 21 aprile 2019
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Chieti

La vittoria di Cristo sulla morte

La struggente processione con il Cristo morto nella città abruzzese, con la sua ricchezza di simboli e tradizioni, aiuta a fare memoria della redenzione portata all’umanità dalla passione del Signore

 La processione del Venerdì santo a Chieti

Quando il sole tramonta dietro il Gran Sasso e il cielo diventa turchino, è allora che escono, scendendo l’interminabile scalinata della cattedrale di San Giustino: prima il gonfalone nero con lo stemma dorato dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti. Di seguito i sette “Trofei”, poi il feretro coperto di velluto ricamato in oro e argento su cui è deposto il corpo del Cristo morto (una scultura settecentesca in legno policromo di scuola napoletana), e l’Addolorata, con al seguito i violini e i cantori che intonano lo struggente canto del Miserere musicato da Saverio Selecchy.

«La processione del Cristo morto a Chieti non è solo un singolare evento di pietà popolare», spiega l’arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte, «ma testimonia un contenuto teologico di grande profondità: quello della sofferenza di Dio per amore degli uomini e il conseguente appello a far noi compagnia al dolore divino per la salvezza di tutti». Una sofferenza che, però, non ha l’ultima parola e non è fine a sé stessa. «Questo evento espressione di fede condivisa nei secoli e professata nell’oggi», aggiunge monsignor Forte, «aiuta il credente a far memoria della passione del Salvatore e della sua vittoria sulla morte, per attualizzarne il mistero nella propria vita e nel proprio dolore, e partecipare così alla redenzione della famiglia umana in unione col Cristo, che ha sofferto ed è stato glorificato per noi».

UNA TRADIZIONE ANTICHISSIMA
«Quella di Chieti è una delle manifestazioni religiose più sentite nell’intero Abruzzo, e anche una delle più antiche d’Italia»
, sottolinea Giampiero Perrotti, attuale governatore dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti, fondata nel 1603 e che da sempre organizza e presiede la Processione. «Secondo un’ipotesi, la prima edizione si svolse nell’anno 842, anche se la prima data certa risale al 1650 quando, in occasione del Giubileo, mille persone partirono da Chieti e raggiunsero a piedi Roma».

Originariamente il corteo era composto da tre soli simboli: uno stendardo in damasco nero, una morte a grandezza naturale e la statua del Cristo morto. Solo nel 1833 fece la sua apparizione la statua dell’Addolorata: quella attuale risale al 1910. I membri della confraternita sfilano incappucciati in modo da non essere riconoscibili in segno di umiltà e penitenza.

Nei secoli, la sfilata è stata impreziosita da focolari in ferro battuto per poter far uscire la processione all’imbrunire, dai “Trofei” e dalla musica: il Miserere di Saverio Selecchy, tratto dal Salmo 50 e composto intorno al 1730, uno dei momenti più coinvolgenti del Venerdì santo, eseguito dagli oltre trecento elementi che compongono il coro di voci maschili (diretto dal maestro Loris Medoro) e l’orchestra dell’Arciconfraternita (diretta dal maestro Peppino Pezzullo): da qualche anno, oltre ai violini ci sono anche strumenti a fiato. La Vergine, che per tutto l’anno veste l’abito “di casa”, viene abbigliata con il prezioso vestito processionale solo dal Mercoledì santo, mentre la statua di Cristo viene prelevata dalla cappella dell’Arciconfraternita, adiacente alla cattedrale, il Venerdì alle 12.

Un rito molto partecipato da tutta la città. Del resto, come ama ripetere il governatore: «La processione scandisce e segna il trascorrere del tempo, il succedersi delle generazioni. C’è un profondo senso di appartenenza in quel brivido che accompagna le note del Miserere».

I SETTE TROFEI
I sette “Simboli”, o “Trofei”, risalgono al 1855 e sono opera dell’artista teatino Raffaele Del Ponte. Raffigurano i momenti della Passione: l’angelo con il calice per il sangue versato da Cristo sulla croce, le lance con due torce utilizzate per la cattura di Gesù nel Getsemani e la borsa con i 30 denari, la colonna con il gallo, il Volto santo (riproduzione dell’originale conservato nella basilica del Volto santo, a Manoppello), il sasso (con la tunica rossa, la corona di spine, e i dadi, con cui i soldati si giocarono le vesti), la scala con gli strumenti usati per la crocifissione, la croce, alta e massiccia. Sono trasportati dagli aggregati dell’Arciconfraternita (ai “Fratelli” della stessa è riservato l’onore di portare a spalla le statue del Cristo morto e dell’Addolorata), ma nell’Ottocento venivano portati da  alcune categorie di lavoratori: i serpari, i muratori, gli ottonai e confettieri, gli scrivani, i falegnami, i fabbri e i calzolai.  Oltre all’Arciconfraternita, al corteo partecipano circa 1.000 persone, tra gli appartenenti alle varie confraternite cittadine e i membri del capitolo metropolitano accompagnato dai sacerdoti e dai seminaristi.

La processione parla a tutti gli uomini e si concretizza nella realtà quotidiana. Lo sottolinea l’arcivescovo Forte: «Gesù vive il suo abbandono in comunione con tutti i crocefissi della storia e, insieme, in oblazione fiduciosa per amore del mondo. Consegnando lo Spirito al Padre, in obbedienza d’amore a lui, il Crocifisso entra nella solidarietà con i senza Dio, con tutti coloro cioè che per loro colpa sono stati privati dello Spirito e hanno sperimentato l’esilio dalla patria dell’amore. Dio ha fatto sua la morte, perché il mondo facesse sua la vita nella vittoria di Pasqua. È il Dio che dà senso alla sofferenza del mondo perché l’ha assunta e redenta: e questo senso è l’amore».
   

ORGANIZZARE LA VISITA
Chieti è una città ricca di monumenti religiosi, interessante da visitare in qualsiasi periodo dell’anno. Per informazioni: www.abruzzoturismo.it.

L’ARCICONFRATERNITA
L’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti, che svolge il proprio servizio durante la processione, ha un sito internet sul quale si trovano tutte le informazioni sulla storia della processione del Venerdì santo. www.sacromontemortichieti.it.
    

Testo di Agnese Pellegrini

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