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mercoledì 13 agosto 2025
 
Accoglienza e tolleranza
 
Credere

Don Giovanni, il prete che cerca e insegna l'integrazione

20/04/2017  Nel quartiere multietnico di Gratosoglio a Milano, don Giovanni Salatino, un giovane sacerdote, forma i ragazzi alla pace e alla convivenza con altre culture. Tutta la storia sul settimanale Credere: «Qualcuno ha messo una maschera sul volto del diverso disegnandolo come nemico».

«Puoi pregare facendo il segno della croce o stando in ginocchio, l’importante è che siamo tutti amici. La guerra? Buuu!». Chi appoggiato a un muretto scrostato, chi seduto a gambe incrociate per terra, i ragazzi si mettono a ridere di fronte a un prete un po’ clown, che cerca di teatralizzare i gesti perché non tutti i ragazzi attorno a lui capiscono la sua lingua. C’è chi è arrivato da una banlieue parigina, chi stava fino a poche ore prima in un orfanotrofio di Sarajevo, chi dalla Croazia si ritrova accanto ai ragazzi di Gratosoglio, quartiere di edilizia popolare di Milano sud.

Don Giovanni Salatino passeggia tra loro come chi si sente a casa, in una Milano che per qualche giorno è diventata cuore multietnico del progetto Campus per la Pace.

«Ho chiesto di essere prete di periferia perché anche io sono cresciuto in una periferia. Credo che questi siano luoghi di rara verità». Parroco dal 2003, nato a Milano da genitori meridionali e cresciuto tra Corsico e Cesano Boscone, don Giovanni per dieci anni è stato in Barona, nella zona sud-occidentale della città, per poi spostarsi nel 2013 a Grattasoeuj, come è chiamato in dialetto milanese, alla parrocchia Maria Madre della Chiesa e San Barnaba.

Proprio qui, in questo quartiere da molti considerato come un puro dormitorio di extracomunitari a tratti emarginati dalla grande Milano, don Giovanni ha scelto di far mettere radici al Campus per la Pace, una settimana di eventi che ha permesso a ragazzi da tutta Europa, ma anche della Bosnia-Erzegovina, di immaginare insieme come potrebbe essere la città del futuro, tra accoglienza, tolleranza religiosa e integrazione. «Vogliamo partire dalle paure che ci portiamo dentro, smascherarle, e imparare a scegliere quale futuro vogliamo per la nostra città».

L’INTEGRAZIONE POSSIBILE

Al don della periferia il desiderio di essere prete è nato da piccolo, attorno ai 13 anni. «Volevo essere come il mio parroco. Ho fatto il liceo fuori dal seminario e poi sono entrato nell’istituto ecclesiastico di Milano», racconta Giovanni, con la bocca sempre pronta alla risata. «Credo che sia questo il modo giusto di vivere la mia vita, volendo bene a Gesù e agli altri». E volere bene al suo quartiere significa spingerlo lontano dalla ghettizzazione. «Il modello di città che ho in mente è l’antitesi di Gratosoglio, un quartiere separato tra una parte medio-borghese e un’altra di case popolari, con aree comuni in stato di abbandono e una percezione della paura altissima», racconta don Giovanni mentre saluta con una pacca sulle spalle i ragazzi del Campus. «Dobbiamo scommettere sull’integrazione. E dobbiamo farlo partendo dai giovani».

UN MIX DI CULTURE

  

Sfida accettata, ed ecco quindi incontrarsi, nella terza settimana di febbraio nella parrocchia di Gratosoglio, otto ragazzi da Saint Denis, luogo simbolo della difficile banlieue parigina, fra i principali agglomerati urbani del dipartimento dove sono nati sia i due fratelli protagonisti dell’attentato alla redazione parigina di Charlie Hebdo sia uno dei due kamikaze che si è fatto esplodere al Bataclan. Vivere in quel distretto è una sorta di marchio sociale, in Francia. «Qualcuno ha messo una maschera sul volto del diverso disegnandolo come nemico», continua il prete 38enne, «fino ad arrivare alle assurde situazioni italiane, dove alcuni extracomunitari pagano le tasse ma non gli viene riconosciuto neppure un luogo dove pregare».

Insieme ai ragazzi parigini, dodici liceali di Sarajevo e quattro adolescenti da una regione croata al confine con la Bosnia-Erzegovina. A fare da collante con l’Italia, una trentina di adolescenti di Gratosoglio e cinque scout musulmani della periferia nord di Milano. Ragazzi dai 16 ai 22 anni che sono stati ospitati proprio dalle famiglie del quartiere milanese per provare, insieme, a immaginare cosa significa la “convivenza” tra diverse religioni. 

SPAZIO DI INTEGRAZIONE

«L’integrazione va costruita. A Gratosoglio uno dei problemi grossi su cui stiamo lavorando con don Giovanni è proprio l’integrazione tra culture diverse. Ovvio che ci siano delle difficoltà ma dobbiamo riuscire a immaginare un nuovo spazio dove vivere insieme», racconta Gabriele Capuzzoni, educatore della cooperativa Farsi Prossimo che lavora al progetto Campus per la Pace. Alle sue spalle, Lejla Vrcic sta abbracciando una bambina affannata dopo una corsa. Ha 16 anni, Lejla, e viene dalla capitale della Bosnia-Erzegovina. «Nella mia città ideale tutte le persone trovano un lavoro a prescindere dall’appartenenza religiosa». Accanto a lei sua madre, Edina Avdispahic, tra le traduttrici del Campus per la Pace. «A Sarajevo esiste una grande tolleranza religiosa, per questo è utile che i nostri ragazzi parlino con quelli italiani». È musulmana, Edina, eppure sua figlia porta una croce cristiana al collo. «Non importa che indossi il simbolo di un’altra religione perché anche la croce è un segno di pace».

LA FEDE AIUTA A VEDERE L’ALTRO

  

Edina si avvicina a don Giovanni, sorridendogli: «Quest’uomo ha fatto molto per la mia città». Perché il Campus per la Pace poggia un piede nella periferia di Milano e un secondo proprio nella capitale della Bosnia. «C’è un contatto continuo tra i ragazzi della parrocchia e quelli di Sarajevo», racconta Capuzzoni, responsabile del progetto Sarajevo, gestito da Associazione sviluppo e promozione. «Nel modello di convivenza ma anche di disintegrazione di Sarajevo, abbiamo ritrovato le stesse dinamiche che vediamo nell’Europa di oggi», continua don Giovanni raccontando la città oltre l’Adriatico come uno specchio capace di fare capire agli italiani gli errori cui una mancata integrazione potrebbe portare. «C’è un motivo evangelico profondo che mi porta a denunciare ogni violazione della dignità umana», racconta il prete della periferia mentre cammina veloce da un evento all’altro del Campus per la Pace. «È la mia fede che mi spinge a pormi di fronte all’altro riconoscendo in lui un figlio di Dio, a prescindere dalla sua appartenenza sociale o religiosa». «L’integrazione è possibile», sorride il giovane prete dalla rapida camminata. «Le nuove generazioni sono pronte». 

Foto di Chiara Asoli.

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  • francesco20 aprile 2017 alle 17.40

    Perche' questo e' il limite. Perche' c'e' un limite. Matteo 10 e' il limite. Andate, entrate nelle case e portate la Parola. Allora, ed e' un esempio, entrate nella casa del cuore del divorziato risposato e portate la Parola perche la Misericordia di Dio e' grande e non ha confini. Ma non potete costringere il divorziato risposato ad entrare in Paradiso con la camicia di forza. La condizione e che vi ascoltino. Entrate nella casa del cuore dei migranti e portate la Parola. Ma che vi ascoltino. Che si prendano il tempo di cui hanno bisogno. Che cadano e si rialzino. Ma che accolgano la Parola. 13 Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi.14 Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi.

    Rispondi
       
    • gabriele21 aprile 2017 alle 07.37

      Sig. Francesco, prima di portare la Parola agli altri dobbiamo imparare a farla nostra: a non giudicare per non essere giudicati, ad amare anche i nostri nemici (che non sono i migranti o i musulmani, ma chi dalle guerre trae profitto, chi affama i popoli per speculazioni finanziarie, chi semina odio, chi uccide i giovani con la droga, ecc.), a farci prossimo di chi è nel dolore e nella sofferenza. Nel cuore degli altri si entra attraverso l'amore e la solidarietà, facendo agli altri quello che vorremmo venisse fatto a noi. La strada è quella indicata da Matteo 25. Oggi, purtroppo, la polvere da scuotere dai nostri sandali non è quella dei non cristiani, ma dei tanti sedicenti cristiani che preferiscono costruire muri anzichè ponti. Buona giornata.

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      • fabrizio21 aprile 2017 alle 08.48

        Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.

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      • francesco20 aprile 2017 alle 16.47

        Cristiani a rischio estinzione. Crocifissi, decapitati, violentati: solo in Irak da un milione e mezzo sono scesi a 300mila: sono in fuga dappertutto. Ciechi ! Non siete neanche in grado di scuotervi la polvere dai calzari quando occorre. E con la vostra cecita' mandate le pecore al macello invece di difenderle dai lupi. Ma andate in Egitto piuttosto, invece di predicare l'integrazione in Italia a chi di integrazione non ne vuole sentire neppure parlare. Perche' questa e' la verita'. Non Si Vogliono Integrare almeno non come noi pensiamo.

        Rispondi
           
        • gabriele20 aprile 2017 alle 17.45

          Ecco Sig. Francesco, dice bene "Non Si Vogliono Integrare almeno non come noi pensiamo", cioè come pensa Lei e quelli che la pensano come Lei. Nella creazione di una società multiculturale, dalla quale non possiamo prescindere, deve valere il principio di integrazione delle diversità, non di omologazione: ogni altro progetto è destinato a fallire miseramente. Buonasera.

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          • Vincenzo20 aprile 2017 alle 17.47

            Signor Francesco, quanta rabbia e quanta paura nelle sue parole. Ma soprattutto quanta tristezza, lei deve essere un uomo molto solo e arrabbiato. Non ha altra medicina "apra il suo cuore"!

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            • fabrizio21 aprile 2017 alle 08.44

              Preferirei termini come "accoglienza" e "ospitalità" perché l'integrazione è molto difficile. Ogni razza ha le sue peculiarità. E' così in tutto il mondo animale - di cui noi siamo parte integrante. Anche in paesi multirazziali da secoli, come gli USA, l'integrazione è ancora molto lontana. L'istinto prevaricatore è dominante.

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            • bruno20 aprile 2017 alle 16.33

              Il manuale del perfetto mussulmano si chiama Corano e prescrive i comportamenti da adottare in presenza di infedeli, apostati, ecc. Ovviamente dipende dalla persona uniformarsi alle regole o no ma il rischio sale in situazioni di stress in cui riaffiorano i condizionamenti delle rispettive società.

              Rispondi
                 
              • gabriele20 aprile 2017 alle 18.00

                Sig. Bruno, non so se ha seguito i telegiornali nei giorni scorsi, quando parlavano della K-flex, un'azienda della Brianza che ha deciso di trasferirsi in Polonia, licenziando tutti gli operai. Questi ultimi sono in sciopero da quasi tre mesi e presidiano lo stabilimento per evitare che vengano portati via i macchinari. Gli operai musulmani si sono offerti di presidiarne i cancelli il giorno di Pasqua per lasciare i loro colleghi cristiani a casa a festeggiare con i loro cari: questa per me è integrazione, unità nella diversità. Buonasera.

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                • fabrizio21 aprile 2017 alle 08.46

                  Il Corano ha 1.500 anni e non può essere attuale. A poco a poco i musulmani capiranno. Anche i cristiani ci hanno messo secoli a distinguere tra fede e politica.

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                  • Gius21 aprile 2017 alle 13.28

                    @gabriele, Fabrizio...Evidentemente o non capite o fingete di capire. Il Corano non é vecchio di 1500 anni ma è la parola e il volere di Dio ed è esso stessa Dio. Pertanto non è e non sarà mai emendabile per un mussulmano. Chiedetevi cosa significa radicalizzazione. Cioè applicare i dettami del Corano così come sono scritti. Non esiste altro islamica se non quello radicale, vedi Arabia Saudita, Emirati e iran e tra non molto la turchia. Che poi individualmente visitano mussulmano poco credenti questo avviene in tutte le religioni. Il multiculturalismo é una balla ed una invenzione costruita in servizio alla globalizzazione. Il multiculturalismo non esiste in tutto il mondo é solo roba da supermercato.

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                    • gabriele22 aprile 2017 alle 18.48

                      Sig. Gius, io mi sono chiesto cosa significa radicalizzazione, e le dico che il fenomeno della radicalizzazione ha una dimensione oggettiva legata all’esclusione sociale, al conflitto tra culture e religioni, alle politiche dei paesi occidentali nei confronti del medio oriente. Ne sono esempi i giovani delle banlieues di Francia, quelli dei quartieri ghetto della Gran Bretagna o dei Palestinesi umiliati dal conflitto impari con Israele; o quello di un individuo vittimizzato dove l’umiliazione, la frustrazione, l’esclusione sociale ed economica e il razzismo sono inseriti in una struttura metà reale e metà immaginaria che trasmette il senso di privazione di avvenire, l’idea di non avere un futuro: questo produce un sentimento di ghettizzazione interiorizzato che esclude prospettive positive. La radicalizzazione si compatte con la scuola, gli scambi culturali, il lavoro e garantendo stessi diritti religiosi a tutti: la più importante risposta democratica alla radicalizzazione. Buonasera

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                      • Gius23 aprile 2017 alle 08.31

                        @gabriele... per favore non dica delle idiozie. Smettiamola con queste cavolate sociologiche, Nonostante lo sterminio è la Shoa non vedo ebrei andare in giro per il mondo a sparare nelle strade. Smettetela con questi degli marxisti. I paesi islamici, Arabia Saudita, Iran, emirati arabi, Libia, Iraq sono tutt'altro che paesi poveri di risorse. La violenza viene da una ideologia criminale contrabbandata come religione e che si chiama Islam. Toglietevi le fette di salame dagli occhi. Sveglia!!!! Menti narcotizzate!!!

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                      • Vincenzo 20 aprile 2017 alle 14.11

                        Un antropologo propose un gioco ad alcuni bambini di una città africana. Mise un cesto di frutta vicino ad un albero e disse ai bambini che chi sarebbe arrivato prima avrebbe vinto la frutta. Allora i bambini si presero per mano e si misero a correre tutti insieme, e una volta preso il cesto si sedettero si godettero il premio insieme. Quando fu chiesto ai bambini perché avessero voluto correre insieme, visto che uno solo avrebbe potuto prendersi la frutta, risposero "UBUNTU" come potrebbe uno essere felice se tutti gli altri sono tristi? UBUNTU nella cultura africana sub-sahariana vuole dire "IO SONO PERCHE' NOI SIAMO" Amici cari "NON SI E'" se si ignorano gli altri!

                        Rispondi
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                        • giorgio20 aprile 2017 alle 11.38

                          La cristianità, l'essere cristiani vuol dire anche amare il prossimo, Gesù ha parlato di amore quindi è importante aprirsi alle altre culture, integrare le persone svantaggiate ed emarginate come anche chi è straniero in modo che essere cristiani non vuol dire solamente frequentare le messe la domenica ma anche essere cristiani durante il resto del tempo, essere cristiani nella completezza. Anche nel periodo successivo alla Pasqua bisogna amare il prossimo, essere aperti all'amore e non rifugiarsi nei soldi o beni materiali.

                          Rispondi
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                          • francesco20 aprile 2017 alle 11.30

                            Ma per favore..pensate piuttosto ad integrare gli italiani, se gia' non e' arrivato il momento manca poco. Pensate ad integrare le ragazze italiane stuprate, i vecchi assaliti in casa e bastonati, le persone oneste e pacifiche aggredite nei negozi, le famiglie povere italiane buttate fuori dagli appartamenti che devono essere ceduti ai migranti. Pensate ad integrare i disoccupati, gli italiani poveri che vivono in mezzo ad una strada d' estate e d' inverno, quelli che non ricevono alcun sostegno dallo stato. Piantatela con questa retorica da pensiero unico e guardatevi intorno. I poveri sono in mezzo a voi e lo erano anche prima e non avete fatto niente. Vergognatevi.

                            Rispondi
                               
                            • fabrizio20 aprile 2017 alle 13.01

                              Francesco, quelli che tu citi mi paiono più compiti dello Stato.

                            •  
                            • Franz20 aprile 2017 alle 10.41

                              Nessuno "ha messo una maschera sul volto" degli stranieri, sono i dati statistici a disegnare la realtà: circa il 35% dei carcerati sono stranieri, mentre la popolazione straniera in Italia è di circa il 10%. Quindi, numeri alla mano, il tasso di pericolosità degli stranieri è il triplo rispetto agli italiani. E questi sono numeri, non opinioni.

                              Rispondi
                                 
                              • fabrizio20 aprile 2017 alle 13.03

                                Ciò è dovuto al fatto che l'Italia offre ciò che non può dare. Inoltre non ha una politica autonoma.

                              •  
                              • Panthera Pardus20 aprile 2017 alle 10.22

                                Rakhmat Akilov, quello che ha fatto la strage con il camion nella multietnica Stoccolma doveva essere espulso nel Dicembre del 2016 ma era ancora in Svezia (qui facciamo anche un parallelo alla recente polemica dei buonisti Italiani sconvolti all'idea che l'espulsione sia fatta con un grado di giudizio, hanno tirato addirittura in ballo i "diritti dei cittadini" [quali?]) fin qui tutto noto e scritto anche dai liberi media occidentali. Meno noto che detto terrorista era membro della Hizb ut-Tahrir definita in Russia e in Germania come organizzazione proibita ma, attenzione, NON in Danimarca e Svezia. Cosa vuole Hizb ut-Tahrir? Vuole l'istituzione del CALIFFATO nei paesi dove si trova. Sognate pure la in FC, fate il libro Quore della immigrazione-multietnica-pucci-pucci-tutti-si-amano, censurate post e infilate la testa sotto la sabbia e fate le firme per avere gli "immigranti" votare alle amministrative.. la Realta' verra' a prendervi, e' inevitabile.

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                                • Guglielmo . Valli Grandi Veronesi 20 aprile 2017 alle 10.16

                                  Una mascera sul volto del diverso, bella questa espressione. Quante volte lo hanno fatto con noi? tutte le volte che abbiamo cercato di affermare la nostra individualità ! E' sempre bene ricordarselo - Guglielmo, già mezzadro

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