N. 17 28 luglio 2013
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In dialogo con don Antonio

È possibile essere credenti e omosessuali?

Per la chiesa la Persona, omosessuale o eterosessuale, ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio

 

Don Antonio Rizzolo Caro direttore, ho letto l’intervista a Francesco Belletti sui matrimoni omosessuali. Il problema nasce quando scopri di avere un figlio gay (buono, colto e gentile) e il mondo ti crolla addosso. Non mi è stato facile accettare la situazione, siamo stati dallo psicologo, ho capito che non è una malattia, ci hanno assicurato che non abbiamo colpe come genitori. Ma sono ossessionato dal pensiero che avrà un futuro difficile, non potrà formarsi una famiglia. Cosa devo fare? Cosa può fare lui? È possibile essere credenti e, al tempo stesso, omosessuali?

Giorgio, Sesto San Giovanni (Mi)

Caro Giorgio, l’intervista a Francesco Belletti riguardava il matrimonio tra omosessuali. Non è solo la Chiesa a essere contraria. In Francia, una portavoce del gruppo Homovox, Nathalie de Williencourt, ha dichiarato: «Noi gay non vogliamo il matrimonio. Perché la coppia omosessuale è diversa da quella eterosessuale. Ed è diversa perché non può dare origine alla vita, per cui ha bisogno di una forma di unione specifica che non sia il matrimonio». In breve, è giusto essere contro i pregiudizi e le discriminazioni. Ma ciò non significa chiamare matrimonio ciò che tale non è.

Il problema che tu poni riguarda il rapporto fra l’essere credenti e omosessuali. E non è solo teorico, perché riguarda tuo figlio. Il punto di partenza però è proprio qui: un figlio si ama. È lo stesso atteggiamento di Dio: ci ama così come siamo. Non importa se omosessuali o eterosessuali. Lo afferma lo stesso Magistero: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona puramente come un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna» (Cura pastorale delle persone omosessuali, 16).La base di discussione è la dignità di ogni persona umana.

Il secondo punto da affrontare è l’orientamento sessuale e il modo in cui viverlo. Gli studiosi non sono concordi: è un fattore innato o acquisito? Se non è una libera scelta, ma una tendenza profondamente radicata in cui uno si ritrova, la persona va aiutata a riconciliarsi con se stessa, ad accettarsi così com’è. Ciò che conta è come si decide di comportarsi. Il Catechismo della Chiesa cattolica lo spiega in modo chiaro: l’inclinazione omosessuale, «oggettivamente disordinata», è una prova per la maggior parte delle donne e degli uomini con questa tendenza. «Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione».

In concreto, «le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (cfr numeri 2357-2359). La stessa castità a cui sono chiamati gli eterosessuali che non sono sposati. Infatti il rapporto sessuale ha sempre un significato unitivo e procreativo e perciò ha senso solo nel Matrimonio. Fatte queste premesse, gli omosessuali battezzati sono parte della Chiesa e possono partecipare alla vita liturgica, sacramentale e caritativa della comunità ecclesiale. Anche tuo figlio, caro Giorgio, nella sua condizione, può realizzarsi come uomo e come cristiano. La perfezione cristiana consiste infatti nella carità, nell’amore gratuito, che va oltre la dimensione sessuale.

Risponde Don Antonio Rizzolo

Inviate le vostre lettere al direttore a:  lettori.credere@stpauls.it

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