N. 17 28 luglio 2013
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Monsignor Youhannes Zakaria

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Monsignor Youhannes Zakaria

«Noi, cristiani d’Egitto nella morsa della violenza»

Dopo l’ultima serie di azioni terroristiche, parla monsignor Youhannes Zakaria, vescovo copto-cattolico di Luxor, nell’Alto Egitto. «La situazione è delicata e chiediamo a tutti i cristiani del mondo di sostenerci con la preghiera»

 

SPERANZA E DOLORE - Cristiani in corteo

SPERANZA E DOLORE - Cristiani in corteo (foto MONTAN /ANSA).

Il bollettino delle ultime ore, dall’Egitto, non è certo di quelli che lasciano tranquilli. Qualche giorno fa è stato ritrovato il corpo decapitato di un commerciante  copto nella zona del Sinai, a poca distanza da dove è stato ucciso anche un sacerdote, sesta vittima copta in pochi giorni. «La situazione è delicata e chiediamo a tutti i cristiani del mondo di sostenerci con la preghiera. Noi stessi preghiamo incessantemente nelle nostre chiese e nelle nostre famiglie perché il clima già incandescente non degeneri ulteriormente».

Proprio da Luxor, nell’Alto Egitto, giunge ferma al telefono la voce del vescovo copto-cattolico monsignor Youhannes Zakaria. Mentre i Fratelli musulmani continuano a dichiarare la loro estraneità alle azioni terroristiche perpetrate dai gruppi  jihadisti nel Nord del Sinai contro i cristiani, è un fatto che stia crescendo un atteggiamento ostile nei confronti dei cristiani. Monsignor Zakaria, che regge la diocesi dal 1994, descrivere il clima che si respira nel Paese, dopo la destituzione, il 30 giugno scorso, del presidente Mohammed Morsi: «Ancora i giovani si sono resi protagonisti di questa nuova svolta. La Fratellanza musulmana è arrivata al potere sfruttando l’ignoranza della popolazione. Hanno vinto le elezioni strumentalizzando l’Islam. Dopo un anno è risultato chiaro a tutti l’inganno. I Fratelli musulmani non hanno cambiato nulla. Morsi ha messo tutti i suoi nei posti chiave e la situazione si è rivelata peggiore che al tempo di Mubarak. Con questi presupposti è nato il movimento Tamarrud, che significa “ribellione”, e i cittadini egiziani sono tornati a riempire le piazze. Con il popolo si è schierato l’esercito e Morsi ha dovuto arrendersi».

C’è chi dice che si sia trattato di un colpo di Stato.

«Si tratta piuttosto di una correzione nel percorso intrapreso con la Rivoluzione di Piazza Tahrir due anni fa. L’esercito si è messo in campo per rimettere il Paese sul binario giusto, dando il suo contributo per creare uno Stato laico. Oggi la situazione economica è disastrosa, ma l’Egitto non è uno Stato povero. È un Paese molto ricco, dove la ricchezza è distribuita in maniera pessima e dove i giovani hanno poche prospettive, oltre all’emigrazione».

Le piazze egiziane si sono riempite però anche di sostenitori del deposto presidente…

«La rabbia dei Fratelli musulmani e dei gruppi islamici si sta sfogando in questi giorni. Si moltiplicano le azioni in sostegno di Morsi, che vorrebbero far tornare al potere. Ma quasi l’80 per cento del popolo egiziano non vuole più i Fratelli musulmani al governo. In tutto l’Egitto, da Alessandria ad Assuan, la Fratellanza ha scatenato una rivolta contro il movimento Tamarrud, strumentalizzando ancora una volta l’Islam. Ma non si tratta di una difesa della religione, come vogliono far credere, piuttosto dei loro interessi particolari».

Le notizie di violenze contro i cristiani vengono rimbalzate dagli organi d’informazione quasi ogni giorno...

«Sono accaduti episodi di questo genere in molti villaggi e città. Ma  a dire il vero si sono registrate violenze anche contro musulmani non fanatici.  Per quanto riguarda noi cristiani, abbiamo avuto notizie di violenze contro ragazze per strada, chiese bruciate… Le fazioni dell’Islam fondamentalista cercano di creare il caos per fare pressione sull’esercito e per chiedere il ritorno del loro esponente alla presidenza».

Come vivono i cristiani d’Egitto questo particolare momento storico?

«Siamo preoccupati. Ma abbiamo già in passato vissuto situazioni di discriminazione. E non ci facciamo certo abbattere. Stiamo soffrendo molto, ma non perdiamo la speranza. Non siamo cristiani di facciata, per noi la fede è profonda e radicata. Il cristianesimo è nel nostro sangue e la Chiesa è viva. Con l’aiuto di Dio anche nella situazione attuale siamo pronti a lottare per mantenere e difendere la nostra fede».

Negli scorsi mesi si sono registrate anche accuse di blasfemia a danno dei cristiani…

«Ho in mente il caso di Dimyana Abdel Nour, una ragazza di 22 anni di Sheik Sultan, nella mia diocesi, maestra elementare, che è stata falsamente accusata nel maggio scorso da alcuni genitori appartenenti al movimento estremista musulmano dei salafiti di aver mancato di rispetto al Corano. Mentre stava per essere portata in tribunale, le veniva nel contempo offerta la possibilità, in cambio della caduta delle accuse, di convertirsi all’Islam. “Non posso negare Cristo. Cristo non è un abito che si può dismettere. È  la mia vita”, ha detto. Sono stato a trovarla in prigione e sono stato colpito dalla sua forza d’animo, dalla sua testimonianza di fede».

A Nour, alla fine, è stata comminata una pena amministrativa (salatissima). Altri rischiano la vita…

«Due anni fa a Nag Hammadi sono stati uccisi sette cristiani. Qualche settimana fa a Delga è stata bruciata la chiesa copto-cattolica; due settimane fa sono state ammazzate 4 persone a Nag Hassan e bruciate 32 case per l’omicidio di un musulmano. Poi si è scoperto che l’omicida era il fratello, che ha pensato di far ricadere la colpa sui copti. Abbiamo bisogno della preghiera dei cristiani di tutto il mondo per poter proseguire la nostra testimonianza di perdono, anche a rischio della vita».

Il patriarca copto-cattolico, monsignor Ibrahim Isaac Sidrak, si è detto preoccupato della prospettiva di una guerra civile…

«Anch’io lo sono. Ma non credo a una guerra civile come in Siria. Gli egiziani sono favorevoli all’intervento dell’esercito proprio per fermare la violenza. Le autorità militari, insieme al premier del governo di transizione Hazem El Beblawi, stanno mettendo a punto un piano di pacificazione nazionale che possa coinvolgere anche i partiti islamici. Noi cristiani preghiamo e operiamo per questa pacificazione nazionale. È da poco iniziato anche il mese di Ramadan. Speriamo che il clima di riflessione e preghiera che questo tempo forte dell’Islam porta con sé aiuti l’Egitto intero a stemperare tensioni e violenze. E ad aprire la strada a un nuovo dialogo».

Testo di Giuseppe Caffulli

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