N. 18 - 2017 30 aprile 2017
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Matteo Truffelli

Ac, da laici nella chiesa a responsabili dei fratelli e del mondo

Dal campo scuola con gli amici della parrocchia alla presidenza nazionale. «In azione cattolica ho ricevuto una fede inquieta, che si lascia sfidare dalla vita»

Matteo Truffelli

Sicuramente Matteo Truffelli è più a suo agio su una cresta dolomitica, zaino in spalla, caschetto e imbragatura, che davanti a un microfono a parlare di sé.

Proprio la grande passione del presidente dell’Azione cattolica – la montagna – richiama un’immagine che ritorna nella lunga chiacchierata alla vigilia della XVI assemblea e dei festeggiamenti per i 150 anni dell’associazione (28 aprile-1 maggio): l’essere “in cordata”, non leader solitario, ma compagno di strada di uomini e donne, nella Chiesa e nel mondo. «Il ruolo di presidente nazionale dell’Azione cattolica ti obbliga a confrontarti con i tuoi limiti, ma questo continuo rimettersi in discussione è una ricchezza perché ti spinge a non dar mai le cose per scontate e a cercare veramente la corresponsabilità con gli altri».

Laurea in filosofia, professore associato in Storia della dottrine politiche a Parma, la città dove è nato 47 anni fa, sposato con Francesca dal 2001, Matteo ha incontrato l’Azione cattolica in famiglia, ma il punto di svolta «è stato fare l’educatore a un campo scuola, sui monti del Cadore, dove ho capito che ai più giovani potevo dare qualcosa che io stesso avevo ricevuto, aiutandoli a crescere. Lì ho deciso veramente che per me l’Ac era il modo per essere Chiesa e prendermi cura delle persone».

IL BELLO DI STARE INSIEME
Quarto di cinque figli, papà presidente diocesano nell’Ac, poi presidente della Provincia, mamma di formazione Fuci (gli universitari cattolici dell’Ac), Matteo frequenta San Giovanni Battista, «una parrocchia giovane, di quelle nate negli anni Settanta in una baracca». A 12 anni si trova catapultato a un campo scuola insieme alla sorella, dopo tre giorni si sente come a casa. «Avevo trovato un modo bello per stare insieme, per vivere un’esperienza di vita e di preghiera dentro una marea di relazioni significative, con educatori di cui percepivi la passione per quello che facevano e due preti assistenti che ti stupivano per la capacità di stare con i ragazzi. E con i quali poi sono cresciuto».

Da lì parte il tragitto classico che ogni socio di Ac ben conosce, con incarichi parrocchiali, poi diocesani, regionali, nazionali. Compresa una borsa di studio postuniversitaria all’Osservatorio sulle riforme istituzionali dell’Ac. Un percorso da “quadro”, che in realtà significa una serie di relazioni, di volti, di storie che si allargano sempre di più, costruiscono legami saldi che restano per la vita, attraversano l’Italia. E che negli ultimi anni con il Forum internazionale dell’Ac (Fiac) – che negli stessi giorni dell’assemblea terrà il 2° congresso internazionale – abbraccia 40 Paesi, tra membri e osservatori, per un totale di oltre 4 milioni di persone. Insomma il respiro della Chiesa universale.

SULLE ORME DI BACHELET
Una rete che raccoglie anche la memoria di tanti testimoni. «La figura che mi ha segnato di più l’ho incontrata attraverso il racconto dei miei genitori che lo conoscevano, e poi da studioso. Parlo di Vittorio Bachelet, al quale devo molto nel modo di pensare la Chiesa e l’Azione cattolica, così come a papa Paolo VI», dice Truffelli. A Bachelet, il presidente che nel ’69 aveva traghettato l’Ac dal vecchio al nuovo statuto, ucciso il 12 febbraio del 1980 sulla scalinata dell’università La Sapienza da un commando delle Brigate Rosse, Truffelli ha dedicato saggi e la raccolta in due volumi di tutti gli scritti civili ed ecclesiali.

TANTI VOLTI SULLA SUA STRADA
Ma non sono solo i personaggi famosi a segnare la vita dei soci di Ac. L’associazione – radicata sul territorio in 7 mila parrocchie e 220 diocesi con circa 350 mila aderenti, di cui 150 mila bambini e ragazzi – è fatta di relazioni semplici e quotidiane. Non sorprende, quindi, che il presidente ricordi con gratitudine, oltre ai «tre assistenti diocesani che mi hanno fatto crescere», un’anziana signorina, «Ada, che teneva aperto il centro diocesano tutti i giorni ed esprimeva veramente il senso di Chiesa dell’Ac, ci faceva leggere Avvenire e lo commentava in modo sagace, non buonista».

Guardando la serie di ritratti che campeggiano nel salone storico dell’associazione, dai fondatori – Mario Fani, Giovanni Acquaderni, Armida Barelli – fino al predecessore di Truffelli, c’è da chiedersi cosa significhi oggi essere presidente nazionale dell’Ac: «Avere un grande senso di responsabilità per la storia che ci precede, per esserne all’altezza, nella consapevolezza che sempre abbiamo riformulato quello che eravamo, la nostra proposta, per essere significativi nel tempo presente. Cercando sempre ai vari livelli di discernere insieme quello che ci era chiesto».

Dai giorni della parrocchia a quelli di via della Conciliazione, Matteo rilegge il suo cammino interiore personale con due chiavi: «Crescita del senso di responsabilità nei confronti della mia vita, delle altre persone e del mondo. E consapevolezza che questa responsabilità va condivisa. È un grande insegnamento che mi ha dato l’Ac, anche rispetto al mondo lavorativo. Dal punto di vista spirituale questa esperienza mi ha rafforzato in una fede inquieta, che si lascia molto mettere in dubbio e sfidare dalla vita, dalle persone. Non è una fede lineare, tranquilla, pacifica».

Una fede spesa nell’ordinario, tra il lavoro e la famiglia. Truffelli ci tiene a dire «che una delle cose belle dell’associazione è che non ci monopolizza. Certo, tanti amici li ho conosciuti in Ac, ma ne ho anche tanti altri con cui giocavo a calcio, compagni di classe, del quartiere, adesso colleghi, con i quali ci sono rapporti di grande stima reciproca. Non ho mai né nascosto né fatto pesare quello in cui credevo. Un collega mi ha definito “l’amico più esotico” che lui abbia: per lui sono veramente dall’altra parte del mondo, ma anche affascinante, del tutto estraneo, ma interessante».

Proprio per questa sensibilità non è un caso che uno dei brani della Parola che ritorna nella vita di Truffelli sia quello dei discepoli di Emmaus, che tra l’altro sarà il Vangelo della Messa di domenica, giorno del raduno con papa Francesco. «Riassume la mia esperienza di vita spirituale: camminare anche in mezzo ai dubbi e alla incertezze e avvertire che la presenza c’è, anche se non sono in grado di vederla. E poi d’un tratto percepirla e per questo volerne poi testimoniare agli altri. Un altro brano che mi è caro è ambientato sul lago di Tiberiade, quello in cui il Signore manda i discepoli al largo e poi dice “non temete”». Un invito che ritorna anche in vista di una possibile riconferma come presidente per un secondo triennio.

Lo stesso Matteo lo mette in conto, quando proviamo a fargli declinare a livello personale i 4 verbi scelti per il 150°. Rilanciare? «Mettermi a disposizione dell’associazione se vuole che continui. Ma non ci sarebbe problema a cambiare». Rinnovare? «Non dare mai per scontato di aver capito, mettersi sempre in discussione»; Raccontare? «Superare la timidezza e sapere che le persone si aspettano che il presidente sappia anche raccontare della sua vita e del suo servizio». Festeggiare? «Vivere con gioia il nostro tempo».

IN FESTA CON FRANCESCO
L’assemblea (appuntamento in cui i delegati dell’Ac di tutt’Italia discutono insieme a Roma le linee programmatiche del prossimo triennio ed eleggono i responsabili nazionali) sarà dunque un momento di festa, punto di arrivo di un cammino che nei mesi scorsi, per il rinnovo delle cariche, ha coinvolto tutte le associazioni ai diversi livelli. «L’esercizio che cercheremo di fare insieme è capire oggi in questo tempo quali sono le attese, i bisogni e i desideri delle famiglie e delle comunità, che interpellano la Chiesa e quindi l’Ac. Quali processi occorre innescare o promuovere, come ripensarci per poter farci carico di queste attese e attraverso quali alleanze, ecclesiali e civili». Il 30 aprile c’è infine l’incontro in piazza con Francesco: «Ci conosce, sarà impegnativo ascoltare cosa si aspetta da noi: nel senso che ci impegnerà a viverlo e che sicuramente non sarà facile da attuare».

Testo di Vittoria Prisciandaro · Foto di Carlo Gianferro

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