Credere n.19 - 11/05/2014
Dio è come una madre, non si dimentica mai di noi
Cari amici lettori, in questo numero abbiamo come sempre tante storie da raccontarvi e anche qualche novità . Tra le storie…
Meglio essere madre che vincere l’Oscar
Pochi mesi fa l’abbiamo vista al Festival di Cannes con il cast del film La grande bellezza. Ma per l’attrice è la maternità …
Una vocazione “disegnata†a fumetti
Sacerdote barnabita, educatore scout e giornalista: da sei anni direttore de il Giornalino, il settimanale del Gruppo San…
Il messaggio attuale delle apparizioni
Il medico torinese Lucia Amour ha studiato il significato delle rivelazioni affidate 70 anni fa dalla Vergine Maria a una…
Una lacrima mi ha salvato
I medici la davano per morta mentre lei, dal coma, sentiva tutto. La straordinaria storia di Angèle, salva grazie all’amore…
Costanza Miriano: La gratuità che fa breccia nei cuori
Una mamma, si sa, non può permettersi di morire prematuramente, con i bambini ancora piccoli. È categoricamente escluso.
Padre Stefano Gorla
Una vocazione “disegnata†a fumetti
Sacerdote barnabita, educatore scout e giornalista: da sei anni direttore de il Giornalino, il settimanale del Gruppo San Paolo dedicato ai più piccoli, padre Stefano Gorla racconta la propria esperienza.
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Padre Stefano Gorla, "Missione ragazzi".
Sacerdote, educatore, giornalista. Con una missione: i ragazzi. Quando entri nell’ufficio di padre Stefano Gorla – 51 anni, direttore de il Giornalino, G Baby e Super G – ti accorgi subito che la sua è una vita a “misura†di bambino.
Secondo piano in una bella palazzina nel centro di Milano, la stessa che ospita le redazioni di Credere, Famiglia Cristiana e Jesus: ambienti pieni di computer, scrivanie disordinate e sguardi seri. Poi arrivi nella stanza di padre Stefano e ti sembra di varcare la soglia di un’isola incantata, fatta di colori, disegni appesi alle pareti, pupazzi e peluches, pennarelli e fumetti, un mappamondo gonfiabile e una matita con le orecchie azzurre, grandi come quelle di un coniglio. Da sei anni, questa per padre Stefano è la sua nuova “sfida pastoraleâ€. «Sono fortunato», ci confida, «perché parlare, ogni settimana, con oltre 100 mila ragazzi mi regala un’immagine positiva del mondo, mi rafforza nella fiducia, nella speranza... Soprattutto per un prete, significa recuperare valori “belli†ed essenziali».
Padre Stefano è un barnabita, un prete cioè dei Chierici regolari di San Paolo, uno dei più antichi Ordini nella storia della Chiesa. Milanese di origine, a 16 anni seguiva i ragazzi dell’oratorio di Pioltello, e grazie a un sacerdote barnabita inizia a conoscere questi religiosi. «Fu lui a dirmi che in me vedeva i segni della vocazione. Ero nell’età in cui ogni giovane cerca la propria strada nella vita, così decisi di verificare se la scelta religiosa potesse essere quella giusta per me. Trascorsi un periodo con i Barnabiti e allora capii: non ero io a scegliere, ma ero stato scelto».
Complice una famiglia che lo ha sempre sostenuto, Stefano intraprende la sua nuova vita. Quella educativa è una dimensione propria dei Chierici regolari di San Paolo, e lui vi si trova a proprio agio. Inizia a seguire il cammino Scout (oggi è uno dei formatori nazionali dell’Agesci e assistente regionale della fascia di ragazzi tra i 12 e i 16 anni, con i quali l’anno prossimo andrà in Giappone per il raduno mondiale Jamboree), ma ad appassionarlo è la comunicazione. Racconta: «Sono convinto della necessità di trovare nuovi linguaggi per comunicare la fede. Modalità espressive come il fumetto, la musica e il cinema mi hanno sempre appassionato per la loro dimensione pastorale, prima di tutto». La collaborazione con il Gruppo San Paolo (quello fondato da don Giacomo Alberione, che non è lo stesso dell’Ordine a cui padre Stefano appartiene, anche se il nome può trarre in equivoco) viene naturale. E quando, nel 2008, si dovette trovare un nuovo direttore per il Giornalino, la scelta apparve scontata. Perché, al di là della competenza, padre Stefano ha una passione autentica per i più piccoli.
«I bambini e i ragazzi hanno un problema: gli adulti», confida, tra il serio e l’ironico. «Sono i grandi a dipingere il loro mondo di pessimismo, a colorare scenari tetri per il futuro. I giovani, invece, sono pieni di speranza, di attese, di fiducia. Hanno la capacità di capire, di scegliere, e sono molto più consapevoli e maturi di quanto gli adulti credano. Ricevo migliaia di lettere: alcuni mi rivolgono domande “importanti†e, attraverso i fumetti, abbiamo trattato tematiche forti, come l’aborto, il terrorismo, la mafia...». Quest’anno, con il Giornalino che compie 90 anni, è ancora più forte il richiamo a questa proposta educativa che diventa una vera e propria attenzione pastorale. «Ne è prova il fatto che don Alberione, prima ancora di “inventare†Famiglia Cristiana, un giornale che si rivolge agli adulti, ha realizzato il Giornalino, con la volontà di parlare alla famiglia, partendo dalla sua parte migliore: i ragazzi, appunto».
In questi 90 anni, la rivista ha parlato a generazioni intere. «E adesso, spesso», rivela sorridendo, «sono i nonni, a loro tempo lettori del nostro settimanale, che regalano l’abbonamento ai nipoti». E c’è anche chi, nonostante l’età , continua a leggere le avventure di Pinky e Leo & Aliseo: «Ricevo lettere perfino da 18enni. Questo significa davvero che siamo riusciti a essere una rivista “dalla parte†dei ragazzi: come un amico, un fratello maggiore, al quale si confidano segreti e paure». Del resto, le rubriche di posta sono le più seguite. «I bambini ci rivolgono domande», precisa padre Stefano, «scrivendoci lettere, mail, sms... I più piccoli ci inviano i loro disegni, o ci scrivono tramite i genitori. Vogliono capire, sapere, approfondire. Come si fa a sostenere che i giovani non hanno speranza?». Padre Stefano se lo chiede mentre ti guarda seduto alla sua scrivania. Ordinata, ma piena di fumetti. Alle pareti tutte le copertine della rivista, e sulle mensole, tra libri ed enciclopedie, targhe e trofei vinti dal giornale in questi lunghi 90 anni. E una frase incorniciata: «Un adulto creativo è un ragazzo sopravvissuto».
Testo di Agnese Pellegrini